2023 11 22 «Dove non c’è libertà religiosa anche i bambini subiscono molestie e persino violenze»

MONDO - Indagine. «In 50 Paesi i figli dei cristiani discriminati anche a scuola»
NEPAL - Situazione della libertà religiosa in peggioramento in Nepal
GUERRE - SUDAN - Vittima di una “guerra dimenticata” TERRA SANTA - L’Inferno in Terra Santa - NIGERIA
TESTIMONIANZA - L’unica colpa essere cristiani, a Siviglia beatificazione di 20 martiri della persecuzione religiosa
Fonte:
CulturaCattolica.it
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MONDO - Indagine. «In 50 Paesi i figli dei cristiani discriminati anche a scuola»
L’onlus Porte Aperte/Open Doors ricorda che dove non c’è libertà religiosa anche i bambini subiscono molestie e persino violenze

Nella Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che si celebra oggi per ricordare che il 20 novembre 1989 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un pensiero va ai bambini che nel mondo sono vittime di discriminazione e bullismo a motivo della loro fede religiosa.

L’onlus Porte Aperte/Open Doors ci ricorda che in circa 50 Paesi i figli dei cristiani subiscono molestie e persino violenze in ambito scolastico. Si tratta degli Stati dove la libertà religiosa non esiste o di fatto non viene garantita. Dall’Afghanistan dei taliban al regime della Corea del Nord, ma anche in Yemen e in Arabia Saudita, in Pakistan, India e Iran e in diversi Paesi africani dalla Somalia a Libia, Eritrea e Nigeria per citare solo i primi dieci. Paesi dove la presenza cristiana è fortemente minoritaria o, in territori come l’Afghanistan e la Somalia, pressoché inesistente.

Ma il problema si pone anche in Paesi con minoranze cristiane consistenti. Dall’Etiopia arriva la storia dei gemelli Fasil e Ezana Tadesse, che vivono in un villaggio. «Qui chi si converte al cristianesimo può ricevere minacce di morte e il pastore che guida la chiesa che frequentano lo sa molto bene» scrive Porte Aperte. Ermias, il padre, è stato testimone di un assalto a colpi di pietra durante una funzione religiosa. A scuola i due fratelli ricevevano voti più bassi dei compagni e gli atti di bullismo nei loro confronti restavano impuniti. «Minacce e vessazioni hanno spinto la famiglia a ritirare i bambini da scuola». Ora frequentano un progetto scolastico sostenuto dalla onlus. Pensato per creare un ponte tra i cristiani e il quartiere, «è diventato anche un luogo in cui i bambini cristiani possono ricevere un’adeguata istruzione, liberi dalla persecuzione».

Tre anni di ricerca sulla persecuzione religiosa specifica su bambini e ragazzi cristiani nei Paesi della World Watch List, scrive l’onlus, «hanno messo in luce quanto lo sperimentare discriminazioni, molestie e violenze basate sulla fede possa cambiare radicalmente la vita e plasmare l’identità del bambino». Le forme sono quelle della violenza verbale e psicologica, dell’isolamento e persino dell’allontanamento dal genitore cristiano. Possono anche essere limitati l’accesso a materiale religioso, come la Bibbia, e a gruppi di catechesi.

In Bangladesh, riferisce l’onlus, «i figli di chi si converte possono riscontrare difficoltà nell’essere ammessi alla scuola del villaggio». Le famiglie devono scegliere: rinunciare all’istruzione, lasciare il villaggio o mandare i figli a studiare fuori. «Crescendo in una società in cui non ricevono rispetto da parte delle altre persone – osserva un cristiano locale citato da Porte Aperte – i figli dei cristiani possono fare fatica ad avere una buona salute mentale a lungo termine. Depressione e altre patologie sono la norma». Senza contare che «una volta adulti avranno meno accesso al lavoro, impoverendo la comunità intera e relegando i cristiani a cittadini di serie B».
(Anna Maria Brogi lunedì 20 novembre 2023 Avvenire)

NEPAL - Situazione della libertà religiosa in peggioramento in Nepal
Un rapporto documenta un aumento della violenza contro i cristiani, alimentata da leggi discriminatorie, anche se un movimento interreligioso di base offre qualche speranza.

