2025 05 07 CINA – Due Vescovi eletti nonostante la morte di papa Francesco
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SUD SUDAN - Nessuna notizia a un anno dalla loro scomparsa di p. Luke e del suo accompagnatore
NIGERIA - La grave situazione d’insicurezza nello Stato dell’Imo colpisce anche sacerdoti e religiosi
ISRAELE - Rossing Center: un cristiano su tre in Israele vuole emigrare
CINA – Due Vescovi eletti nonostante la morte di papa Francesco
A Shanghai padre Wu Jianlin, direttore della Commissione per gli affari educativi, è stato eletto nuovo vescovo ausiliare della diocesi. La medesima cosa è avvenuta a Xinxiang, provincia dell’Henan, dove per il ruolo di vescovo è stato scelto padre Li Jianlin.
Mentre la Chiesa cattolica in tutto il mondo piange papa Francesco e guarda ai cardinali giunti a Roma per il conclave che eleggerà il nuovo pontefice, negli organismi ufficiali della Chiesa in Cina si ostenta l’idea che tutto deve andare avanti come se niente fosse. Così fonti di AsiaNews riferiscono che i sacerdoti di Shanghai, insieme ad alcuni rappresentanti delle religiose e dei laici, sono stati convocati per ratificare la scelta di un nuovo vescovo ausiliare. Cosa puntualmente avvenuta ieri: p. Wu Jianlin, attuale vicario generale, è stato eletto con appena una manciata di voti contrari. Mentre oggi la stessa cosa è accaduta nella diocesi di Xinxiang, nella provincia dell’Henan, con candidato unico p. Li Jianlin.
La modalità è quella consueta, nonostante l’Accordo con la Santa sede sulla nomina dei vescovi fortemente voluto da papa Francesco. In nome dell’“autonomia” della Chiesa in Cina, sempre postulata da Pechino, al Vaticano viene presentato un unico candidato, scelto da queste assemblee del clero registrato negli organismi controllati dal Partito, che poi il pontefice si riserva di approvare oppure no. Va anche detto che le due elezioni probabilmente erano già state fissate prima della morte di papa Francesco. Ma è significativo che chi gestisce la politica religiosa in Cina abbia dato mandato di non rinviarle. È anche questo un modo per dire che la stagione eccezionale che la Chiesa universale sta vivendo con la sede vacante non riguarda i cattolici che vivono nella Repubblica popolare.
Tanto più che le due nomine in questione sono entrambe particolarmente delicate.
Come già accaduto qualche mese fa per Pechino, anche a Shanghai il vescovo Shen Bin - il presule scelto dal Partito come uomo di punta per la comunità cattolica locale - ora vuole un ausiliare per affiancarlo nel suo ministero pastorale che comprende anche la carica di presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, l’organismo collegiale non riconosciuto dalla Santa Sede. Solo che la diocesi di Shanghai due vescovi ausiliari ce li avrebbe già: Joseph Xing Wenzi - oggi 62 anni, ordinato nel 2005 ma poi caduto in disgrazia nel 2011 - e, soprattutto Taddeo Ma Daqin, oggi 57 anni, il vescovo autore il 7 luglio 2012 del clamoroso gesto delle dimissioni dall’Associazione patriottica durante la sua ordinazione episcopale. Gesto in forza del quale da allora vive segregato nel seminario di Sheshan.
Quando nel luglio 2023 - tre mesi dopo il colpo di mano di Pechino – papa Francesco avallò a posteriori “per il bene della diocesi” la nomina di Shen Bin a Shanghai, ci fu chi formulò la speranza che anche Ma Daqin potesse tornare a esercitare il suo ministero, almeno come vescovo ausiliare. Tanto più che nel 2016 aveva fatto pubblica ammenda per il suo gesto. L’elezione di p. Wu Jianlin dice chiaramente che Pechino non ha alcuna intenzione di consentirlo. Il nuovo vescovo ausiliare è il sacerdote che dal 2013 al 2023 ha guidato di fatto la diocesi di Shanghai e in quanto tale da anni è già membro della Conferenza politica consultiva del popolo cinese.
