2024 06 26 Fermare l'odio con la preghiera
RUSSIA - P. Nikolaj, il sacerdote ortodosso che aiutava tutti sgozzato in DaghestanNIGERIA - È padre Mikah Suleiman, l’ennesimo sacerdote rapito in Nigeria
IRAN – la testimonianza dei cristiani
TESTIMONIANZA
SUDAN - Conflitto senza fine, 10 milioni di sfollati. Il Vescovo di El Obeid: nessuno ascolta la voce di Dio e la voce del popolo
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RUSSIA - P. Nikolaj, il sacerdote ortodosso che aiutava tutti sgozzato in Daghestan
Negli assalti islamisti coordinati e di inaudita violenza che ieri sera hanno colpito due chiese e la sinagoga a Derbent e Makhackala, nel Caucaso settentrionale, sono almeno venti le vittime. Il religioso sessantaseienne ucciso in chiesa davanti ai parrocchiani nel giorno di Pentecoste. Tra gli attentatori uccisi i figli del capo della provincia di Sergokalinsk, arrestato dai servizi dell’Fsb.
Nel Daghestan, una delle repubbliche più tormentate del Caucaso settentrionale russo, la sera di domenica 23 giugno si sono verificati assalti contemporanei di inaudita violenza in due città, a Derbent e nella capitale Makhackala, contro edifici religiosi, due chiese ortodosse e una sinagoga. Il tragico bilancio parla di circa 20 morti, tra cui 15 poliziotti, e il parroco della chiesa della Protezione della Madre di Dio a Derbent, il protoierej Nikolaj Kotelnikov, di 66 anni e da 40 in servizio a questa comunità, a cui i terroristi hanno tagliato la gola davanti ai parrocchiani nel giorno della Pentecoste. Anche il custode dell’altra chiesa ortodossa ha perso la vita nell’attentato.
Gli assalitori sconosciuti, che si pensa possano essere in qualche modo legati all’Isis, hanno aperto il fuoco con armi automatiche sia contro le chiese sia contro la sinagoga, dove subito dopo è stato appiccato un incendio al grido di “Allah è grande!”. Un altro gruppo di terroristi ha assalito anche una postazione della polizia stradale, e un’ulteriore sparatoria ha avuto luogo nel villaggio di Sertokala, nei pressi di Derbent, contro una macchina della polizia.
Il 24, 25 e 26 giugno sono stati dichiarati giorni di lutto per le vittime degli attentati a Makhackala e Derbent. Il giornalista Vladimir Sevrinovskij ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un ricordo di padre Nikolaj, che “apparteneva a una famiglia di cosacchi della circoscrizione dei Sunženskye, un termine che ai tempi sovietici si applicava a parte della popolazione dei Gorskye del Caucaso settentrionale, ed era nato in una Stanitsa, un distaccamento dei cosacchi in Cecenia. Aiutava tutti come poteva, senza mai cercare di ingannare le persone: diceva ai musulmani che avrebbe aiutato anche loro, anche se non poteva battezzarli, e se volevano cambiare religione dovevano andare da qualche altra parte”.
La chiesa di Derbent era già stata oggetto di qualche atto di violenza e intimidazione, da parte di islamisti radicali locali, ma da molto tempo non si verificavano incidenti. Padre Nikolaj si recava ogni tanto in visita alla moschea e alla sinagoga di Derbent, per mantenere buoni rapporti tra le comunità delle varie confessioni. Ora la sinagoga è stata bruciata. (…)
di Vladimir Rozanskij Asia News 24/06/2024
NIGERIA - È padre Mikah Suleiman, l’ennesimo sacerdote rapito in Nigeria
Padre Suleiman, parroco della chiesa di San Raymond a Damba, Gusau, nello stato di Zamfara, nel nord ovest della Nigeria, è stato rapito sabato 22 giugno intorno alle 3 del mattina da un uomini armati che hanno fatto irruzione nella canonica.
