2024 04 03 Pregare al mercoledì per i cristiani perseguitati: perché?

Innanzitutto per sostenere il nostro Corpo, il Corpo di Cristo che è la Chiesa, dove soffre.
Nessuno dei nostri fratelli deve essere lasciato solo mentre annuncia con il sangue la Risurrezione, vera Speranza per tutti gli uomini.
Con la preghiera chiediamo la CONVERSIONE dei PERSECUTORI.
E il Signore ci ascolta.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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TESTIMONIANZA

VIET NAM - Aiutato dai cristiani che perseguitava giovane vietnamita chiede il Battesimo

Educato all’ateismo militante, Ho Ca Dau collaborava con le autorità per far arrestare i seguaci di Gesù. I soli a dargli sostegno, quando in famiglia sono entrati malattia e povertà

In passato ha collaborato per ben dieci anni con le autorità locali per far arrestare i cristiani, accusandoli di «mettere in pericolo la società». Oggi è fra i catecumeni che saranno battezzati nella notte di Pasqua. La travagliata storia della conversione di Ho Ca Dau, ventisettenne vietnamita, ricorda da vicino quella di san Paolo, che «perseguitò i cristiani prima di cadere a terra sulla via di Damasco e scegliere di seguire Gesù».

La storia di Ho richiama una simile, che vide protagonista nel 2009 Tô Hai, un celebre compositore e militante rivoluzionario nord-vietnamita, poi pentitosi. Anch’egli scelse di convertirsi al cristianesimo e di farsi battezzare, abbandonando con decisione l’ideologia comunista e il Partito, dopo un percorso profondo e travagliato che ha descritto nel libro “Diario di un vile”. (…)

Ho Ca Dau è nato in una famiglia atea della provincia di Quang Tri. Nel suo villaggio i cristiani erano trattati come una forza reazionaria, ostile al governo comunista: un’accusa molto diffusa tesa a screditare i fedeli di Gesù in un Paese ancora profondamente intriso dell’ideologia marxista. Dal padre, soldato e membro del Partito comunista, il ragazzo apprende fin da subito che le forze religiose come il cristianesimo «minano le cause rivoluzionarie». Ho entra a far parte della sezione locale dell’Unione della Gioventù Comunista di Ho Chi Minh; terminata la scuola superiore nel 2015, si offre volontario come miliziano per mantenere l’ordine sociale e la sicurezza nel suo villaggio, arrivando a «pedinare le persone e fare la spia». Ammette oggi, con amarezza: «Le sospettavo di diffondere illegalmente il cattolicesimo e il protestantesimo. Le ho accusate di mettere in pericolo la sicurezza sociale». Nel 2016 Ho Ca Dau ha persino fatto arrestare cinque di loro, perché portavano croci e copie della Bibbia nelle loro borse.

La svolta decisiva accade nel 2022, quando al padre del giovane viene diagnosticato un cancro al fegato. La famiglia, dopo aver venduto il bestiame per coprire le cure mediche, finisce letteralmente sul lastrico. È proprio allora che, con grande sorpresa di Ho, diversi cattolici della regione si fanno avanti per dare sostegno psicologico e materiale al padre, fino alla sua morte. Tra i volontari pure le cinque persone arrestate sulla base delle accuse di Ho.

Il giovane, intanto, cerca di sbarcare il lunario come può, trasportando merci in bicicletta nella vicina città di Dong Ha. Ma la miseria e la fame gli giocano un brutto scherzo: un giorno sviene per strada, finché un passante, il cattolico Thaddée Vu Duc Vinh, non lo porta in ospedale e – novello buon samaritano – copre tutte le spese mediche per i tre giorni del ricovero. Thaddée aiuta, poi, Ho a comprarsi una moto di seconda mano e a ottenere la patente di guida, così che possa intraprendere il lavoro di mototaxi. Membro di un gruppo caritativo, Thaddée invita Ho a un incontro in parrocchia. Gradualmente, Ho inizia a unirsi ai cattolici per la preghiera serale e la Messa domenicale nella chiesa locale; si sente in debito con loro per l’amore e il sostegno ricevuti. Questo, però, non piace affatto alla sua famiglia e ai suoi amici, che cominciano a evitarlo, come un estraneo. Uno zio arriva a prenderlo in giro, accusandolo di voler diventare cattolico solo per convenienza, ossia per procurarsi il cibo. Ho, però, rifiuta con decisione tale insinuazione e spiega con grande franchezza: «I cattolici non manipolano la religione e non spingono le persone a opporsi al governo». Oggi Ho sta seguendo un corso di formazione di quattro mesi con altri undici catecumeni nella parrocchia di Dong Ha. (...) Il battesimo avverrà durante la veglia pasquale. Il padrino, manco a dirlo, sarà l’amico Thaddée. Il motto che ha scelto di seguire nella fede cattolica richiama la sua speciale vocazione: «ama i tuoi nemici e prega per coloro che ti perseguitano».
(Avvenire -Gerolamo Fazzini mercoledì 27 marzo 2024)