Preoccupato per le enormi violazioni dei diritti umani e della libertà di religione in Cina, il mondo ha trascurato problemi simili nel vicino Nepal. Questa è la conclusione di un rapporto della ONG specializzata International Christian Concern (ICC) pubblicato il 9 novembre. Nonostante abbia una disputa sui confini con la Cina, il Nepal ha costantemente votato a favore di Pechino alle Nazioni Unite contro ogni tentativo di indagare sulla condizione umana.
La Corte penale internazionale rileva che la Costituzione e le leggi del Nepal di per sé violano il diritto internazionale sulla libertà di religione o di credo. Pur includendo riferimenti generici alla libertà religiosa, introdotti secondo quanto riferito nella sua versione del 2015 dopo le pressioni americane, la Costituzione del Nepal mantiene un articolo (263) che vieta di “convertire una persona di una religione in un’altra religione”.
Il divieto si riflette nelle leggi nepalesi. Il Codice Generale (Muluki Ain), capitolo 19, stabilisce che “un tentativo di conversione è punibile con tre anni di reclusione. I tentativi successivi di conversione di un altro sono punibili con sei anni di reclusione e deportazione se l’accusato è un cittadino straniero”. Una disposizione parallela contenuta nel Codice penale nazionale del Nepal, sezione 158, afferma che “nessuno può convertire qualcuno da una religione a un’altra né tentare o favorire tale conversione”. Si tratta di un reato punito “con la reclusione fino a cinque anni e con la multa fino a 50mila rupie”.

Nonostante queste disposizioni, la CPI riferisce che il cristianesimo, sia cattolico che protestante, è in crescita. Le statistiche sono in effetti politiche. I dati ufficiali indicano che i cristiani in un Paese a solida maggioranza indù sono 700mila, pari al 2,3% della popolazione, mentre i leader cristiani ritengono che la cifra reale sia compresa tra i due e i tre milioni.

La situazione della libertà religiosa è improvvisamente peggiorata nel 2023, riferisce l’ICC. “La fine del 2023 ha visto un’ondata preoccupante di attacchi fisici contro pastori cristiani e luoghi di culto in tutto il Nepal. Almeno sette attacchi si sono verificati tra il 20 agosto e il 4 settembre 2023 in località in tutto il paese. Le foto e i video esaminati dall’ICC hanno rivelato finestre rotte e altri danni attorno alle proprietà della chiesa”. Un video condiviso a settembre sui social media, non il primo di questo tipo, mostrava “membri arrabbiati della comunità che aggredivano due uomini, identificati come pastori, per strada e imbrattavano i loro volti con una sostanza nera e appiccicosa in un atto descritto dalla ICC come un segno culturale di odio e mancanza di rispetto”. Sono stati segnalati anche boicottaggi delle attività cristiane e proteste contro la pratica cristiana di seppellire i morti anziché cremarli, che si ritiene renda i cimiteri “infestati”.
Sebbene questi siano tutti segnali di un peggioramento della situazione, la CPI rileva anche che ci sono leader indù che promuovono una politica di tolleranza nei confronti delle minoranze. “Una coalizione interreligiosa di leader della società civile si è riunita nel giugno 2023 a Kathmandu per discutere dello stato della libertà religiosa in Nepal e collaborare sui prossimi passi”. Erano presenti circa 200 rappresentanti indù, cristiani, musulmani e buddisti, oltre a membri del Parlamento e funzionari governativi. La conferenza ha dimostrato che la società civile nepalese è in vantaggio rispetto al governo nel promuovere la libertà religiosa e la convivenza pacifica tra le religioni, nonostante i radicali esistano ovunque. (di Massimo Introvigne 16/11/2023 Bitter Winter)

GUERRE

SUDAN - Vittima di una “guerra dimenticata”, la popolazione chiede alle suore di non andar via: “Finché ci siete voi, noi abbiamo speranza”

Stanno bene le missionarie Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) a Karthoum, la cui casa era stata colpita da un ordigno bellico lo scorso 3 novembre.

