2018 02 28 ROMA - COLOSSEO ROSSO
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VENEZUELA - L'Arcivescovo di Caracas: il governo "invece di cercare il potere assoluto, risolva la terribile situazione" SIRIA - Ghouta orientale, così i ribelli stanno massacrando i cristiani

ROMA - COLOSSEO ROSSO urlo contro l'indifferenza attorno alle persecuzioni dei cristiani
Duemila anni dopo, il Colosseo torna a tingersi di rosso. Non del sangue dei martiri cristiani, damnati ad bestias, ma dalla luce sanguigna di decine di fari. E in questa serata scura e piovosa, l'anfiteatro Flavio color sangue è un urlo contro l'indifferenza attorno alle persecuzioni sofferte dai cristiani nel XXI secolo. Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) sceglie questo monumento simbolo per pungolare i governi e le opinioni pubbliche. E assieme al Colosseo si illuminano in contemporanea, e in collegamento con questa piazza, le chiese di San Paolo a Mosul e Sant'Elia ad Aleppo. Dalla Siria e dall'Iraq si susseguono le testimonianze dei cristiani scampati alla furia del Daesh. Da Roma quelle di Rebecca Bitrus, nigeriana rapita da Boko Haram, e quelle di Ashiq Masiq e Eisham Ashiq, marito e figlia di Asia Bibi, pachistana condannata a morte per blasfemia.
Alla manifestazione non fa mancare un messaggio di "vicinanza e condivisione" il presidente Sergio Mattarella, che definisce la libertà religiosa, "principio irrinunciabile". Sul palco, al Colosseo, c'è il cardinale Pietro Parolin: "Aleppo e Mosul sono luoghi simbolo dell'immane dolore provocato da fondamentalismi e da interessi geopolitici", dice il segretario di Stato vaticano. "La libertà religiosa è continuamente minacciata - aggiunge - sia quella dei cristiani che degli appartenenti ad altre religioni". Parolin cita Asia Bibi: "Il Papa l'ha definita martire, noi speriamo che questa situazione possa arrivare a conclusione. Dovrebbero anche in questo caso prevalere i diritti: alla libertà religiosa e alla professione della propria fede".
La figlia di Asia Bibi: ho portato al Papa il bacio di mamma
Il Papa riceve i familiari di Asia Bibi, cristiana da 9 anni in carcere per blasfemia in Pakistan, e Rebecca, la giovane nigeriana rapita da Boko Haram: sono due meravigliose donne martiri
Udienza privata di Papa Francesco al marito e alla figlia più piccola di Asia Bibi e a Rebecca Bitrus, giovane nigeriana per due anni prigioniera di Boko Haram. Un incontro straordinario come ci ha raccontato Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre-Italia, presente all'incontro:
"Un incontro straordinario. Siamo ancora tutti particolarmente toccati, anzi, ci vorrà del tempo per rimettere a posto i ricordi nella nostra memoria. L'incontro, durato ben 40 minuti, ha visto al centro una componente: la fede; ha visto al centro una straordinaria spiritualità. Non solo la spiritualità del Santo Padre, ma anche quella di queste ragazze giovani e sofferenti e del marito di Asia Bibi. Abbiamo pregato insieme al Santo Padre. È stato un momento meraviglioso. Ha voluto che lo facessimo tutti assieme nelle nostre lingue. Ad esempio, Eisham, la figlia di Asia Bibi, ha pregato in urdu; Rebecca, la ragazza vittima di Boko Haram in Nigeria, lo fa fatto nel suo dialetto, l'hausa, e noi ovviamente nella nostra lingua. Abbiamo recitato prima il Padre Nostro e poi l'Ave Maria. È stato un momento di straordinaria intensità emotiva. Ovviamente, trattandosi di un'udienza privata, è anche giusto non raccontare tutto ciò che il Santo Padre ha avuto modo di dire a queste ragazze e a noi".
Immagino ci sia stato un incoraggiamento da parte di Papa Francesco...
"Assolutamente. Posso raccontare uno dei momenti più belli. Come probabilmente già sanno i radioascoltatori - perché nei giorni scorsi anche voi ne avete parlato - Eisham il 17 febbraio, prima di partire per Roma, ha incontrato la mamma in carcere, Asia Bibi. Le ha detto: 'Sai mamma, vado a Roma. Incontrerò anche il Papa. Vado a Roma perché il Colosseo si illuminerà di rosso. Penseremo, anzi penseranno a te nel mondo'. Asia le ha risposto: 'Se incontri il Papa, dagli un bacio da parte mia'. Siamo partiti da questo, cioè dal bacio che Eisham ha dato al Santo Padre e che il Santo Padre non solo si è preso tutto, ma ha ricambiato con un affetto e con una testimonianza di vicinanza, di fede, di solidarietà che in quell'abbraccio diceva tutto. L'incontro avrebbe potuto concludersi anche solo con un saluto introduttivo per l'intensità del legame che si è immediatamente instaurato tra il Santo Padre e le testimoni".