NOTIZIE
IRAN - migrante convertita condannata a due anni al ritorno in patria
NICARAGUA - Ortega vieta di nuovo le processioni di Pasqua e schiera la polizia
INDIA - Nazionalisti indù contro la Caritas: ‘Via la licenza per i fondi dall’estero’
INDIA - Il Manipur voleva cancellare la Pasqua. Reintrodotta dopo le proteste

IRAN - migrante convertita condannata a due anni al ritorno in patria
La 45enne Laleh Saati era rientrata dalla Malaysia, dove aveva abbracciato la fede cristiana, dopo una vana attesa sulla richiesta di asilo. Un tribunale l’ha riconosciuta colpevole di aver agito “contro la sicurezza nazionale”. Alla base delle accuse presunti collegamenti con “organizzazioni cristiane sioniste”. Fra le “prove” anche il video del suo battesimo.

Una cristiana convertita dall’islam, battezzata in passato in una chiesa della Malaysia, nazione in cui si era temporaneamente trasferita, è stata condannata a due anni di carcere al ritorno in patria in Iran per aver agito “contro la sicurezza nazionale”. Alla base dell’accusa vi sarebbero presunti collegamenti della 45enne Laleh Saati con “organizzazioni cristiane sioniste”.

La donna è tornata nel proprio Paese nel 2017, frustrata dalla vana attesa e dai tempi prolungati di elaborazione della richiesta di asilo nella nazione del Sud-est asiatico, unita alla pratica rimasta inevasa di ricongiungimento con gli anziani genitori. Tuttavia, secondo il sito attivista Article18 - che rilancia fonti di Human Rights in Iran - una volta rimpatriata è stata convocata a più riprese e interrogata in diverse occasioni da agenti dell’intelligence.

Le vessazioni sono continuate per anni sino a sfociare, il 13 febbraio scorso, nell’ordine di arresto eseguito nell’abitazioni del padre nella cittadina di Ekbatan, un sobborgo di Teheran. I poliziotti l’hanno prelevata e rinchiusa nella sezione 209 del famigerato carcere di Evin, alla periferia della capitale, in un’ala sotto la giurisdizione del ministero dell’Intelligence. In cella avrebbe subito ripetuti interrogatori nel corso di tre settimane, durante le quali le sono state mostrate fotografie e video che “proverebbero” le sue “attività cristiane” e il battesimo risalente al tempo trascorso in Malaysia, tutte “prove” del suo “crimine”. Da qui il trasferimento ulteriore nel reparto femminile della prigione.

Il 16 marzo scorso è comparsa davanti al giudice Iman Afshari, presso la sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, che le avrebbe chiesto le ragioni del rientro nel Paese di origine e il rischio di un processo a suo carico per “queste cose [attività cristiane] fuori dall’Iran”. Nella sentenza di condanna oltre ai due anni di cella vi è anche il divieto per altri due anni di viaggiare una volta tornata in libertà alla scadenza della pena, mentre non vi sono informazioni su un possibile rilascio dietro pagamento di una cauzione o di ricorso in appello.

In Iran aumentano i cristiani vittime di arresti e condanne per la sola pratica del culto, in patria o all’estero, o per essersi convertiti dall’islam, e che spesso scelgono di non denunciare per “paura” che la pubblicizzazione del proprio caso possa determinare sofferenze ancora peggiori. L’escalation nelle persecuzioni è testimoniata in un rapporto pubblicato il 19 febbraio scorso e intitolato “Vittime senza volto: violazioni dei diritti contro i cristiani in Iran” (clicca qui per leggerlo). Lo studio è stato realizzato da Article18 con la collaborazione di altre ong di primo piano fra cui Open Doors, Christian Solidarity Worldwide (Csw) e Middle East Concern, che conferma la “netta regressione” della situazione in tema di libertà religiosa.