“È stata una bella sorpresa, perché è difficile per loro trovare il momento favorevole per la connessione” ha dichiarato suor Chiara Cazzuola, Madre generale delle FMA, in merito ad una telefonata ricevuta dalla comunità FMA di Karthoum sabato 11 novembre. “Le suore riferiscono che, grazie a Dio, stanno bene, anche se tutt’intorno alla loro casa è stato bombardato, tanto da rendere difficile vedere dove si trovano. Mentre dall’interno non hanno percepito fino in fondo la gravità dell’accaduto, la gente dall’esterno ha visto i danni causati dal bombardamento alla loro abitazione ed è andata a rendersi conto se le suore erano vive, se stavano bene e se avevano bisogno di qualcosa”.

“Durante la telefonata – racconta ancora suor Chiara -, si sentivano piangere i bambini che erano insieme alle mamme e a tanta gente povera”. Le suore accolgono tutti, al punto di non sapere quante persone hanno in casa.

“Finché ci siete voi, noi abbiamo speranza, non ci abbandonate anche voi!” è il grido che la gente rivolge alle suore, loro unica speranza. E l’intera Comunità è contenta di rimanere sul posto.
Suor Chiara si è detta preoccupata anche per la lontananza e la difficoltà di comunicazione, ma è rassicurata dalla provata fiducia delle suore in Maria Ausiliatrice, che sempre continua a proteggerle, e chiede a tutte le FMA dell’Istituto e alle Comunità Educanti di continuare a implorare la Sua potente intercessione per la pace in Sudan e in tutte le Nazioni del mondo lacerate dai conflitti.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, la guerra civile tra esercito sudanese e Rapid support forces (Rsf), scoppiata lo scorso 15 aprile, ha causato finora 9 mila vittime e oltre 6 milioni di sfollati.

TERRA SANTA - L’Inferno in Terra Santa
di Jacques Mourad
Arcivescovo di Homs. Hama e Nabek

Se volete vedere l’Inferno, dovete venire in Libano, in Siria e oggi soprattutto in Terra Santa.
Lo spirito diabolico in questo tempo spinge il mondo all’Inferno. Vuole trasformare il mondo in un Inferno. E noi davvero stiamo vivendo nell’inferno.
Le morti atroci di migliaia di innocenti in pochi giorni. I bombardamenti sui luoghi di cura e di sofferenza, che dovrebbero essere gli ultimi presidi di umanità. Ostaggi sottratti con la violenza alle proprie case. Le organizzazioni umanitarie colpite mentre operano cercando di portare soccorso a corpi e anime dilaniati dalla guerra. Le istituzioni internazionali che possono mostrare solo la loro impotenza, visto che nessuna decisione appare essere davvero nelle loro mani. Anche in Siria, quando giro nella mia diocesi, vedo ogni giorno anziani e bambini, uomini e donne che cercano qualcosa da mangiare nella spazzatura. Quando inizierà il freddo, nessuno di loro avrà mezzi e risorse per scaldare le proprie case. Questo è il mondo fatto a Inferno.
Se la nostra terra diventa Inferno, è perché nella nostra terra poteri insaziabili perseguono interessi insaziabili. Papa Francesco lo ha detto in modo pacato e allo stesso tempo determinato, quando ha ripetuto che ambedue i popoli hanno diritto a avere uno Stato.
Non è umano che palestinesi ammazzino israeliani nei kibbutz. E non è umano che gli israeliani bombardino chiese e ospedali. Siamo stati sconvolti e afflitti dal vedere le bombe fatte cadere sugli ospedali di Homs e di Aleppo. Adesso tutto questo si ripete a Gaza.
Giustificare i bombardamenti e i cannoneggiamenti su Gaza come strumento per estirpare il male fa anche questo parte dell’Inferno che invade lo spazio delle nostre terre. Perché il male non si estirpa con il male.
Chi vuole togliere il male che distrugge corpi e anime, deve prima togliere il male dai cuori. Solo un cuore puro può purificare altri cuori. E la purificazione dei cuori avviene sempre dopo la giustizia. Non prima della giustizia. Non contro la giustizia. Non con la forza.
I palestinesi hanno diritto di vivere in libertà nella loro terra. Quella terra è anche la loro terra. Dal 1948 vivono da profughi in campi sparsi in tutto il Medio Oriente, e adesso accade lo stesso anche per milioni di siriani. (...)
Chi insegue il progetto di ricostituire antichi Regni nello spazio storico tra l’Eufrate e il Nilo, chi dice che bisogna spazzare via altri popoli nella terra che va dal fiume al mare, punta a escludere per sempre dall’orizzonte del futuro e della storia la possibilità di uno Stato di Palestina e l’idea stessa di veder convivere due popoli in due Stati. Se il mondo tollera e giustifica questo, conferma l’ingiustizia e toglie speranza.
La domanda da porre oggi è: i poteri del mondo vogliono continuare in questa direzione? La risposta a questa domanda riguarda il futuro di questa terra, e di tutta la Terra.
La risposta ha a che vedere non solo con le guerre di oggi, ma con la possibile sciagura di spargere i semi di guerre che esploderanno tra dieci, venti o cinquanta anni. Non siamo responsabili solo di quello che accade oggi nelle aree di guerra: ci verrà chiesto conto di tutto il futuro della terra, con tutte le conseguenze della guerra, (...) (Agenzia Fides 15/11/2023)

