2023 12 06 “hanno versato il loro sangue come libagione come il sangue di Cristo”
FILIPPINE - Marawi, morti e feriti in un attentato durante la messa all’Università.NIGERIA - Rapito il parroco della chiesa di San Michele di Umuekebi nello Stato di Imo
LAOS - Distrutte le case di famiglie cristiane nel sud del Laos
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FILIPPINE - Marawi, morti e feriti in un attentato durante la messa all’Università.
Morti e feriti in un attentato durante la messa all’Università a Marawi nelle Filippine.
La zona è a maggioranza Islamica.
Era la settimana Mindanao Week of Peace (frutto di dialogo tra cristiani e islamici). Testimonianza di Padre D’Ambra: “con questi gruppi che continuano a vivere una propria realtà e a volte giustificano quello che fanno con il loro modo di pensare è difficile avere un rapporto diretto.”
Cosa è avvenuto
Nella prima mattina del 3 dicembre, un atto terroristico ha colpito la comunità cattolica filippina nell’isola di Mindanao, in una delle province a maggioranza musulmana. Un ordigno è stato fatto esplodere durante la celebrazione eucaristica che nella prima domenica del tempo di Avvento si stava svolgendo in una palestra nell’Università statale di Mindanao, a Marawi, capoluogo della provincia di Lanao del Sur. La messa era iniziata alle 7 di mattina ora locale. L’attentato ha provocato almeno quattro vittime, e almeno 42 persone sono rimaste ferite. (…)
L’attentato è stato subito attribuito al gruppo islamista locale Daulah Islamiyah-Maute - che non accetta la soluzione del Bangsamoro - che nei giorni scorsi aveva visto 11 propri miliziani uccisi in un’operazione dell’esercito filippino. È probabile che l’esplosione nella palestra della Mindanao
State University – una delle maggiori università del Paese - sia stata causata da una granata o da una bomba rudimentale.
Dove
Sull’isola di Mindanao, nella parte meridionale dell’arcipelago a maggioranza cattolica, vive una consistente comunità musulmana di circa 6 milioni di persone che in passato ha rivendicato forme di autonomia e di indipendenza e - dopo decenni segnati anche da conflitti e ribellione armata - ha ottenuto l’Istituzione della Regione Autonoma di Mindanao Musulmana, che abbraccia le province a maggioranza islamica.
Marawi è il capoluogo della provincia di Lanao del Sur, una di quella comprese nel Bangsamoro, la regione autonoma musulmana istituita ufficialmente nel 2019 come risultato degli accordi per porre fine alla lunga guerra con le milizie musulmane di Mindanao, la grande isola del sud delle Filippine dove è più forte la presenza islamica.
Con i suoi 200mila abitanti - per la stragrande maggioranza musulmani - Marawi è una città dove restano profonde le ferite dei cinque mesi di guerra del 2017, quando il Gruppo Maute, una formazione terroristica legata allo Stato Islamico, ne assunse il controllo. Più di mille persone, tra cui molti civili, morirono nelle settimane di combattimenti tra le milizie islamiste e l’esercito filippino che riuscì a riprenderne il controllo solo il 23 ottobre 2017. Già in quell’occasione la comunità cristiana locale finì direttamente nel mirino: il vicario generale p. Teresito “Chito” Suganob e numerosi parrocchiani della cattedrale di Maria Ausiliatrice furono presi in ostaggio e vennero liberati solo dopo quattro mesi. Dopo anni da quei fatti le promesse di ricostruzione di Marawi sono però rimaste ampiamente disattese: in questa città ci sono tuttora decine di migliaia di persone che vivono nei rifugi di fortuna allestiti durante l’emergenza.
Le vittime
Alla messa celebrata all’Università partecipava una composita assemblea formata da studenti, docenti, personale dell’ateneo, altri fedeli. Le vittime sono quattro studenti cattolici, animatori e volontari della comunità della cappellania universitaria, mentre 54 sono feriti, e sette di questi sono tuttora in ospedale in condizioni critiche. (Agenzia Fides 3/12/2023)
“hanno versato il loro sangue come libagione come il sangue di Cristo”
In una dichiarazione, il presidente della Conferenza episcopale delle Filippine (CBCP), il vescovo di Kalookan mons. Pablo Virgilio David, ha sottolineato la concomitanza tra l’attentato e la prima domenica di Avvento, che la Chiesa celebra oggi.