Non meno problematica per la Santa Sede è l’altra elezione, quella del nuovo vescovo di Xinxiang: si tratta infatti anche questa di una diocesi dell’Henan che per le autorità è vacante, ma dove in realtà un vescovo (sotterraneo) c’è, il 67enne mons. Joseph Zhang Weizhu, ordinato clandestinamente nel 1991 e più volte arrestato anche in anni molto recenti per il semplice fatto di svolgere il suo ministero. E anche in questo caso il candidato unico all’episcopato è un fedelissimo del Partito: nel 2018, infatti, p. Li Jianlin era uno dei firmatari della circolare con cui nella provincia dell’Henan si formalizzava il divieto di ingresso ai minori nelle chiese per le Messe.
Appare chiaro che queste due elezioni rappresentano un test delle autorità di Pechino per il successore di Pietro che verrà eletto nel conclave che si aprirà il 7 maggio. Il nuovo papa si troverà a dover decidere che cosa fare non solo in generale sui rapporti con la Cina, ma anche su queste due specifiche vicende. Il tutto dopo che – contrariamente a quanto accaduto per il Sinodo –nessun vescovo dalla Repubblica popolare cinese è giunto in Vaticano per le esequie di papa Francesco.
Nel frattempo sul sito internet dell’Associazione patriottica anche le due stringate righe di cordoglio per la morte di papa Francesco - ad appena quattro giorni dalla loro pubblicazione - sono già sparite dall’home page, trascinate via da notizie più urgenti, come l’incontro dei cattolici della provincia di Hanui con il Comitato del Partito e quello sul bilancio del Piano quinquennale per la sinicizzazione del cattolicesimo nella provincia dell’Hubei. Un comportamento che sembra quasi una risposta al coraggio con cui – come raccontavamo qualche giorno fa – tanti cattolici cinesi (e anche qualche vescovo) hanno condiviso sui propri profili personali sui social network le immagini di papa Francesco in occasione della sua morte.
Dove invece la repressione è comunque rimasta immutata è nella diocesi di Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang: raccontavamo prima di Pasqua dell’ormai consueto arresto di mons. Pietro Shao Zhumin. Le ultime notizie giunte ad AsiaNews da fonti locali dicono che la morte di Francesco lo ha prorogato. Del presule clandestino fermato il 10 aprile per evitare che potesse celebrare pubblicamente i riti della Settimana Santa non si hanno infatti ancora notizie. Nel frattempo a Wenzhou la polizia ha impedito persino ai sacerdoti “ufficialmente registrati” che lo desideravano la celebrazione di Messe di suffragio in memoria di papa Francesco.
(Asia News 29/04/2025)
SUD SUDAN - Nessuna notizia a un anno dalla loro scomparsa di p. Luke e del suo accompagnatore
“È passato un anno e il loro silenzio ci perseguita. La scomparsa di padre Luke e Michael non è solo una perdita personale, è una ferita al cuore della nostra società”. Così Eduardo Hiiboro Kussala, Vescovo di Tambura-Yambio, ha ricordato in una dichiarazione la scomparsa di padre Luke Yugue e del suo autista Michael Gbeko, scomparsi il 27 aprile 2024 mentre erano in viaggio dalla contea di Nagero alla Contea di Tambura, nello Stato di Western Equatoria (Sud Sudan). Da allora dei due uomini non si ha più notizia. Nonostante fosse stata celebrata a un mese dalla scomparsa di una preghiera funebre per il sacerdote e il suo accompagnatore (vedi Fides 23/5/2024), la domanda sulla loro sorte non è venuta meno.
Nella sua dichiarazione pubblicata la scorsa settimana Mons. Hiiboro rinnova la richiesta perché siano compiuti ulteriori sforzi per ritrovare gli scomparsi.