NIGERIA - Congresso Missionario Nazionale chiede di avviare la canonizzazione di chi è ucciso “in odium fidei” e strategie di protezione dalle violenze che colpiscono la comunità ecclesiale

Oltre 300 tra vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici, provenienti dalle nove Province Ecclesiastiche della Chiesa nigeriana hanno preso parte al V Congresso Missionario Nazionale (NAMICON V) organizzato dalle Pontificie Opere Missionarie Nigeriane e dal Dipartimento Missione e Dialogo del Segretariato Cattolico della Nigeria.
Il tema che ha fatto da filo conduttore ai quattro giorni di Congresso trascorsi tra presentazioni di paper, discussioni di gruppo e condivisione di esperienze, è stato “Non temere, perché io sono con te” (Isaia 41:10). Il tema è di attualità alla luce della condizione che vive il Paese, nel quale molte persone vanno avanti nella paura (...)
Nella risoluzione finale stilata a fine convegno e composta da sei punti si legge: “A seguito delle sfide alla sicurezza che affrontiamo quotidianamente nel Paese, che ostacolano le opere missionarie e smorzano l’entusiasmo missionario, il tema del congresso di quest’anno, “Non temere, perché io sono con te”, è stato davvero un chiaro appello a rimanere saldi, anche in mezzo di persecuzioni, minacce alla vita e alle attività missionarie”. Uno dei punti nodali della risoluzione è stato proprio quello dedicato alla sicurezza: i cristiani sono stati invitati a prepararsi alle prove, avvalendosi anche del diritto all’autodifesa, sancito dalla Costituzione della Repubblica Federale della Nigeria, e ad impegnarsi per sradicare l’insicurezza del Paese. In relazione a questo punto è stato affrontato il grande tema delle persecuzioni e del sangue dei martiri come seme fecondo della Chiesa. Riconoscendo come fatto assodato che dal martirio, per grazia, possono essere generati frutti di vita buona nella fede, è stato incoraggiato l’avvio dei processi di canonizzazione delle persone uccise perché cristiane e in odio alla fede da Boko Haram e dai banditi ed inoltre è stato chiesto alla Chiesa di riconsiderare la strategia per proteggere i suoi membri dalla persecuzione. (EG) (Agenzia Fides 18/11/2023)
TESTIMONIANZA

Il Papa: l’esempio dei martiri conforti i tanti cristiani discriminati nel mondo
Dopo la preghiera mariana il Pontefice torna sulla figura di don Manuel González-Serna Rodríguez, beatificato ieri insieme a 19 compagni martiri.
Città del Vaticano 19 novembre 2023

“Questi martiri hanno dato testimonianza a Cristo fino alla fine. Il loro esempio conforti i tanti cristiani che nel nostro tempo sono discriminati per la fede.”

