2019 06 05 ERITREA - Arrestati cristiani pentecostali riuniti in preghiera ROMANIA - Beati i 7 vescovi greco-cattolici martiri del comunismo
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ERITREA - Arrestati cristiani pentecostali riuniti in preghiera
Più di trenta cristiani, appartenenti alle Chiese pentecostali, sono stati arrestati dalle forze di sicurezza nei giorni scorsi. La polizia li ha fermati mentre erano raccolti in preghiera in tre luoghi diversi nella capitale Asmara.
Sulla carta, il governo eritreo riconosce la libertà religiosa. In realtà, le autorità riconoscono solo quattro religioni: il cristianesimo ortodosso, la Chiesa cattolica romana e la Chiesa evangelica-luterana dell’Eritrea (che complessi rappresentano il 50 % della popolazione) e l’islam sunnita (48% della popolazione). Gli altri gruppi religiosi sono considerati "illegali" in quanto il governo afferma che sono strumenti di governi stranieri.
Agenti della polizia compiono continui raid nelle case private dove devoti di religioni non riconosciute, soprattutto i cristiani pentecostali, si incontrano per la preghiera comunitaria. Vengono rilasciati solo se ripudiano la loro fede.
Anche con le confessioni ammesse le autorità di Asmara hanno un atteggiamento rigido. La stessa Chiesa ortodossa, molto legata all’Eritrea, ha subito la forte ingerenza delle autorità. Nel 2007, il Patriarca Antonios, critico nei confronti del presidente Isayas Afeworki, è stato deposto dal governo nel 2007 e da allora vive agli arresti domiciliari. Al suo posto il governo ha imposto abuna Dioskoros. Quest’ultimo è morto nel 2015 lasciando la sede vacante.
La Chiesa cattolica vive in una condizione difficile. Le autorità esigono infatti il pieno controllo di tutte le organizzazioni di matrice religiosa quali scuole private, cliniche mediche e orfanotrofi, istituzioni che danno un innegabile sostegno alla popolazione eritrea (stretta in una morsa di povertà). Un settore, quello sociale, in cui la Chiesa cattolica è molto forte e nel quale deve subire i continui controlli. Anche le istituzioni islamiche sono sotto pressione. Nel 2017, la ventilata chiusura di una scuola islamica ha scatenato una dura protesta. Gli studenti sono scesi nelle strade per protestare e le manifestazioni sono state duramente represse dalle forze dell’ordine
Oltre alle persecuzioni religiose, l’Eritrea, secondo Ong per la difesa dei diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch, è uno stato che pratica sistematicamente la repressione di gruppi politici e sociali di opposizione e la società resta altamente militarizzata. (EC) (Agenzia Fides 3/6/2019)
SPECIALE
ROMANIA - Beati i 7 vescovi greco-cattolici martiri del comunismo
Nel Campo della Libertà di Blaj, in una solenne cerimonia presieduta da Papa Francesco durante il suo viaggio apostolico in Romania, salgono agli onori degli altari i presuli che donarono la propria vita per stare accanto alla loro gente negli anni più bui della dittatura
Ci sono notti più nere delle altre, notti che sembrano più buie e più lunghe e in cui ci sentiamo più soli. Fu una notte così, quella tra il 28 e il 29 ottobre 1948, quando in molti furono prelevati dalle loro case e incarcerati nella prigione di Sighet. Per lo più erano religiosi o fedeli professi, tra cui i 7 nuovi Beati di oggi, allora tutti vescovi della Chiesa greco-cattolica di Romania. Mons. Vasile Aftenie, vescovo di Ulpiana e ausiliare dell’Arcieparchia di Alba Iulia e Fagaras; mons. Valeriu Traian Frentiu, vescovo di Oradea; mons. Ioan Suciu, amministratore apostolico dell’Arcieparchia di Alba Iulia e Fagaras; mons. Tit Liviu Chinezu, vescovo ausiliare dell’Arcieparchia di Alba Iulia e Fagaras; mons. Ioan Balan, vescovo di Lugoj; mons. Alexandru Rusu, vescovo di Maramures; mons. Iuliu Hossu, vescovo di Cluj Gherla. Le stelle del loro martirio, però, brillano di una luce potente, capace di illuminare il nostro cammino verso il Cielo e quello di tutta la Chiesa…
Così anche allora, si pensava che tutto fosse finito, invece la giornata di oggi dimostra che non è così. Si rinnova la logica del mistero pasquale: Gesù, sconfitto, da Risorto diventa salvezza per l’umanità”.
Dove la religione era l’oppio dei popoli
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Romania diventa uno Stato comunista nell’orbita del Patto di Varsavia. Con l’abdicazione del re e l’instaurazione della Repubblica popolare romena, tra il 1947 e il 1948, di fatto si stabilisce un regime “satellite” di quello di Mosca durante il quale, per oltre 40 anni, si attuerà la più sanguinosa persecuzione anticattolica di tutto il Novecento. La Chiesa greco-cattolica è una chiesa di rito orientale ma in comunione con la Chiesa di Roma e quindi con il Papa. Il Papa dai comunisti veniva visto come rappresentante dell’Imperialismo e le sue parole e le sue azioni come l’ingerenza di una potenza straniera nella sovranità nazionale.
