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2019 05 01 IL MARTIRIO DEI CRISTIANI A PASQUA dal 2015 ad oggi

Fonte:
CulturaCattolica.it
BURKINA FASO attacco a Chiesa protestante e a Chiesa cattolica. POLONIA – Giornata del martirio del clero polacco: testimoni di fede e della nazione. IL MARTIRIO DEI CRISTIANI A PASQUA dal 2015 ad oggi – TESTIMONIANZA – chi è davvero il martire

BURKINA FASO – attacco a Chiesa protestante e a Chiesa cattolica

Sei le vittime dell’attacco. Ucciso il pastore protestante e due suoi figli, durante la funzione. Negli ultimi mesi sono aumentate le azioni dei gruppi radicali islamici
“Il Santo Padre ha appreso con dolore la notizia di un nuovo attacco contro una chiesa in Burkina Faso”: così, interpellato da Vatican News, il direttore ad interim della Sala Stampa Vaticana. Francesco – ha aggiunto Alessandro Gisotti – “prega per le vittime e i familiari e tutta la comunità cristiana del Paese”.
È di sei morti il bilancio di questo attacco contro una chiesa protestante in Burkina Faso avvenuto domenica scorsa nella località di Silgadji, a 60 chilometri da Djibo, capitale della provincia di Soum. Le vittime sono il pastore Pierre Ouedraogo, colpito durante la funzione, due suoi figli e tre fedeli.

Nuova escalation di violenze
Gli assalitori, arrivati a bordo di una moto, sarebbero poi fuggiti verso il Mali. L’attacco si inserisce in un clima di crescente tensione: venerdì pomeriggio sei persone, tra cui cinque insegnanti burkinabè, sono stati uccisi da una decina di presunti jihadisti a Maytagou, nella regione centro-orientale dl Koulpelogo. La notizia è stata riportata dal sito di Rfi. Il quotidiano Avvenire ha riferito anche di un attacco, avvenuto il 5 aprile, contro un villaggio della diocesi di Dori, durante la Via Crucis; in quell’occasione alcuni uomini armati sono entrati nella chiesa cattolica e hanno aperto il fuoco contro i fedeli, uccidendo quattro persone. Prima di andarsene i banditi hanno saccheggiato il villaggio.

Violenza portata da gruppi islamici radicali
In Burkina Faso, dal 2015 imperversano gruppi terroristici tra cui l’ Ansarul Islam e il “Gruppo per l’affermazione dell’islam e dei musulmani”, affiliato ad al-Qaeda per il Maghreb Islamico. Oltre 250 le vittime in quattro anni e, solo nella capitale, più di 60. (RV 30 04 2019 Marco Guerra)

POLONIA – Giornata del martirio del clero polacco: testimoni di fede e della nazione

Vescovi, sacerdoti e religiosi di Polonia: in migliaia durante la Seconda Guerra Mondiale diedero la vita per stare vicini al popolo. La storia della Polonia e la storia della Chiesa nelle parole di don Jan Mikrut, docente alla Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana

“Gioisci, Polonia, per i nuovi beati! [...] gridano ai nostri cuori: Credete che Dio è amore! Credetelo nel bene e nel male! Destate in voi la speranza! Che essa produca in voi il frutto della fedeltà a Dio in ogni prova!”. Parole accese dal fuoco della fede e del ricordo quelle con cui Giovanni Paolo II beatificava, in Piazza Jósef Pilsudski, a Varsavia, suor Regina Protmann, Edmund Bojanowski e 108 martiri polacchi della Seconda guerra mondiale. Tra loro, sacerdoti e suore, di cui ben 46 trovarono la morte nel lager di Dachau, 14 ad Auschwitz e 16 in altri campi di sterminio nazista.