(AsiaNews30/03/2024)
NICARAGUA - Ortega vieta di nuovo le processioni di Pasqua e schiera la polizia
Niente Via Crucis come nel 2023 e le uniche funzioni autorizzate dovranno svolgersi all’interno dei luoghi di culto: intorno alle chiese 4.000 agenti, un quarto della forza totale

Come previsto, nulla è cambiato. Il Nicaragua di Daniel Ortega ha vietato per il secondo anno consecutivo processioni e Via Crucis per tutto il periodo della quaresima e nella Settimana santa. Per evitare che le disposizioni siano violate le autorità hanno dispiegato circa 4mila agenti di polizia intorno alle chiese del Paese, pari a un quarto del numero totale poliziotti. Le uniche funzioni autorizzate dovranno svolgersi all’interno dei luoghi di culto L’offensiva pasquale del governo di Daniel Ortega si inserisce in un più ampio scenario di repressione contro la Chiesa cattolica e l’associazionismo religioso.

A causa del ruolo di mediazione assunto nelle trattative di pacificazione nazionale avviate dopo le proteste popolari contro il governo di sei anni fa, la Chiesa è finita nel mirino accusata di volere il rovesciamento del regime.

Dal 2018, dei 3.500 tra partiti politici, sindacati, università, associazioni e organizzazioni non governative complessivamente soppresse nel Paese, almeno 400 erano legate alla Chiesa cattolica. Inoltre 203 tra preti, vescovi e suore sono stati espulsi o arrestati. Dati che si sommano alle numerose denunce di sequestri, intimidazioni e violenze contro prelati. (Avvenire - 28 marzo 2024)

INDIA - Nazionalisti indù contro la Caritas: ‘Via la licenza per i fondi dall’estero’
Anche l’organizzazione caritativa ufficiale della Chiesa cattolica nel mirino di una campagna “anti-conversioni” promossa da un organismo legato ai fondamentalisti. Inviata una denuncia al ministero degli Interni. P. D’Souza: “Accuse infondate a un’opera che al servizio di tutti. Così si alimentano solo pregiudizi e paura”.

Persino Caritas India, l’organismo caritativo ufficiale della Conferenza episcopale cattolica dell’India (CBCI), è nel mirino dei nazionalisti indù nella loro campagna anti-conversioni. Proprio nei giorni della Pasqua una ong legata alla galassia dell’Rss ha presentato una denuncia al ministero degli Interni chiedendo che le venga revocato la registrazione all’FCRA, l’albo che sulla base di regole molto stringenti permette alle associazioni di indiane di ricevere finanziamenti dall’estero.

Il Legal Rights Protection Forum (LRPF) - una ong con sede a Hiderabad fondata nel 2016 - sta conducendo una vera e propria campagna condotto una campagna prendendo ancora una volta a pretesto la questione delle presunte conversioni religiose. Insieme a Caritas India ha attaccato anche il Rural Development Trust, un organismo che ha sede ad Anatpur nell’Andrha Pradesh, accusandolo di utilizzare “il progetto di alloggi gratuiti del governo locale per le comunità povere ed emarginate per le sue conversioni cristiane”. Già altre organizzazioni non governative come Harvest India, World Vision India e Jesus Redeems Ministries, con sede nel Tamil Nadu, si sono viste cancellare o sospendere le loro licenze FCRA in seguito a questo tipo di denunce.

Il presidente di Caritas India mons. Sebastian Kallupura, arcivescovo di Patna, commenta ad AsiaNews: “Non sappiamo chi abbia mosso queste accuse, non conosciamo questo gruppo. I nostri avvocati si stanno occupando della questione”. Da parte sua l’ex direttore esecutivo di Caritas India, p. Frederick D’Souza, aggiunge: “Le accuse sono infondate. Caritas India non mira a nessuna conversione, ma lavora al servizio di tutti e inclusivo. Opera in migliaia di villaggi, soprattutto in aree remote e arretrate, con i piccoli agricoltori impoveriti. Attraverso metodi di agricoltura sostenibile, ha aumentato in maniera significativa il loro reddito, ma ha anche ridotto enormemente la loro migrazione verso le aree urbane. Queste accuse – conclude – si basano solo sui pregiudizi e sulla paura”.
(di Nirmala Carvalho AsiaNews 02/04/2024)