“Con tristezza nel cuore, scriviamo per informare il grande pubblico del rapimento di uno dei nostri sacerdoti, P. Mikah Suleiman. Questo triste evento è avvenuto nelle prime ore di oggi, sabato 22 giugno, nella canonica. P. Mikah è il parroco della chiesa cattolica di St. Raymond Damba, Gusau, nello stato di Zamfara”, afferma una dichiarazione della diocesi di Sokoto. “Invitiamo tutti i fedeli di Cristo e tutti gli uomini e le donne di buona volontà a pregare sinceramente perché sia rilasciato subito sano e salvo. Lo affidiamo alla potente intercessione della Beata Vergine Maria, Madre dei Sacerdoti, per la sua pronta liberazione dalle mani dei suoi rapitori” conclude il messaggio.
P. Mikah Suleiman è il terzo sacerdote rapito in Nigeria a giugno. P. Gabriel Ukeh, parroco della chiesa di St. St Thomas, nell’area del governo locale di Zango Kataf nello Stato di Kaduna, era stato sequestrato domenica 9 giugno (vedi Fides 10/6/2024) e poi liberato il 10 giugno (vedi Fides 11/6/2024). È invece ancora nelle mani dei suoi rapitori p. Christian Ike, parroco della chiesa di San Matteo di Ajalli, Orumba North Local Government Area nello Stato di Anambra, sequestrato assieme a un’altra persona nella mattina di domenica 16 giugno (vedi Fides 18/6/2024). A maggio almeno altri due sacerdoti erano stati sequestrati e poi liberati dopo alcuni giorni (vedi Fides 31/5/2024). (L.M.) (Agenzia Fides 24/6/2024)
IRAN – la testimonianza dei cristiani
IRAN -Un tribunale iraniano condanna un cristiano convertito a 15 anni di prigione
18 giugno 2024 (ripreso da Asia News 20 06 2024)
Un tribunale rivoluzionario di Ahvaz ha condannato Yasin Mousavi, un cristiano iraniano convertito, a 15 anni di prigione.
La corte ha accusato Mousavi di "appartenenza a gruppi volti a disturbare la sicurezza nazionale" e di "propaganda contro la Repubblica islamica attraverso la promozione del cristianesimo sionista".
Mousavi è stato arrestato per la prima volta il 24 dicembre 2023, insieme ad altri cristiani convertiti nella città di Izeh.
Ha trascorso 20 giorni in isolamento in una struttura di detenzione del Ministero dell’Intelligence prima di essere trasferito nella prigione di Sheiban ad Ahvaz.
È stato rilasciato su cauzione il 30 aprile 2024.
In precedenza aveva subito detenzioni nell’ottobre 2017, nell’aprile 2021 e nel novembre 2022.
Sebbene i cristiani siano riconosciuti come minoranza religiosa in Iran, le autorità trattano duramente coloro che si convertono dall’Islam al cristianesimo.
IRAN - Convertito cristiano condannato a cinque anni di carcere
10 giugno 2024 (notizia ripresa da Asia News 11 06 2024)
Un convertito cristiano, detenuto per oltre quattro mesi dopo il suo arresto la vigilia di Natale, è stato condannato a cinque anni di carcere per “aver agito contro la sicurezza nazionale comunicando con organizzazioni cristiane sioniste”.
Esmaeil Narimanpour, che in precedenza era stato costretto a sottoporsi a una “rieducazione” religiosa , è stato condannato il 28 maggio presso la terza sezione del Tribunale rivoluzionario di Ahvaz, nell’Iran occidentale, dal giudice Mehdi Fathinia, secondo il sito web in lingua persiana Mohabat News .
Il 37enne, che ha 20 giorni per presentare appello, è stato uno dei quasi 50 cristiani arrestati nel periodo natalizio in una nuova ondata di arresti.
La sua casa a Dezful, 150 chilometri a nord di Ahvaz, è stata perquisita e i suoi libri cristiani sono stati confiscati, sebbene gli agenti che lo hanno arrestato non avessero un mandato. È stato poi trasferito in un centro di detenzione appartenente al Ministero dell’Intelligence ad Ahvaz, dove ha trascorso 18 giorni, prima di essere inviato alla prigione di Shiban.