Le cifre e la testimonianza del clero polacco
Il giorno in cui Dachau – Golgota del clero – fu liberata dall’esercito degli Stati Uniti il 29 aprile 1945, è diventato per la Chiesa polacca il giorno della commemorazione. 6565 furono gli ecclesiastici uccisi nel periodo dell’occupazione, tra il 1939 e il 1945: pastori che accompagnarono il popolo fino alla fine in una condivisione totale della sorte della nazione. A parlarne a Vatican News è don Jan Mikrut della Pontificia Univesità Gregoriana che racconta come il territorio polacco, in occasione del conflitto mondiale, fu diviso “tra due occupanti”, entrambi seminatori di morte. I russi deportarono nei campi di concentramento l’élite polacca, tra cui tanti sacerdoti, in Siberia e Kazakhstan; nell’area occupata dai tedeschi invece il clero era un problema serio per i nazionalsocialisti che intravedevano una profonda unità tra fede e nazione. Le cifre parlano di milioni di morti: “nel 1939 – afferma don Jan – c’erano in Polonia 35 milioni di abitanti che rimasero 24 dopo la guerra. In particolare tra il ’39 e il ’45 in diverse forme di repressione furono coinvolti 6565 ecclesiastici; mentre le perdite personali del clero durante la seconda guerra mondiale si contano in 2812 persone, tra cui 4 vescovi 186 sacerdoti diocesani, 289 regolari, 149 seminaristi, 205 fratelli religiosi e 289 suore.

La Chiesa ha riconosciuto tra loro degli esemplari testimoni di Cristo e li ha elevati agli onori degli altari. Il più conosciuto è senz’altro San Massimiliano Kolbe, ma non è il solo e soprattutto – spiega don Jan – “non furono solo martiri cristiani morti in odium fidei. Qui si tratta di testimoni nati dalla necessità del momento. Nessuno di loro voleva diventare martire: le loro azioni furono una conseguenza sì della vita religiosa ma soprattutto dell’essere parte della nazione. Tutti erano parte della società, hanno reagito secondo i principi evangelici dando il loro aiuto nella consapevolezza di rischiare la vita”.

Chiesa e nazione
Sin dall’inizio della storia della Polonia – dal 1772 quando sono iniziate divisioni e dominazioni – la “Chiesa ha svolto un ruolo importantissimo nella vita della società: è stata l’unica forma organizzata di vita dove esprimere sentimenti patriottici, dove trovare sostegno, aiuto, educazione, formazione e preghiera. Per questo c’è un legame secolare tra la chiesa e la società in modo unico rispetto ad altri Paesi. Quanto accaduto nella Seconda Guerra Mondiale è stato motivato dal passato del Paese. I vescovi, i sacerdoti, le suore in quella occasione hanno dimostrato ancora una volta un legame profondo, una vicinanza ai cittadini e agli eventi, e hanno dato un grandissimo contributo per l’indipendenza e lo sviluppo delle tradizioni e della cultura polacca”.

Pastori vicini al popolo fino alla morte
“Questo sacrificio è molto presente anche oggi”, perché la storia della Polonia ha continuato anche dopo la Seconda Guerra Mondiale ad essere storia di aggressione a causa dell’avvento del comunismo. “Anche allora la Chiesa ha pagato un pesante contributo in testimoni di fede, un clero morto nel cercare di stare vicino alle persone perseguitate. Chiese come luoghi di preghiera ma anche luoghi di incontro in cui si poteva cantare i canti nazionali, parlare delle problematiche del Paese e farlo liberamente. Il messaggio che il clero polacco martire lascia non è quello dell’azionismo: la loro è sempre stata una prova di accompagnamento, e anche di resistenza, come hanno fatto molti cappellani dei partigiani”. I sacerdoti hanno seguito “la loro gente nei campi di sterminio e di lavoro, non per vivere in una canonica ma per poter garantire fino alla fine la cura pastorale, per condividere la vita e la morte”. (…)
(RV 20 04 2019 Gabriella Ceraso)

IL MARTIRIO DEI CRISTIANI A PASQUA dal 2015 ad oggi

2 Aprile 2015, Giovedì Santo, Università di Garissa, Kenya: 148 morti, 79 feriti

27 Marzo 2016, Domenica di Pasqua, Lahore, Pakistan: 78 morti, 300 feriti

9 Aprile 2017, Domenica delle Palme, Chiesa di San Giorgio a Tanta e Cattedrale di San Marco, Alessandria, Egitto: 44 morti e 126 feriti