INDIA - Il Manipur voleva cancellare la Pasqua. Reintrodotta dopo le proteste
Nello Stato indiano scosso dalle violenze etniche il governo locale annuncia che quest’anno domenica 31 marzo sarà un giorno lavorativo, prendendo a pretesto la chiusura dell’anno fiscale. Ma dopo le proteste dei cristiani (che sono oltre il 40% della popolazione) ritorna sui suoi passi

La Pasqua quest’anno ha rischiato di non essere un giorno festivo nel Manipur, lo Stato nord-orientale dell’India da mesi scosso dalle violenze etniche tra i Meitei e i Kuki, dove i cristiani sono oltre il 40% della popolazione. “Il governatore del Manipur è lieto di poter dichiarare sabato 30 e domenica 31 marzo come giorni lavorativi per tutti gli uffici pubblici per un buon funzionamento delle attività negli ultimi giorni dell’anno fiscale 2023-2024”, si leggeva in un’ordinanza diffusa ieri. Una scelta poi annullata in fretta oggi, ripristinando i giorni festivi dopo le proteste delle locali comunità cristiane.

In India tutti e sabati e le domeniche sono giorni di riposo per gli uffici pubblici, per cui la Pasqua è sempre stata un giorno festivo. In più in molti degli Stati dove la comunità cristiana è più numerosa anche il Venerdì Santo è osservato come una festività locale. L’anno scorso, poi, anche il premier Narendra Modi aveva reso omaggio alla festa dei cristiani, recandosi in visita alla cattedrale di Delhi nel giorno di Pasqua.

In Manipur, invece, quest’anno persino nel giorno in cui i cristiani festeggiano la Risurrezione di Gesù gli impiegati pubblici avrebbero dovuto presentarsi al lavoro. Il provvedimento – inutilmente provocatorio - era motivato con la concomitanza della chiusura dell’anno fiscale, che in India cade il 31 marzo. Ma in uno Stato che è governato dai nazionalisti indù del Bjp, la coincidenza appare quantomeno sospetta. Anche perché nello scontro tra i Meitei (in maggioranza indù) e i gruppi tribali dei Kuki (nella stragrande maggioranza cristiani) in corso ormai da undici mesi e che ha lasciato dietro di sé un bilancio ufficiale di oltre 200 morti, in molti a livello locale hanno soffiato pericolosamente sull’elemento religioso. Le chiese sono state tra i primi obiettivi negli scontri violenti scoppiati a maggio. E l’arcidiocesi di Imphal, nella sua opera coraggiosa di riconciliazione, ha sempre cercato di non alimentare questo tipo di contrapposizione, ricordando che esistono comunità cristiane anche tra i Meitei.

Di fronte alla decisione del governo sulla Pasqua lo sconcerto è stato profondo. “Con un 41,29% della sua popolazione formata da cristiani appartenenti alle comunità Naga, Kuki-Zo e Meitei, il governo del Manipur ha scelto di minare la loro presenza e di mancare di rispetto ai loro sentimenti dichiarando palesemente di essere ‘lieto di dichiarare’ il 30 (Sabato Santo) e il 31 marzo (Domenica di Pasqua) come giorni lavorativi, ben sapendo che i cristiani celebrano la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, che è la pietra miliare della fede cristiana - aveva commentato ad AsiaNews il vicario generale della diocesi di Imphal, p. Varghese Velickakam -. Da un governo che ha permesso che il conflitto e le sofferenze del suo popolo continuassero per quasi 11 mesi, cos’altro ci si può aspettare? Preghiamo che l’India e i suoi cittadini – conclude p. Velickakam - vedano ciò che sta accadendo nella Nuova India”.

Finché alla sera è arrivato il dietrofront del governo locale, che è tornato a dichiarare come festive le giornate di sabato 30 e domenica 31, rimangiandosi dunque quanto reso noto appena 24 ore prima. Ed è verosimile che nella vicenda abbia fatto sentire la sua voce anche il governo New Delhi, per evitare inutili tensioni con i cristiani nel mezzo della campagna per le elezioni generali in programma dal 19 aprile.
(di Nirmala Carvalho AsiaNews 28/03/2024)