IRAN - Cristiano armeno condannato a 10 anni "su intuizione del giudice"
11 giugno 2024 (ripreso da Asia News 13 giugno 2024)
Un cristiano armeno è stato condannato a 10 anni di carcere in Iran nonostante il suo avvocato abbia sostenuto che il caso contro di lui era così debole che il giudice è stato costretto a ricorrere ad una disposizione del codice penale che gli permetteva di usare il suo “intuito”.
Hakop Gochumyan, detenuto dal suo arresto l’estate scorsa, è stato condannato per "attività di proselitismo deviante che contraddice la sacra legge dell’Islam" attraverso la presunta appartenenza e leadership di "una rete di cristianesimo evangelico".
Tuttavia, secondo una fonte informata, la condanna del 35enne si basava solo sul possesso di sette Nuovi Testamenti in lingua persiana e sulla visita di due chiese armene e una chiesa domestica in lingua persiana mentre era in vacanza in Iran.
L’articolo 160 del Codice penale islamico iraniano consente ai giudici di usare la loro "intuizione personale" quando mancano le prove, e l’avvocato di Hakop ha sostenuto che in questo caso il giudice era stato costretto a utilizzare questa disposizione, non avendo trovato altre prove contro il suo cliente.
Hakop è stato condannato a febbraio, anche se all’epoca la notizia non era stata resa pubblica, e la settimana scorsa è stato informato che il suo appello era fallito.
La sentenza contro Hakop è stata pronunciata dal sempre più noto giudice della Sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, Iman Afshari, in un caso che coinvolgeva altre nove persone.
Quattro, compreso Hakop, hanno ricevuto condanne a 10 anni; uno ha ricevuto una condanna a due anni; a cinque è stato vietato di lasciare l’Iran e di vivere a Teheran e nelle province limitrofe per due anni; e tutti e 10 sono stati multati per un totale di 500 milioni di toman (circa 8.000 dollari) e privati di diritti come l’appartenenza a gruppi politici o sociali.
Sfondo
L’Iran afferma di garantire la libertà religiosa ai suoi cittadini e spesso mette in evidenza le minoranze cristiane armene e assire come esempi di questa presunta libertà.
Tuttavia, la condanna di Hakop – così come del pastore iraniano-armeno Anooshavan Avedian , che sta scontando una pena detentiva di 10 anni per aver guidato una chiesa domestica – mostra che ogni “libertà” comporta dei limiti: in particolare la libertà di condividere la propria fede non musulmana con gli altri.
L’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che l’Iran ha ratificato senza riserve, sancisce le libertà religiose, tra cui quella di scegliere la propria fede, di cambiarla e di condividerla con gli altri.
Ma non esiste alcuna libertà per qualsiasi iraniano non armeno o assiro che desideri praticare il cristianesimo, poiché è loro vietato frequentare i servizi di armeni e assiri, ai quali è vietato predicare nella lingua nazionale del persiano – tutto per ridurre il rischio di possibilità di conversioni.
Di conseguenza, i convertiti, che superano di gran lunga le popolazioni in continua diminuzione di cristiani armeni e assiri, non hanno un luogo di culto e quindi si incontrano nelle loro case in quelle che sono diventate note come chiese domestiche.
Ma queste chiese domestiche, sebbene non diverse da qualsiasi altro gruppo di cristiani che si riunisce per pregare e adorare in tutto il mondo, sono fuorilegge e i membri vengono regolarmente arrestati e imprigionati con l’accusa di “sicurezza nazionale”.
TESTIMONIANZA
SUDAN - Conflitto senza fine, 10 milioni di sfollati. Il Vescovo di El Obeid: nessuno ascolta la voce di Dio e la voce del popolo
Prosegue senza sosta lo stillicidio di terribili notizie in arrivo dal Sudan. Le cifre sono spaventose: secondo quanto riporta Reliefweb, dall’aprile 2023, inizio del conflitto, gli sfollati forzati sono 9,2 milioni, di cui 7,1 milioni all’interno del Paese e 1,9 nei Paesi limitrofi. Una situazione tragica se si tiene conto, inoltre, del fatto che il Sudan stesso e vari Paesi limitrofi ospitavano già grandi numeri di rifugiati prima di questa nuova emergenza (solo il Sudan i rifugiati in fuga da altre aree di crisi erano 1 milione circa).