Come in un’escalation dell’orrore, la persecuzione si svolse in tre tempi: il tentativo di persuasione, l’arresto, l’eliminazione dei religiosi. Ai sacerdoti e ai vescovi appartenenti alla Chiesa greco-cattolica veniva chiesto di rompere con la Santa Sede; come in una sorta di crudele spoil system che svilisce la grandezza della fede, venivano loro offerte cariche all’interno della Chiesa ortodossa.
Il no deciso dei sette Beati
Il comunismo romeno voleva costruire “l’uomo nuovo”, che non aveva bisogno di nessuno, neppure di Dio, invece gli uomini nuovi in Romania erano proprio uomini di Dio, tra cui i sette nuovi Beati. E martiri come “seme di nuovi cristiani” li aveva definiti già Giovanni Paolo II nel discorso ai vescovi romeni durante il suo viaggio in Romania il 7 maggio 1999: “Figure illustri di discepoli di Cristo vittime di un regime che, ostile a Dio per il suo ateismo, calpestò anche l’uomo, fatto a immagine di Dio”. Tutti e 7 furono imprigionati e torturati; solo 3 di loro morirono in un lager.
“La nostra fede è la nostra vita!”, rispondevano quando veniva loro chiesto di abiurare e di rinnegare la fedeltà al Papa. Vasile Aftenie era professore di teologia a Blaj; Valeriu Frentiu era molto attivo nell’apostolato; Ioan Suciu, il più giovane, pubblicò un’ottima versione del catechismo per i giovani; Tit Liviu Chinezu era cappellano nelle scuole; Ioan Balan fu nella commissione per la codifica del diritto nelle Chiese Orientali; Alexandru Rusu era direttore del giornale cristiano “Unirea”. E poi c’era Iuliu Hossu, un simbolo della lotta contro l’ateismo in clandestinità.
Iuliu Hossu, il cardinale in pectore di Paolo VI
È forse la figura più nota tra i 7 nuovi Beati: Iuliu Hossu fu cappellano militare durante la Grande Guerra, poi nominato vescovo di Gherla. Famoso per il suo impegno pastorale in favore della Transilvania, fu arrestato insieme agli altri in odio alla fede cattolica quell’orrenda notte. Dopo la prima liberazione dal carcere di Sighet, continuò a esortare i fedeli a professare la propria fede con coraggio e cercò di riorganizzare, seppur in segreto, le strutture soppresse della Chiesa cattolica. Costretto dalle autorità al domicilio coatto, la sua storia giunse alle orecchie di Paolo VI, che nel 1969 lo creò cardinale in pectore. Di fatto era per Hossu un’occasione di lasciare un Paese per lui molto pericoloso e rifugiarsi a Roma, ma questi rifiutò per restare accanto al suo popolo. Le sue ultime parole prima di morire, nel 1970, provato dagli eventi, furono per il vescovo Todea: “La mia lotta finisce, la tua continua”. (Roberta Barbi – Città del Vaticano)
PER APPROFONDIRE
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“Secondo i dati forniti dall’Istituto di Investigazione dei Crimini del Comunismo in Romania” ha spiegato Violeta Popescu “durante il regime comunista, nel Paese esistevano 44 carceri e 72 campi di lavoro forzato in cui sono passati oltre 3 milioni di romeni, 800.000 dei quali sono morti” (nota bene: la Romania non arriva a 20 milioni di abitanti).
Il regime comunista della Romania ha portato un suo speciale contributo alla storia degli orrori rossi elaborando forme di tortura e di distruzione della personalità umana che nemmeno nel Gulag sovietico si erano sperimentate. E il peggio assoluto è stato inflitto ai cristiani per ottenere il loro annientamento totale.
Alle torture classiche sono stati aggiunti nuovi particolari supplizi destinati a ridurre in poltiglia non solo i corpi delle vittime, ma anche le loro anime.
Nel famigerato carcere di Pitesti, ad esempio, i detenuti “erano obbligati a ingurgitare un’intera gamella di escrementi e quando vomitavano gli veniva ricacciato il vomito in gola”, scrive Virgil Ierunca in “Pitesti, laboratoire concentrationnaire”.
Il quale riferisce anche i particolari supplizi a cui erano sottoposti i giovani cristiani che non volevano rinnegare la loro fede: tutte le mattine venivano “battezzati” con l’immersione della loro testa “in una tinozza piena d’urina e di materia fecale” e “perché il suppliziato non annegasse di tanto in tanto gli si tirava fuori la testa e lo si lasciava respirare un attimo prima di reimmergerlo in quella mistura”.