Il Vescovo di Tambura-Yambio ha esortato il governo del Sud Sudan, le forze di sicurezza ei partner internazionali a intensificare le indagini e ad accertare le responsabilità. Quest’anno non si è tenuta alcuna commemorazione pubblica a causa del periodo di lutto seguito alla morte di Papa Francesco, ma Mons. Hiiboro ha esortato i fedeli a pregare per le due persone scomparse.
Padre Luke e il suo accompagnatore sono probabilmente rimasti vittime delle violenze intercomunitarie che continuano a funestare lo Stato di Western Equatoria (vedi Fides 24/5/2024). Violenze che purtroppo continuano con massacri e rapimenti che colpiscono la popolazione dell’area. (LM) (Agenzia Fides 5/5/2025)
NIGERIA - La grave situazione d’insicurezza nello Stato dell’Imo colpisce anche sacerdoti e religiosi
La situazione è terribile. Rapimenti a scopo di estorsione, sequestri per l’espianto di organi e occupazioni violente di terre e fattorie sono ormai all’ordine del giorno nello Stato di Imo e nelle terre degli Igbo”. È il quadro dipinto nella Cattedrale dell’Assunta a Owerri, da padre Anthony Njoku nel corso di una stampa conferenza convocata per denunciare la situazione di insicurezza nello Stato di Imo, nel sud-est della Nigeria.
“Questi orrori non sono più notizie di cronaca; sono vissuti personalmente. I nostri sacerdoti e i nostri fedeli hanno sofferto terribilmente e il dolore continua a diffondersi” ha affermato il sacerdote nel corso della conferenza stampa alla quale hanno partecipato, tra gli altri, Mons. Lucius Iwejuru Ugorji, Arcivescovo di Owerri, e l’Arcivescovo emerito Anthony John Valentine Obinna.
Il clima di insicurezza ha colpito pesantemente il clero locale, soprattutto come vittime di sequestri a scopo di estorsione, come ricorda padre Njoku: “Sebbene negli ultimi 10 anni vi sono state innumerevoli vittime, tra il 2015 e il 2025 più di 50 tra sacerdoti e religiosi sono stati sequestrati nelle diocesi di Ahiara, Okigwe, Orlu e Owerri, con Okigwe che ha registrato il numero più alto di rapimenti, 47 sacerdoti, e due morti rispettivamente a Owerri e Orlu”. Si tratta secondo quanto risulta all’Agenzia Fides di padre Cyriacus Onunkwo, rapito e ucciso il 1° settembre 2017 a Orlu, la seconda città dello Stato di Imo (vedi Fides 4/9/2017); e di padre Tobias Chukwujekwu Okonkwo, il sacerdote farmacista uccise a colpi di arma da fuoco il 26 dicembre 2024, mentre percorreva la Onitsha-Owerri Expressway, a Ihiala (vedi Fides 31/12/2024).
“I colpevoli, spesso identificazioni come pastori Fulani, colpiscono con crescente audacia e crudeltà. Questo è un incubo che nessuno dovrebbe sopportare, tanto meno la nostra gente” rimarca il sacerdote che ha richiamato le responsabilità delle autorità locali perché migliorino le condizioni di sicurezza dell’area. “Purtroppo, le nostre forze di sicurezza sembrano impotenti. Che sia per mancanza di equipaggiamento, capacità insufficienti o assenza di volontà politica, non sono riuscite ad arginare l’ondata di questo maschio. La loro apparente paralisi di fronte alla violenza diffusa è profondamente preoccupante” ha concluso. (LM) (Agenzia Fides 5/5/2025)
ISRAELE - Rossing Center: un cristiano su tre in Israele vuole emigrare
di Dario Salvi
È quanto emerge da uno studio del centro per l’educazione e il dialogo, che denuncia l’aumento di attacchi di estremisti e gruppi ultra-religiosi ebraici. Le condizioni socio-politiche e la bassa natalità rendono incerto il futuro dei cristiani nel Paese. L’appello per un “coinvolgimento” delle Chiese nel mondo. Hana Bendkowsky: “Gli aggressori siano consegnati alla giustizia”.