Il Sud Sudan e il Ciad, due Paesi presi letteralmente d’assalto dai profughi transfrontalieri, ospitano rispettivamente 670mila e 758mila sudanesi, e sono al collasso. La popolazione civile ormai in gran parte composta da profughi ha bisogno di acqua, cibo, alloggi, salute e beni di prima necessità. L’Unhcr faticano a registrare i nuovi arrivati e a trasferirli verso luoghi più sicuri. Le Ong sono sempre meno presenti perché sono costrette a lasciare il Paese o a ricollocarsi per motivi di sicurezza (come è accaduto a Medici Senza Frontiere, che ha dovuto sospendere le attività al South Hospital di El-Fasher, capitale dello stato del Darfur Settentrionale, a seguito di ripetuti attacchi tra la fine di maggio e inizio giugno.
“La situazione di conflitto nel nostro Paese – riferisce all’Agenzia Fides Tombe Trille Yunan, Vescovo di El-Obeid - è ancora molto grave, registriamo di continuo nuovi scontri, in varie zone del Sudan”. Il conflitto dura più da un anno (dal 15 aprile 2023) e vede coinvolti i due leader a capo delle due fazioni, il generale Abdel Fattah Al Burhan, capo del governo e delle Forze armate, Saf e Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, a capo delle milizie delle Rapid Support Forces,Rsf). “La guerra tra questi due” prosegue il Vescovo “ha portato alla distruzione delle istituzioni governative e private, la gente soffre per la fame, la mancanza di cure mediche e i beni di prima necessità, compresa l’acqua. La connessione a Internet, ormai è diventato un privilegio per pochi e anche per quei pochi, ha una durata molto limitata”.
El-Obeid è la capitale dello Stato del Kordofan Settentrionale, in Sudan.
Di recente il Vescovo Tombe Trille ha esortato le due parti in conflitto a inginocchiarsi per pregare e a porre fine a un conflitto insensato quanto crudele. "Invito i leader a inginocchiarsi per pregare - ha dichiarato il presule - e ad ascoltare la voce di Dio e la voce del popolo, dei bambini, delle donne che gridano per la pace, e anche il sangue che sale dalla nostra terra, di persone assolutamente innocenti che sono morte a causa del fuoco incrociato".
L’appello è rimasto finora inascoltato.
“Ormai” riconosce il Vescovo “nessuno ascolta nessuno, i leader perpetuano combattimenti e uccisioni e sono convinti di prevalere l’uno sull’altro, e nessuno è disposto a fare un passo indietro e soprattutto a dialogare. Le fazioni in lotta parlano di sbarazzarsi dell’altro piuttosto che di dialogo. I nostri leader non sono ancora pronti per un incontro. Il loro mantra è ‘l’altro gruppo non vuole deporre le armi, l’unico modo, quindi, è sconfiggerlo sul campo’”.
In un simile contesto è anche complesso svolgere le attività più ordinarie legate alla propria opera pastorale. Muoversi per i luoghi della diocesi o oltre, incontrare le comunità, celebrare messe e amministrare i sacramenti. “Mi muovo per la mia attività pastorale a mio rischio e pericolo, a volte attraverso il deserto. Solo che per percorrere una distanza di due ore, adesso mi ci vogliono due settimane o almeno dieci giorni” confida all’Agenzia Fides il Vescovo Tombe Trille. “Nonostante ciò” aggiunge “continuo a svolgere la missione anche se tutto suggerisce prudenza. Ma la situazione è così grave che nessun posto è sicuro, nemmeno la stanza dove alloggio, e quindi è meglio che continui a fare la mia missione. Sono appena arrivato dal Sud Sudan, dall’area al confine, per l’ordinazione di un diacono. Chiediamo sempre agli appartenenti alle nostre comunità di recarsi conforto a vicenda, a perseverare nelle preghiere, nella missione e nell’amministrazione dei sacramenti, anche se alcune parrocchie sono prive dei nostri servizi perché sono state evacuate. I catechisti tengono insieme le comunità, in questo tempo difficile”. (LA)
(Agenzia Fides 17/6/2024)