Ricordando che solo mercoledì scorso in tanti Paesi del mondo i cattolici hanno vissuto il “Mercoledì rosso”, la giornata che ricorda i cristiani perseguitati, mons. David ha aggiunge che questi fedeli uccisi durante la Messa a Marawi “hanno versato il loro sangue come libagione come il sangue di Cristo. Hanno professato la loro fede nell’ultima Messa a cui hanno partecipato, soprattutto nella comunione dei santi, nel perdono dei peccati, nella risurrezione del corpo e nella vita eterna”. (AsiaNews 03/12/2023)
Colpito il luogo dove si tenta un dialogo
Era la settimana Mindanao Week of Peace, settimana in cui, in tutta l’isola di Mindanao, si celebra e si testimonia il desiderio di pace con manifestazioni pubbliche, incontri di dialogo, preghiere”
La piccola comunità dei circa 40mila cattolici delle Prelatura territoriale di Marawi, capoluogo della provincia di Lanao del Sur, sull’isola di Mindanao, nelle Filippine del Sud - teatro dell’attentato - è abituata a quel “dialogo di vita” che caratterizza la quotidianità: vive e si trova immersa, infatti, nella “Regione Autonoma di Mindanao Musulmana” (ARMM), regione a statuto speciale che include cinque province prevalentemente musulmane nelle Filippine e meridionali (Basilan, Lanao del Sur, Maguindanao, Sulu e Tawi-Tawi). Qui i cristiani - che normalmente sono la maggioranza nella nazione filippina, al 90% cattolica - si ritrovano a vivere nella condizione di minoranza e, in quello status, non rinunciano ad essere semi di pace e di speranza nella società. L’ARMM accoglie la maggior parte dei circa 6 milioni di musulmani filippini presenti nel Sud dell’arcipelago, che da decenni rivendicano forme di autonomia e di indipendenza, anche con una ribellione armata, inquinata talora da gruppi che hanno scelto la via del terrorismo, come Abu Syyaf e altri. (…)
Questo attacco è venuto a turbare, poi, proprio la Mindanao Week of Peace, settimana in cui, in tutta l’isola di Mindanao, si celebra e si testimonia il desiderio di pace con manifestazioni pubbliche, incontri di dialogo, preghiere”, riferisce il Vescovo Edwin de la Peña. “Ora, certo la gente ha paura, ma la nostra vita di fede va avanti. Siamo stati colpiti durante il tempo di Avvento e ci affidiamo in modo speciale alla Vergine Maria. Per prudenza, nella imminente festività della Immacolata Concezione, l’8 dicembre, non vi saranno le consuete processioni: la statua della Vergine girerà per le strade delle città e per i territori delle parrocchie e la gente porrà luci e ceri sui davanzali delle finestre, salutando e pregando il Rosario in casa”. (…)
In questo tragico frangente, il Vescovo fa notare “l’ampia e pronta solidarietà e vicinanza ricevuta delle comunità musulmane locali. Anche i primi soccorritori, che hanno trasportato i feriti all’ospedale, e gli stessi medici, tutte persone di fede musulmana, ci hanno dato concreto aiuto e si sono spesi per i feriti. Altri stanno sostenendo le famiglie delle vittime. Questi gesti ci lasciano ben sperare e ci dicono che questa violenza brutale e insensata non avrà l’ultima parola, non riuscirà a demolire le opere di bene costruite in tanti anni”. (…)
Tra le persone impegnate nelle Filippine meridionali nel campo del dialogo interreligioso, padre Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni estere), iniziatore del movimento per il dialogo islamo-cristiano “Silsilah”, nella città di Zamboanga - movimento che si prepara a celebrare i 40 anni di fondazione (1984-2024), commenta a Fides: “Stavamo celebrando la Mindanao Week of Peace, densa di testimonianze ed esperienze fruttuose di dialogo islamo-cristiano. Questo attentato viene a rompere questa atmosfera, creando immane sofferenza, ma ci spinge a non abbandonare questo impegno, anzi, a proseguirlo con maggiore convinzione e intensità. La nostra esperienza di Silsilah cerca di seminare e far crescere una cultura e una mentalità di pace. Abbiamo passato momenti tragici, legati agli omicidi di rappresentanti della Chiesa come Benjamin David de Jesus, Vicario apostolico di Jolo ucciso nel 1997, e di numerosi altri missionari. La presenza di questi martiri benedice e incoraggia tuttora il cammino, a volte irto e difficile, della pace a Mindanao. Non ci lasceremo scoraggiare da quanti vogliono sabotarlo. Oggi abbiamo con noi tanti amici, fratelli e sorelle musulmani che cammino con noi, fianco a fianco”.