L’unica colpa essere cristiani, a Siviglia beatificazione di 20 martiri della persecuzione religiosa

Nessuno ebbe un regolare processo e fu per lo più imprigionato prima della morte violenta per “odio della fede”; molti di loro pregavano, si incoraggiavano a vicenda, si confessavano ed esprimevano parole di perdono per i loro carnefici. Il sacerdote e parroco Manuel González-Serna Rodríguez guida l’elenco dei dieci sacerdoti, nove laici e un seminarista martiri che, sabato mattina, 18 novembre, nella cattedrale di Siviglia, il cardinale Marcello Semeraro beatifica, in rappresentanza di Papa Francesco.

Tra loro, oltre ai preti, c’erano una sacrestana di 68 anni, un fattorino e sacrestano, un avvocato, un farmacista, un falegname, un impiegato di banca, un impiegato comunale, due proprietari terrieri.

Il più giovane, di 19 anni, era il seminarista Enrique Palacios Monrabá. È l’unico seminarista tra i nuovi martiri. Dopo aver terminato il primo anno di studi di Teologia, stava tornando a casa per le vacanze alla fine di giugno del 1936 quando fu arrestato e ucciso insieme al padre, Manuel Palacios Rodríguez, anch’egli martire, nella prigione di Cazalla de la Sierra il 5 agosto 1936. Aveva sei fratelli, rimasti orfani.

La maggior parte di loro apparteneva all’Adorazione notturna, all’Azione Cattolica o era impegnata nel tentativo di impedire che venissero commessi atti di violenza nelle chiese o durante la celebrazione della messa, come nel caso di Manuel Luque Ramos di Siviglia.

Manuel González-Serna Rodríguez era nato a Siviglia il 13 maggio 1880. Fu battezzato il 15 successivo nella chiesa parrocchiale di Tutti i Santi della capitale andalusa.
Compì gli studi per l’istruzione secondaria presso l’istituto provinciale di Siviglia. In seguito, all’età di 14 anni, entrò come studente esterno nel seminario dove completò gli studi di Filosofia e Teologia, per i quali ottenne il baccellierato e, nel 1900, la licenza. Durante la permanenza in seminario fu membro della congregazione di Maria Immacolata e di San Giovanni Berchmans (di cui fu segretario), appartenenza che lo portò, tra l’altro, a visitare i malati, a partecipare alle attività catechistiche e alla propaganda sulla stampa cattolica.
Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 20 settembre 1902, all’età di 22 anni. Dopo un periodo intermedio a Isla Cristina (Huelva), tra il 1909 e il 1911 fu nominato rettore di San Antonio Abad de Trigueros — dove fondò l’Adorazione notturna e mantenne una scuola serale per adulti — incarico che affiancò a quello di arciprete reggente di Huelva. Nel 1910 ottenne l’incarico di curato della parrocchia di Nostra Signora dell’Incarnazione a Costantina (Siviglia), che assunse il 30 ottobre 1911 e dove rimase fino alla morte per martirio, avvenuta il 23 luglio 1936.
Don González-Serna subì a Costantina l’applicazione della legislazione laicista repubblicana degli anni Trenta che, come in tutto il Paese, bloccava l’insegnamento della religione, proibiva manifestazioni, riti cattolici pubblici, come in occasione di funerali, e simboli religiosi negli spazi pubblici. Questa intransigenza, radicalizzatasi nel 1936, si scatenò dopo l’insurrezione militare del 18 luglio, quando tutti gli edifici religiosi furono distrutti, soprattutto la chiesa parrocchiale, e i loro arredi bruciati.
La notte del 19 luglio don González-Serna fu arrestato e portato in prigione, dove lo interrogarono, gli spararono per intimidirlo, lo maltrattarono e umiliarono. Il 23 luglio, quando fu portato nella chiesa parrocchiale, venne sottoposto a ogni tipo di insulto nella piazza affollata. Una volta dentro, venne condotto in sacrestia dove fu ucciso con due colpi di pistola.