I seminaristi erano anche obbligati ad assistere a messe nere e cerimonie sacrileghe con corredo di bestemmie per “rieducazione”. Il tutto sommato alle note torture fisiche.
Un repertorio agghiacciante di esse si trova nel libro “Catene e terrore” di Ioan Ploscaru, vescovo rumeno morto del 1998, a 87 anni. Nel volume c’è il racconto dei quindici anni trascorsi nel lager comunista in condizioni bestiali. (…) Insieme al commovente eroismo di questi martiri cristiani che mai – neanche nei più atroci supplizi – hanno provato odio per gli aguzzini (…).
Un’altra testimonianza impressionante è quella che padre Tertulian Ioan Langa, sacerdote greco-cattolico, lesse in Vaticano il 23 marzo 2004, a 82 anni, di cui sedici trascorsi nell’inferno del lager comunista (l’ha appena ripubblicata Sandro Magister nel suo blog “Settimo cielo”). (…)
(Lo Straniero 02 giugno 2019)
LE PAROLE DEL PAPA ALLA BEATIFICAZIONE
Terre che conoscono la sofferenza
Non furono i soli perseguitati questi 7 nuovi Beati. In quel periodo dove la vita della comunità cattolica fu messa a dura prova dal “regime dittatoriale e ateo”, tutti i vescovi della Chiesa greco-cattolica e della Chiesa cattolica di rito latino furono incarcerati. E con loro, molti fedeli, ricorda il Papa nell'omelia. “Terre” che, quindi, conoscono bene la sofferenza, quando il peso di un regime si antepone alla vita e alla fede delle persone, quando lo spazio per la libertà è cancellato. “Voi - dice loro il Papa - avete sofferto” azioni basate sul discredito fino all’annientamento di chi non può difendersi e al tacere delle voci dissonanti. Ma di fronte alla feroce oppressione del regime, i 7 vescovi dimostrarono una fede e un amore esemplari.
L'eredità di questi martiri: libertà e misericordia
A ricordare la persecuzione in questa Divina Liturgia, anche le sbarre di ferro, che una volta erano alle finestre delle prigioni di questi martiri, montate sulla sedia liturgica dove presiede il Papa. Il calice e l’Evangeliario appartenevano ad uno dei nuovi Beati, il più anziano al momento della morte, mons. Traian Frentiu. Papa Francesco sintetizza l’eredità lasciata da questi martiri della fede in due parole: libertà e misericordia. Attorno a lui si stringe la Chiesa greco-cattolica, unita a Roma dal 1700. Si palpa l’emozione della comunità greco-cattolica, vescovi, sacerdoti, fedeli, una Chiesa, che qui nella cittadina di Blaj, in Transilvania, ha il suo cuore pulsante. I nuovi Beati hanno sacrificato la loro vita opponendosi ad un sistema ideologico coercitivo dei diritti fondamentali della persona, ribadisce il Papa che poi si sofferma sull’altro aspetto della eredità lasciata dai nuovi Beati: la misericordia. Non hanno, infatti, avuto parole di odio verso i loro persecutori o atteggiamenti di ritorsione.
Vincere il rancore con il perdono
Simbolo dell’attitudine con cui hanno sostenuto il loro popolo, le parole di uno di loro, il cardinale Hossu che diceva: «Dio ci ha mandato in queste tenebre della sofferenza per donare il perdono e pregare per la conversione di tutti».
Questo atteggiamento di misericordia nei confronti degli aguzzini è un messaggio profetico, perché si presenta oggi come un invito a tutti a vincere il rancore con la carità e il perdono, vivendo con coerenza e coraggio la fede cristiana.
Le nuove ideologie disprezzano il valore della persona e del matrimonio
Francesco mette poi in guardia dalle “nuove ideologie” che oggi riappaiono per sradicare la gente dalle sue più ricche tradizioni culturali e religiose:
Colonizzazioni ideologiche che disprezzano il valore della persona, della vita, del matrimonio e della famiglia e nuocciono, con proposte alienanti, ugualmente atee come nel passato, in modo particolare ai nostri giovani e bambini lasciandoli privi di radici da cui crescere; e allora tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati, e induce le persone ad approfittare delle altre e a trattarle come meri oggetti.
Lottare contro nuove ideologie, far prevalere fraternità su divisioni
Da qui l’esortazione centrale del Papa:
Vorrei incoraggiarvi a portare la luce del Vangelo ai nostri contemporanei e a continuare a lottare, come questi Beati, contro queste nuove ideologie che sorgono. Tocca a noi adesso lottare, come è toccato a loro lottare in quei tempi. Possiate essere testimoni di libertà e di misericordia, facendo prevalere la fraternità e il dialogo sulle divisioni, incrementando la fraternità del sangue, che trova la sua origine nel periodo di sofferenza nel quale i cristiani, divisi nel corso della storia, si sono scoperti più vicini e solidali. (Debora Donnini – Bucarest 02 06 2019 RV)