Ci puoi accennare alle reazioni delle ragazze e del marito di Asia Bibi?
"Erano piacevolmente sotto shock. L'intensità, l'emotività dell'incontro è stata veramente forte, fortissima, un impatto impossibile da descrivere così come la commozione, l'emozione che nessuno di noi ha nascosto, in particolare le ragazze. C'era emozione vera, visibile. Era forte. Il Santo Padre ha definito Asia e Rebecca "donne martiri" - questo sì, lo possiamo dire - delle meravigliose donne martiri, esempio per una civiltà che ha paura del dolore". (Radio Vaticana 24 02 2018)
CONGO RD - Ancora violenze mentre il mondo prega per la RDC e il Sud Sudan
Mentre venerdì 23 febbraio si celebra la giornata mondiale di preghiera e digiuno per la pace nel mondo e in particolare per la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Sud Sudan, indetta da Papa Francesco, continuano a giungere all'Agenzia Fides notizie di violenze dalla RDC.
Domenica 18 febbraio sconosciuti hanno rapito un sacerdote cattolico. Si tratta di don Idelphonse Myatasi, parroco di Visiki, rapito insieme al suo autista a Kambya, sulla strada tra i villaggi di Cantine e Mabalako nel Territorio di Beni, nel Nord Kivu, nell'est della RDC. Il sacerdote e l'autista sono stati liberati il 19 febbraio sembra grazie alla forte pressione della popolazione.
Secondo l'organizzazione locale per la difesa dei diritti umani CEPADHO, la zona è piagata da rapimenti a scopo di estorsione che ultimamente non risparmiano neppure i sacerdoti.
Il 17 febbraio sono stati rapiti quattro operatori dell'Ong "Hyrolique sans Frontière" (HYFRO) nel Territorio di Rutshuru, sempre nel Nord Kivu. I corpi di due di loro sono stati poi ritrovati con ferite da armi da fuoco.
Secondo la testimonianza di uno degli ostaggi sopravvissuti, che è riuscito a fuggire dalle mani dei suoi rapitori, la morte dei due suoi compagni è avvenuta quando i sequestratori hanno incrociato un gruppo armato rivale. Nel susseguente conflitto a fuoco sono rimasti uccisi i due ostaggi. Il quarto ostaggio è stato in seguito liberato dopo il versamento di un riscatto.
Come ricorda la Rete Pace per il Congo "Nella Repubblica Democratica del Congo, i continui rinvii della tenuta delle elezioni presidenziali sono una delle maggiori cause delle attuali violenze. Le autorità hanno recentemente posto il 23 dicembre 2018 come data delle votazioni. Ma è da fine 2016 che il leader congolese, Joseph Kabila, 46 anni, dimostra di voler ritardare il più possibile l'inizio del processo elettorale e mantenersi al potere quando la Costituzione del paese gli impedisce di candidarsi per un terzo mandato. Le attuali ostilità hanno provocato circa 4 milioni di sfollati in tutto il Paese. Nel nord-est del territorio, soprattutto nella regione del Kivu, la popolazione è infatti vittima di numerosi gruppi armati, spesso finanziati da uomini d'affari e politici con l'obiettivo di sfruttare le preziose risorse del sotto suolo. Nella provincia centrale del Kasai, invece, sono più di 3,300 i civili rimasti uccisi nell'ultimo anno di combattimenti in oltre 40 fosse comuni scoperti". Mentre per quel che concerne il Sud Sudan, si sottolinea che "In Sud Sudan, da quattro anni si vive le atrocità di una brutale guerra civile difficile da decifrare. Secondo le ultime stime, sono circa 3,5 milioni i profughi in tutto il territorio o nei Paesi limitrofi. In più, il Paese è stato colpito all'inizio del 2017 da una drammatica carestia che ha avuto un grave impatto su circa 5 milioni di civili, metà della popolazione". (L.M.) (Agenzia Fides 23/2/2018)
CONGO RD - Terza marcia di protesta dei cattolici: "La repressione è stata meno violenta anche se ci sono state almeno 3 vittime"
"La repressione c'è stata, ma è stata meno violenta delle due volte precedenti, anche se purtroppo almeno tre persone sono state uccise" dicono all'Agenzia Fides fonti della Chiesa nella Repubblica Democratica del Congo, dove domenica 25 febbraio per la terza volta dopo il 31 dicembre 2017 e il 21 gennaio 2018, si sono tenute in diverse località delle marce di protesta organizzate dal Comitato Laico di Coordinamento (CLC) per chiedere l'applicazione integrale degli Accordi del 31 dicembre 2016.