(di Paolo Affatato Agenzia Fides 4/12/2023)
Ecco la testimonianza di padre Sebastiano D’Ambra
(AsiaNews) - 04/12/2023
Padre Sebastiano D’Ambra, 81enne sacerdote del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) dal 1977 nelle Filippine, attivo nel dialogo interreligioso e profondo conoscitore dei gruppi (anche armati) musulmani attivi nel sud dell’arcipelago.
Egli ha trascorso gran parte della sua vita missionaria a Mindanao prestando particolare attenzione al dialogo coi musulmani, ricoprendo il ruolo di negoziatore per la pace e aiutando il Moro National Liberation Front (Mnlf). (…)
E proprio in tema di dialogo interreligioso, p. D’Ambra - storico collaboratore di AsiaNews - ha fondato 39 anni fa a Zamboanga City il movimento Silsilah [in arabo: catena, legame ndr]. Il gruppo è una nota presenza di sensibilizzazione culturale, formazione e condivisione, il cui obiettivo è far incontrare cristiani e musulmani. Dal 1984 il Silsilah Forum cerca di allentare tensioni e placare i focolai di violenza religiosa. Un compito che è radicato nel nome stesso del movimento, derivato dalla mistica islamica sufi, che significa “catena” o “legame” che unisce l’uomo a Dio.
Ecco, di seguito, la riflessione del missionario Pime:
Quanto accaduto ieri a Marawi, la principale città musulmana dell’isola di Mindanao non è purtroppo dissimile da quanto successo sei anni fa con l’assedio della città portato dal gruppo Maute, associato all’Isis qui a Mindanao. Un tentativo di catalizzare quindi l’attenzione internazionale sulle loro rivendicazioni, finito con la devastazione della città e centinaia di vittime. Anche oggi la popolazione di Marawi - in maggioranza musulmana ma dove la convivenza con i cristiani è parte della quotidianità - continua a soffrirne le conseguenze.
In questa città proprio l’università di Stato, la Mindanao State University, colpita ieri dall’attentato, dove studiano giovani musulmani e cristiani provenienti da diverse province dell’isola è un esempio di convivenza.
Quello che mi è stato detto da più parti, che ho letto e che mi è stato anche riferito durante un colloquio con il vescovo di Marawi, mons. Edwin de la Peña, è che l’azione sarebbe dovuta all’Isis. Le ragioni di questo attentato sono probabilmente negli scontri recenti tra militari e gruppi che fanno riferimento all’autoproclamato Stato islamico o che gli sono alleati e che, con questa azione indiscriminata, si sarebbero vendicati, ottenendo anche la visibilità che cercavano.
Difficile dire ora quali saranno le eventuali conseguenze, anche sul processo di pace e sulla convivenza. Direi che oggi la situazione è tesa, ma fa parte un po’ della nostra esperienza di Mindanao.
Come movimento Silsilah a cui abbiamo dato vita 39 anni fa, abbiamo vissuto nel nostro impegno di dialogo varie fasi di speranza, paura, tensione. Nel complesso posso dire che c’è stato un progresso nel dialogo, anche se con questi gruppi che continuano a vivere una propria realtà e a volte giustificano quello che fanno con il loro modo di pensare è difficile avere un rapporto diretto.