Un cristiano su tre in Israele vuole migrare (quasi il 50% sotto i 30 anni), in un’escalation di attacchi contro la minoranza da parte dei gruppi estremisti ebraici o di movimenti legati ai coloni, e una percezione diffusa (quasi il 40%) di discriminazione degli attori statali. È un quadro di malessere e criticità, quello che emerge da una ricerca elaborata dagli attivisti del Rossing Center. Commentando i risultati, gli autori parlano di “crescenti preoccupazioni” della comunità cristiana per “l’erosione percepita degli spazi simbolici e fisici” delle terre in cui è nato Gesù e che “hanno abitato per millenni”. Un grido d’allarme spesso inascoltato, per il quale serve “un più ampio impegno della comunità internazionale” perché possa avere un “impatto sostanziale” sulle autorità israeliane; per questo, osservano, anche in considerazione del conflitto a Gaza e della crescente radicalizzazione serve “un maggiore coinvolgimento da parte delle Chiese nel mondo, di diplomatici e ong umanitarie”.
Desiderio crescente di migrare
Fra i temi di maggiore preoccupazione per il futuro vi è quello legato all’esodo, al desiderio crescente di migrare che riguarda gran parte del Medio oriente, comprese le comunità di Terra Santa. Una porzione “significativa” di persone interpellate nel rapporto (pari al 36%) dice di “considerare” la prospettiva di abbandonare le proprie terre; un desiderio che è meno diffuso a Gerusalemme Est (solo il 16%), mentre riguarda quasi la metà ad Haifa (48%). Fra i fattori che influenzano maggiormente la decisione vi sono la sicurezza (44%) e la situazione socio-politica (33%), anche in considerazione della guerra nella Striscia in atto dal 7 ottobre 2023 che alimenta le preoccupazioni. A livello geografico si registrano alcune differenze, sebbene non così marcate: a Gerusalemme Est dominano preoccupazioni socio-politiche (81%), mentre la sicurezza è un fattore minore (19%). Nel centro di Israele le preoccupazioni socio-politiche si attestano al 45%, mentre quelle relative alla sicurezza toccano il 27%.
I legami familiari (52%) e quello religioso con la terra (24%) sono determinanti nell’impegno a rimanere. A Gerusalemme Est il 39% cita un legame religioso con la terra, mentre il 37% sottolinea quelli comunitari. Nel centro le motivazioni sono più varie, coi legami familiari che sembrano meno significativi (il 30%), mentre una parte consistente (24%) evidenzia la sfida non secondaria di “ricominciare in un altro Paese” fra i motivi per restare. Gli intervistati indicano la protezione della terra e delle proprietà della chiesa (26%), la fornitura di alloggi (24%) e l’offerta di lavoro (22%) fra le azioni più efficaci che le Chiese possono intraprendere per i cristiani palestinesi. Inoltre, al tema della migrazione si accompagna quello - non meno importante - della scarsa natalità fra i cristiani, che registrano il dato più basso fra tutte le comunità etnico-religiose della Terra Santa, contribuendo a metterne in pericolo il futuro stesso. Hussam Elias, project director del Rossing Center, riferisce che “non si vedono cambiamenti nel tasso di fertilità delle donne cristiane” e questo aspetto “si combina con altri fattori” fra i quali “l’estremismo politico e religioso” determinando una spinta all’emarginazione. “Questo - aggiunge - porta i cristiani a lasciare il Paese”. Inoltre le scuole cristiane, fra le migliori, garantiscono una formazione di eccellenza che agevola la scelta di partire. Infine, i cristiani “si sentono parte del mondo e pensano - conclude - che sia più facile integrarsi in Occidente e ciò potrebbe forse incentivare la migrazione, ma questa resta una supposizione che potrebbe diventare oggetto di uno studio futuro”.