Tra le persone uccise c'è Rossy Mukendi Tshimanga, un giovane attivista molto stimato, la cui morte ha suscitato forte emozione nella capitale, Kinshasa. "Era una persona molto preparata, padre di due figli, ed era un punto di riferimento per diversi giovani" ricordano le nostre fonti.
"Oltre ai morti vi sono stati feriti e almeno 100 persone arrestate, ma le forze dell'ordine non sono state così violente come le altre volte" ribadiscono le fonti di Fides. "A Kinshasa la popolazione ha accusato della morte di Rossy una donna poliziotto. La polizia ha però arrestato un giovane agente in relazione alla morte dell'attivista, accusandolo di non aver seguito correttamente le disposizioni sull'uso delle armi".
Sua Ecc. Mons. Fridolin Ambongo, Vescovo coadiutore di Kinshasa e Vice Presidente della Conferenza Episcopale Nazione del Congo (CENCO), ha ribadito che l'Episcopato congolese è unito e indivisibile ed è impegnato a sostenere la popolazione nella sua lotta per l'applicazione integrale del 31 dicembre 2016, il rispetto della Costituzione e lo Stato di Diritto.
(L.M.) (Agenzia Fides 27/2/2018)
VENEZUELA - L'Arcivescovo di Caracas: il governo "invece di cercare il potere assoluto, risolva la terribile situazione"
"Il governo, invece di stringere il cerchio antidemocratico contro il popolo venezuelano, dovrebbe piuttosto risolvere la terribile situazione economica della paralisi dei trasporti, dell'inflazione sfrenata, dei prezzi alle stelle, della fame e della mancanza di medicine" ha affermato il Cardinale Jorge Urosa Savino, Arcivescovo di Caracas, in una dichiarazione sull'attuale situazione del Paese, pervenuta a Fides, nella quale ha anche espresso la sua contrarietà sulla convocazione anticipata delle elezioni presidenziali, definendole "un oltraggio ai diritti politici dei venezuelani".
Ribadendo che i sacerdoti "non partecipano alla diatriba partitica, ma difendono e difenderanno i diritti della gente, con il dovuto rispetto per le autorità, e senza incitare alla violenza o alla ribellione politica", l'Arcivescovo di Caracas è tornato ad evidenziare la necessità di risolvere l'emergenza sociale che sta vivendo il Paese: "Invece di continuare a progredire nella conquista assoluta del potere - ha affermato con dolore il Cardinale - il governo dovrebbe preoccuparsi di fare in modo che i bambini non muoiano negli ospedali e che non ci siano bambini malnutriti, né che le persone muoiano per aver mangiato manioca avariata".
La situazione in Venezuela è sempre più drammatica, come confermato dal "National Survey of Living Venezuelan Population" (ENCOVI) realizzato da un team multidisciplinare di tre delle più importanti università del Paese: Università Simón Bolívar (USB), Università Centrale del Venezuela (UCV) e Università Cattolica Andrés Bello (UCAB). "Siamo un paese che si è impoverito in modo generalizzato e che soffre di un enorme deterioramento della qualità della vita di tutti i suoi abitanti" ha dichiarato la sociologa María Gabriela Ponce, secondo la nota ricevuta dall'Agenzia Fides, presentando a Caracas il 21 febbraio i risultati dell'ENCOVI 2017.
L'indagine, condotta su 6.168 famiglie in tutto il paese tra luglio e settembre 2017, mostra che la povertà è cresciuta del 5,2% in un anno, passando dall'81,8% nel 2016 all'87% nel 2017. Ciò significa che quasi 9 famiglie su 10 non hanno le risorse per accedere ai beni minimi necessari e non possono pagare il loro cibo quotidiano. Inoltre circa 8,2 milioni di venezuelani consumano due o pasti al giorno o ancora meno, la maggior parte di scarsa qualità, con poche proteine, quindi 6 venezuelani su 10 (il 64% della popolazione) hanno perso circa 11 kg di peso l'anno scorso a causa della fame.
Per quanto riguarda la violenza, secondo il sondaggio, i giovani sono le vittime principali: 43 giovani tra i 12 e i 29 anni muoiono ogni giorno nel paese. Il tasso generale degli omicidi è di 89 ogni 100 mila abitanti.
A ciò si aggiunge il 22% della popolazione che è stata vittima di qualche crimine durante l'anno, cioè 1 venezuelano su 5, e il 65% di loro ha preferito non denunciare alle autorità per la sfiducia nei confronti delle istituzioni. In termini di salute il sondaggio rileva che il 68% della popolazione venezuelana non ha assistenza sanitaria, con un aumento del 5% rispetto al 2016, e quasi il 20% rispetto al 2014. Un altro dato allarmante è che 4 bambini e adolescenti su 10, tra 3 e 17 anni (38%), abbandona la scuola per diversi motivi, tra cui problemi di trasporto, i blackout o la mancanza di cibo. (LG) (24/02/2018 Agenzia Fides)
IL SILENZIO E LA PROPAGANDA DEI NOSTRI GIORNALI SULLA SIRIA.