21 Aprile 2019, Domenica di Pasqua, Santuario di Saint Anthony, Colombo; Chiesa di Saint Sebastian, Negombo; Chiesa protestante di Sion, Batticaloa, Sri Lanka: 250 morti e oltre 500 feriti (bilancio provvisorio)

TESTIMONIANZA – chi è davvero il martire

Padre Rebwar: martire è chi perdona, serve e muore sulla croce

Il sacerdote caldeo iracheno, alla luce della strage di Pasqua in Sri Lanka, racconta a VaticanNews il martirio di tanti membri del clero e di fedeli che hanno testimoniato la loro fede, senza paura, malgrado le violenze anti-cristiane in Iraq. “Il martire è colui che se l’esempio di Cristo” spiega poi padre Rebwar parlando dell’ecumenismo del sangue

Dopo gli attentati di Pasqua in Sri Lanka, nella Chiesa si è tornato a riflettere sul senso del martirio cristiano vissuto da tutte le comunità di fedeli fin dagli albori del cristianesimo. Il sangue dei martiri è sempre stato una testimonianza suprema della capacità di prendere la croce di Cristo fino alle estreme conseguenze. Questi testimoni della fede hanno offerto le loro sofferenze anche per la salvezza dei loro aguzzini e hanno dato coraggio e forza ai tanti cristiani che in diversi contesti storici, geopolitici e culturali, hanno subito e subiscono ancora persecuzioni religiose.

Papa Francesco: il mondo nasconde il martirio
Papa Francesco ha parlato molte volte sul significato del martiro anche durante delle omelie a Santa Marta, in una di esse, lo scorso novembre, il Pontefice ha evidenziato che la “Chiesa cresce anche con il sangue dei martiri, uomini e donne che danno la vita”. “Oggi ce ne sono tanti – ha poi ricordato il Santo Padre – Curioso: non sono notizia. Il mondo nasconde quello. Lo spirito del mondo non tollera il martirio, lo nasconde”.

Padre Rebwar: vittime in Sri Lanka sono martiri
Ma l’esempio ed i frutti portati dai martiri sono molto più forti della mentalità mondana che cerca di nasconderli, come testimonia a VaticanNews padre Rebwar Basa, sacerdote caldeo iracheno che ha visto morire uccisi molti confratelli a Mosul e Baghdad e che serve nella comunità caldea che si è stabilità in Germania.

A lui abbiamo chiesto, fra le altre cose, se le vittime delle stragi in Sri Lanka possono essere considerate dei martiri:

R. – Certamente dobbiamo considerarli dei martiri, perché martirio vuol dire testimone. Loro sono andati a celebrare la Santa Messa nel giorno della Pasqua per testimoniare la resurrezione. Sono stati uccisi proprio in quel giorno, allora sono martiri. Inoltre, il martirio è di quelle persone che stanno dalla parte di Dio, dalla parte del bene, non del male, perché chi fa il male agli altri è un falso martire. Chi fa il bene e sacrifica se stesso quotidianamente, questo è il vero martirio.

Cosa distingue quindi il martirio cristiano da quello delle altre confessioni religiose, anche da quell’accezione di martirio che a volte viene presa da alcune ideologie politiche? In cosa si distingue il martire cristiano?

R. – Nell’ideologie diverse – politiche, religiose – tante volte viene usata questa parola in un modo anche falso. Per noi cristiani martirio vuol dire seguire l’esempio di Cristo raccontato nel Vangelo che cammina nella via del Signore, perdona, serve e muore sulla croce per salvare gli altri, per amore. Questo è il vero martire.

Si può parlare anche di un ‘ecumenismo del sangue’? Ci sono esponenti di altre confessioni cristiane che si sono scarificati senza portare rabbia per i propri aguzzini?