La seconda martire, María Dolores Sobrino Cabrera, della città di Costantina era una pia donna di 68 anni, impegnata nella parrocchia come sacrestana. Fu assassinata poche ore dopo nello stesso luogo del parroco González-Serna. Una volta martirizzati, entrambi i corpi furono profanati e lasciati per strada finché, il giorno dopo, un camion li portò al cimitero.
(di Nicola Gori RV 17 novembre 2023)

Siviglia, beatificati venti martiri della guerra civile spagnola
Nella cattedrale di Siviglia, il cardinale Semeraro: il martire non è semplicemente uno che subisce la persecuzione, ma pure uno che è capace di dire: “Padre, perdona”

La vita cristiana «non è una gita, ma una missione rischiosa»: non c’è «chi è pagato per applaudire, come negli spettacoli terreni»; anzi, Gesù «avverte che perfino i legami famigliari possono risultare compromessi dal discepolato di lui». Lo ha sottolineato il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, che sabato mattina, 18 novembre, nella cattedrale di Siviglia, ha presieduto, in rappresentanza di Papa Francesco, la beatificazione di don Manuel González-Serna Rodríguez e 19 compagni martiri.
I venti nuovi beati, ha spiegato il porporato, sono un ulteriore esempio di quella «santità martiriale» di cui ha parlato giovedì scorso Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti al convegno sul tema «La dimensione comunitaria della santità». La loro morte violenta, ha ricordato, si colloca nel contesto della persecuzione religiosa spagnola nel 1936. I singoli episodi furono accompagnati anche da distruzioni di immagini sacre, incendi di chiese e altri edifici religiosi.

La maggioranza del gruppo di martiri è composto da sacerdoti; gli altri sono fedeli laici e, fra loro, uno con il figlio ancora seminarista. C’è pure una donna che, molto «attiva nelle opere di carità, era collaboratrice del parroco», don Manuel González-Serna Rodríguez. Quest’ultimo, «per dare testimonianza della propria fede, volle essere fucilato accanto al Vangelo». Un altro sacerdote, Miguel Borrero Picón, «al momento del martirio volle indossare la talare per mostrare pubblicamente la propria identità». L’uccisione degli altri avvenne «in forme diverse; tutti, però, nel momento decisivo accettarono la morte come espressione della propria fedeltà a Cristo». Il sacerdote Juan María Coca Saavedra, durante i cinque giorni di prigionia a cui fu sottoposto, esercitò il ministero della riconciliazione; altri, poi, «pregavano e si confortavano a vicenda, esprimendo anche parole di perdono per i loro uccisori».

(...) per tutti c’è una condizione di martirio e ne enumera tre forme: La prima è pro fide mortis passio, ossia «il subire la morte a motivo della fede cristiana». Il secondo martirio che un fedele è chiamato a vivere è la iniuriae remissio, cioè «il perdonare le offese». La terza forma è la proximi compassio, ossia la misericordia.

Il primo martirio, ha fatto notare Semeraro, «non sempre accade»; il secondo e il terzo, invece, «dobbiamo viverli sempre». Del resto, «essere anche noi sottoposti a delle prove e sofferenze e, perché no, anche delle tentazioni, vuol dire essere posti nella condizione di diventare capaci di perdonare e di avere misericordia».

Di uno di questi martiri, il sacerdote Francisco de Asís Arias Rivas, «i testimoni hanno esplicitamente dichiarato che pur avendo dovuto sopportare dai persecutori speciali umiliazioni, morì perdonando». Ugualmente don Mariano Caballero Rubio e don Pedro Carballo Corrales morirono invocando la misericordia di Dio e il perdono dei loro aggressori. «Il martire, in fin dei conti — ha concluso il cardinale — non è semplicemente uno che subisce la persecuzione, ma pure uno che, come Gesù dalla croce, è capace di dire: “Padre, perdona”».
(L’Osservatore Romano, 18 novembre 2023)