Ghouta orientale, così i ribelli stanno massacrando i cristiani
Esiste una storia dimenticata. Una storia che in questi giorni i quotidiani non stanno raccontando: il bombardamento di Damasco da parte dei ribelli della Ghouta orientale. Da più di due settimane, infatti, i jihadisti di Faylaq al Rahman, Tahrir al Sham e Jaysh al Islam stanno bombardando la capitale siriana, lasciando a terra parecchi morti, tra cui anche molti bambini. Su Twitter i jihadisti hanno diffuso anche alcune immagini dei missili che hanno lanciato contro la città.
Rana, che vive in centro a Damasco, ci racconta: "I missili dei ribelli ci colpiscono da ogni direzione. È dal 2012 che ci bombardano e noi non abbiamo altra scelta se non quella di rimanere. Dove potremmo andare? Il nostro lavoro, le nostre case e la nostra terra sono qui. Non lasceremo mai le nostre terre ai terroristi". Molti pensano che la guerra stia per finire, che dopo la battaglia nella Ghouta orientale i ribelli verranno spazzati via, ma per Rana tutto questo sarà possibile solamente quando "gli Stati stranieri, come gli Usa, smetteranno di aiutare i terroristi".
Youssef ha da poco perso tre amici. I ribelli li hanno centrati con un colpo di mortaio: "La maggior parte delle persone qui è abbastanza coraggiosa - ci dice - da continuare a sorridere. Oggi, nonostante la morte di tre amici, sono riuscito a ridere tre volte. Questo accade perché la vita non si può fermare". E poi continua: "Quelli che stanno soffrendo di più oggi sono i cittadini siriani, da qualunque parte si trovino. Ed è per questo che bisogna porre fine a questa folle guerra".
Il racconto dei cristiani
Ma è padre Amer Kasser a mettere in guardia l'Occidente: "Solamente ieri ci sono stati 13 morti e 75 feriti a Damasco. Nella Ghouta orientale ci sono tanti gruppi jihadisti. Tutti i media parlano di ciò che succede lì e nessuno di ciò che sta accadendo qui. A colpirci sono quelli che voi chiamate ribelli e che pensate siano angeli venuti dal cielo. Per i vostri media è solo il regime ad uccidere i civili. Le nostre zone, quelle cristiane, si trovano in prima linea e i colpi dei mortai jihadisti colpiscono le nostre chiese. Poche settimane fa una ragazza di 15 anni è stata uccisa mentre usciva da scuola e una sua amica ha perso una gamba".
Suor Yola, delle missionarie del Cuore Immacolato di Maria di Damasco, ci spiega: "Non abbiamo dormito tutta la notte. Dalle 2 alle 5 ci sono state continue esplosioni. Circa un mese fa era tutto tranquillo, sembrava quasi che la guerra fosse finita. Tranne che a Bab Touma, dove comunque continuavano a piovere missili. Dopo l'arrivo dell'esercito i lanci dei missili sono però aumentati. I missili ci terrorizzano perché provocano enormi esplosioni". Una settimana fa, la situazione è però peggiorata: "I ribelli hanno infatti colpito Jaramana provocando molti morti". (…)
Don Munir, sacerdote salesiano di Damasco, ci racconta: "Nelle ultime due settimane sono aumentati i missili provenienti dalla Ghouta orientale. Cercano di colpirci negli orari in cui i ragazzi escono da scuola e in cui le persone vanno al lavoro per fare più morti possibili. La città è paralizzata. E questo è il loro obiettivo: rendere tutto triste".
Ma il prete è chiaro: "L'esercito deve liberare la Ghouta perché non è la prima volta che i ribelli ci costringono a fermare ogni attività in città. Quante volte i ribelli hanno provato ad entrare a Damasco? È dovere del governo siriano, come ha spiegato il rappresentante all'Onu Bashar Jaafari, fermare gli islamisti: 'Se avete un parco nel centro di Parigi che è pieno di jihadisti, cosa fai?' Tutti parlano dei 400mila civili della Ghouta, ma nessuno parla degli 8 milioni di cittadini a Damasco. L'esercito deve difendere i nostri figli".
Mentre stiamo finendo la conversazione, don Munir ci ricorda: "Molto di quello che è stato raccontato sulla Siria in questi anni è stato manipolato. Perché nessuno ci chiede cosa sta accadendo qui? Vi prego, raccontate solamente ciò che stiamo vivendo da sette anni a questa parte".
(Tratto da www.gliocchidellaguerra.it 24 feb 2018)