Il fattore ideologico che fornisce la base o la giustificazione alle azioni di alcuni di loro è difficile da affrontare. A questo si aggiunge che nell’area di Marawi è piuttosto diffuso il conflitto tra famiglie, tra clan, ciascuno che cerca di rafforzarsi e di ottenere dei vantaggi sugli altri. Finisce così che interessi locali si associno a quelli di gruppi esterni alimentando una situazione di tensione in cui è difficile intervenire. Tuttavia, noi come Silsilah continueremo senza preclusioni il nostro percorso di dialogo.
ALTRE NOTIZIE
NIGERIA - Rapito il parroco della chiesa di San Michele di Umuekebi nello Stato di Imo
È p. Kingsley Eze l’ennesimo sacerdote rapito in Nigeria. Il parroco della chiesa di San Michele di Umuekebi nella comunità autonoma di Osuoweerre nell’area del governo locale di Isiala Mbano nello Stato di Imo (sud della Nigeria) è stato sequestrato intorno alle 8 di sera del 30 novembre.
Secondo quanto riferito dai testimoni, uomini armati hanno assalito il sacerdote, popolarmente conosciuto come Padre Ichie, insieme a un’altra persona, Uchenna Newman, mentre erano scesi dalla loro automobile per comprare alcuni oggetti in un incrocio. I banditi hanno prima rapinato i venditori ambulanti, sparando a casaccio e ferendo un passante, e poi hanno costretto il sacerdote e il suo accompagnatore a seguirli.
Secondo un comunicato della diocesi di Okigwe, p. Eze si stava recando ad amministrare il sacramento degli infermi a un parrocchiano quando è stato rapito. Il sacerdote è dal 2017 parroco della chiesa di San Michele. (L.M.) (Agenzia Fides 4/12/2023)
LAOS - Distrutte le case di famiglie cristiane nel sud del Laos
A 10 famiglie sfrattate a settembre è stata assegnata nuova terra altrove, ma senza alcun risarcimento.
Le case di 10 famiglie cristiane sono state recentemente distrutte dalle autorità locali e dai residenti nelle vicinanze, l’ultimo esempio di molestia religiosa nel Laos meridionale.
Secondo alcuni cristiani e funzionari, le famiglie sono state cacciate da tre villaggi nel distretto di Samoey, nella provincia di Saravan, circa due mesi fa.
Alla fine le autorità distrettuali hanno concesso alle famiglie una nuova terra in uno dei villaggi dove avrebbero potuto ricostruire le loro case, ma non è stato fornito alcun compenso o assistenza finanziaria, hanno detto le fonti a Radio Free Asia.
“Ora le autorità li hanno riuniti in un luogo separato dagli altri villaggi”, ha detto un cristiano che ha assistito le famiglie nel reinsediamento. “I nostri fratelli e sorelle devono costruire le loro nuove case”, ha detto mercoledì a RFA in condizione di anonimato.
Anche se il Laos ha una legge nazionale che protegge il libero esercizio della fede, attacchi simili contro i cristiani sono diventati comuni nello stato comunista a partito unico con una popolazione prevalentemente buddista.
Altri episodi
Nella provincia di Saravane, 15 cristiani di sette famiglie sono stati sfrattati dai villaggi tra il 2020 e il 2021.
All’inizio di quest’anno, 15 famiglie e un pastore sono stati costretti a lasciare il villaggio Mai, nel nord-ovest di Luang Namtha, a causa della loro fede cristiana.
Un cristiano in un altro villaggio nel sud del Laos ha detto che gli è stato detto di andarsene dalle guardie di sicurezza.
“Non vogliono che viviamo con loro”, ha detto. “Non possiamo organizzare alcuna cerimonia come un matrimonio. Non ci è permesso riunirci o installare altoparlanti”.
Un pastore cristiano nel nord del Laos ha detto a RFA che alcuni abitanti del villaggio pensano che il cristianesimo sia una minaccia per la loro comunità perché è “la religione degli stranieri”.
Nel febbraio 2022, gli aggressori hanno bruciato la casa di una famiglia di etnia cristiana nella provincia di Savannakhet. Nella provincia di Khammouane, un pastore è stato trovato morto nell’ottobre 2022. Il suo corpo mostrava segni di tortura prima della sua morte. (Di RFA Lao 2023.11.30 Tradotto da Max Avary. A cura di Matt Reed e Malcolm Foster)