R. – Parlo della mia esperienza personale. A Mosul, purtroppo, quasi tutti i cristiani sono stati cacciati a causa dell’invasione dell’Is. Lì avevamo quasi tutte le Chiese orientali; c’erano siro-cattolici, siro- ortodossi, caldei … Quando nel 2006 hanno rapito ed ucciso in modo barbaro don Boulos Iskander, sacerdote siriaco-ortodosso, don Ragheed Ganni – che è stato mio insegnate – mi ha detto di aver partecipato al funerale. Quando è tornato a casa ha scritto una preghiera molto bella che mostra questo ‘ecumenismo del sangue’. Lui diceva in questa preghiera che non voleva umiliare il sacerdozio di Cristo che portava. Questo martire che apparteneva alla chiesa siro-ortodossa, ha dato tanta forza a don Ragheed Ganni che è stato ucciso dopo sei mesi dal martirio di don Boulos Iskander… Poi anche don Ganni ha dato questa forza al suo vescovo, mons. Paulos Faraj Rahho, per continuare il suo lavoro, di servire la parrocchia dove ha sacrificato se stesso per continuare la sua missione a Mosul. Penso a questo grande esempio, di come i martiri sono uniti. Anche ciò che è accaduto in Sri Lanka, questo attacco barbarico ci spinge ad essere più uniti nel momento in cui il nemico ci attacca perché siamo cristiani, non perché siamo cattolici, ortodossi, protestanti … Apparteniamo a Cristo e chi ci attacca lo fa perché siamo cristiani. E’ allora anche una spinta per noi ad essere più uniti, per superare tutte le differenze secondarie.

Cosa prova per quelli che hanno ucciso il suo confratello, per quelli che hanno perseguitato la sua comunità?

R. – Chi ci attacca è debole, ha paura di una persona che è così vicina a Cristo e non vuole lasciarlo. Da quando sono nato, ho vissuto tante esperienze difficili, non solo una. Il sacerdote che mi ha battezzato è stato ucciso nel Venerdì Santo, a Mosul. Poi don Ganni ha scritto la sua vita, la sua biografia, anche lui mi ha dato tanta forza per essere più vicino alla Chiesa e a Cristo e a non guardare alle cose negative, ma a concentrarmi sempre sulla testimonianza di Cristo ed essergli fedele; poi mons. Rahho con il suo entusiasmo in mezzo alla persecuzione – abbiamo visto quanto era difficile a Mosul –, altri due sacerdoti, due colleghi più giovani sono stati uccisi nel 2010 mentre celebravano la Santa Messa a Baghdad insieme a 50 persone. E tante altre persone che hanno dato la loro vita per Cristo e rischiavano ogni giorno. Nel mio primo anno di sacerdozio – nel 2004 – ero a Baghdad, in quel periodo sono iniziati gli attacchi contro le chiese. Noi dicevamo ai fedeli che era meglio morire in chiesa, mentre stavamo pregando che morire nel mercato o per strada quando un kamikaze si fa saltare in aria. Quindi il pericolo era ovunque però è un onore essere fedeli a Cristo e testimoniare senza paura.

Può essere anche un esempio per i fedeli occidentali? Il coraggio anche semplicemente di andare a Messa è una testimonianza fortissima per chi non vuole rinunciare ai riti sacri pur rischiando la vita?

R. – Purtroppo molte volte le persone che stanno bene, che hanno questa libertà, non lo apprezzano. Però anche questa libertà non è venuta casualmente, in Europa e dappertutto sono stati fatti tanti sacrifici. Da un lato l’Occidente è un esempio per noi, per i Paesi dove ci sono i conflitti come l’Iraq, da seguire per dare più libertà religiosa, più democrazia più diritti umani; dall’altra parte anche l’Occidente non deve dimenticare il passato e deve conservare questa libertà. Questo avviene quando l’essere umano riconosce i suoi limiti, crede in Dio ed è più vicino al Signore che gli ha dato la vita, la libertà. (RV 26 04 2019 Marco Guerra)

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