Violenze: oltre i numeri
La ricerca del Centro Rossing per l’educazione e il dialogo, organizzazione interreligiosa basata a Gerusalemme e finalizzata alla promozione di una società inclusiva per tutti i gruppi religiosi, etnici e nazionali, prende in esame i cristiani palestinesi e arabi in Israele e Gerusalemme est. Uno studio che fornisce un quadro “dall’interno” della percezione e degli atteggiamenti degli in tema di: libertà religiosa, rapporto con la maggioranza ebrea israeliana, gli attori statali, il ruolo delle Chiese, l’identità e il tema della migrazione, più che mai attuale. Condotto in collaborazione con l’istituto di ricerca “Statnet” nel dicembre 2024, include un campione di 300 intervistati selezionati per distribuzione geografica (Haifa, Gerusalemme Est, Galilea e centro di Israele), età, sesso e denominazione religiosa, che hanno risposto a 29 domande telefoniche in lingua araba.
Lo scorso anno sono aumentati gli attacchi contro i cristiani, con almeno 111 episodi confermati di violenze contro la minoranza a fronte degli 89 registrati nel 2023. Nel dettaglio si sono verificati 46 attacchi fisici, 35 contro le proprietà della chiesa e 13 casi di molestie. La maggior parte degli autori sembra appartenere alle comunità ultra-ortodosse e nazionali-religiose, le vittime sono elementi del clero o indossano simboli cristiani visibili. “I numeri - sottolinea Hana Bendcowsky, responsabile dei programmi per il Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations e figura di primo piano del Centro Rossing - sono solo la superficie della questione”. “Rispetto all’anno precedente - prosegue - si registra una crescita, ma ne serviranno cinque o 10 per capire. Uno dei fattori è la situazione politica che influenza la condizione dei cristiani, laddove estremismo e polarizzazione della società comportano un interesse minore riguardo le minoranze, unito a una maggiore aggressività”.
Luci e ombre
Secondo gli ultimi dati del dicembre 2024 diffusi dall’Ufficio centrale di statistica israeliano, al 31 dicembre 2024 la popolazione è stimata in 10,027 milioni di residenti. Di questi 7,707 milioni (76,9%) sono ebrei, 2,104 milioni (21%) sono arabi e 0,216 milioni (2,1%) sono classificati come altri, compresi i residenti stranieri. I cristiani che vivono in Israele sono 180.300 (circa 1,8% della popolazione, con una crescita dello 0,6% sul 2023), il 78,8% arabi, che costituiscono il 6,9% del totale della popolazione araba di Israele. “Da un lato vi è più paura a reagire alle violenze a fronte di una minore copertura degli incidenti contro i cristiani, che i leader dello Stato ebraico assai di rado commentano” precisa Hana Bendcowsky. Inoltre, gli autori degli attacchi “provengono in maggioranza da un background religioso estremista. Di contro - prosegue - i membri delle varie Chiese condividono maggiormente le informazioni, denunciano con più frequenza gli incidenti e hanno instaurato una maggiore collaborazione con noi”.
I casi più frequenti riguardano sputi e minacce contro i cristiani, anche durante cerimonie religiose o pellegrinaggi, mentre a essere presi di mira sono soprattutto stranieri o chi indossa simboli caratteristici della fede, come le croci. Da qui la richiesta di un maggiore impegno della comunità internazionale per un “impatto più sostanziale” sulle autorità israeliane, incoraggiando al contempo Chiese, ong umanitarie, comunità e diplomatici “ad affrontare attivamente la questione. È indispensabile - afferma lo studio - trattare gli episodi di aggressione con la massima serietà, emettere condanne e garantire che gli aggressori siano consegnati alla giustizia”. In tema di rapporto con le autorità, spiega Bendcowsky, la Chiesa riferisce “mancanza di dialogo o scarsa comprensione dei bisogni: vi è un dialogo alla base, ma poco ascolto”. Di contro, vi sono anche elementi positivi: “Funzionari delle municipalità hanno mostrato di sostenere il nostro lavoro, il miglioramento delle relazioni con le forze dell’ordine, che hanno iniziato a denunciare e arrestare quanti attaccano [soprattutto sputi] i cristiani”. La speranza per il futuro? Che non servano più rapporti, perché non ci sono incidenti da denunciare”. (Asia News 02/04/2025)