2015 04 22 Bruciati, violentati, sgozzati, gettati in mare. Santa Sede: cristiani perseguitati, fallimento dell’Onu
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
Santa Sede: cristiani perseguitati, fallimento dell’Onu
Si è tenuta il 17 aprile al Palazzo di Vetro di New York una importante conferenza sul tema: “La persecuzione dei cristiani a livello globale: una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”. Per la Santa Sede è intervenuto l’osservatore permanente vaticano all’Onu, mons. Bernardito Auza. Il presule ha ricordato gli accorati appelli di Papa Francesco alla comunità internazionale perché “non resti muta e impassibile” davanti a crimini così inaccettabili. I martiri di oggi – ha osservato citando il Pontefice - "sono più numerosi che nei primi secoli cristiani”. Il servizio di Sergio Centofanti:
Terre intrise di sangue cristiano
In Iraq, Siria, Nigeria, Libia, Kenya e nelle regioni del subcontinente asiatico – ha detto mons. Auza - “la terra è stata letteralmente intrisa di sangue. Abbiamo visto immagini barbare di cristiani copti decapitati in Libia; chiese piene di gente saltare in aria durante le celebrazioni liturgiche in Iraq, Nigeria e Pakistan; antiche comunità cristiane cacciate dalle loro case nella Piana di Ninive; studenti cristiani giustiziati in Kenya”.
Cristiani presi di mira
“Migliaia di persone in tutto il mondo – ha rilevato - sono perseguitate, private dei loro diritti umani fondamentali, discriminate e uccise semplicemente perché sono credenti. Sappiamo che questi attacchi contro persone di fede non accadono solo ai cristiani”, ma anche ad altri musulmani e minoranze etniche, come gli yazidi, soprattutto in seguito alle violenze dei miliziani del sedicente Stato islamico. Tuttavia – ha precisato – c’è un fatto incontrovertibile: “in molte parti del mondo, i cristiani sono presi di mira in modo specifico”. Così, il rapporto 2014 del Pew Research Center rivela che gli attacchi alle persone di fede sono compiuti di più contro i cristiani che contro qualsiasi altro gruppo religioso.
Fallimento dell’Onu
Tra il 2006 e il 2012 – afferma mons. Auza - i cristiani sono colpiti da persecuzioni o discriminazioni in 151 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite. “Ciò indica – sottolinea con forza il presule - un fallimento collettivo di questa organizzazione internazionale, il cui obiettivo primario è quello di risparmiare popoli e nazioni dal flagello della violenza e delle aggressioni ingiuste”. Mons. Auza ricorda che “tra 100 e 150 milioni di cristiani sono perseguitati nel mondo di oggi”.
Medio Oriente: cristiani a rischio estinzione
“Le persecuzioni religiose – aggiunge - non solo sono diffuse, ma anche in aumento”. Così, “la libertà religiosa a livello globale è entrata in un periodo di grave declino negli ultimi tre anni”. “In Medio Oriente, in particolare, i cristiani sono stati specificamente presi di mira, uccisi o costretti a fuggire dalle loro case e paesi. Solo 25 anni fa, c’erano quasi due milioni di cristiani in Iraq; le stime più recenti dicono che sono oggi meno di un quarto di quella cifra”. Qui, i cristiani, hanno “un profondo senso di abbandono”. “La scomparsa di queste comunità del Medio Oriente – rileva - non solo sarebbe una tragedia religiosa, ma la perdita di un ricco patrimonio religioso-culturale che tanto ha contribuito alle società a cui appartengono. Per 2.000 anni, i cristiani hanno chiamato ‘casa’ il Medio Oriente; anzi, come tutti sappiamo, il Medio Oriente è la culla del cristianesimo”. Oggi, “queste antiche comunità cristiane della regione, soprattutto quelle che ancora parlano l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo, sono tra quelle a rischio di estinzione”. Papa Francesco – ricorda – “ha ripetutamente affermato che non possiamo rassegnarci a pensare ad un Medio Oriente senza cristiani. La loro esistenza ininterrotta nella regione è la testimonianza di molti secoli di convivenza, fianco a fianco con i musulmani e altre comunità religiose ed etniche. Il mondo intero ha un grande interesse nel preservare tale convivenza e tutti dobbiamo unirci per impedire l’espulsione dei cristiani prima che sia troppo tardi”.
Agire presto, prima che sia troppo tardi
L’osservatore permanente ricorda che il mese scorso a Ginevra, al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, 65 Paesi hanno firmato una dichiarazione, redatta da Libano, Russia e Santa Sede, per sostenere i diritti umani dei cristiani e di altre comunità, in particolare in Medio Oriente: “E’ stata la prima volta in cui si è fatta menzione esplicita della categoria dei cristiani al Consiglio per i diritti umani”. Mons. Auza lancia l’appello ad agire presto, con urgenza, prima che sia “troppo tardi”: “i cristiani perseguitati in tutto il mondo … contano su di noi e chiedono sempre maggiori sforzi da parte nostra per risparmiarli dalla persecuzione. La loro stessa sopravvivenza potrebbe dipendere dalla nostra solidarietà. Preghiamo affinché possiamo essere in grado insieme di aprire gli occhi del mondo su quello che sta succedendo”.
Radio Vaticana 18 04 2015
SUDAFRICA - Uccisa suora nel KwaZulu-Natal: da 60 anni in missione, una vita dedicata ai bambini poveri
Una suora missionaria austriaca di 86 anni, Suor Stefani Tiefenbacher CPS (Suore Missionarie del Preziosissimo Sangue), è stata uccisa nella notte tra sabato 19 e domenica 20 aprile nella sua camera, nella missione del Sacro Cuore di Ixopo, nella provincia del KwaZulu-Natal, nell’est del Sudafrica.
Secondo le notizie pervenute all’Agenzia Fides una consorella intorno alle 3 del mattino di domenica ha trovato il corpo di suor Tiefenbacher: era legata e imbavagliata. La religiosa è morta soffocata. Prima di morire avrebbe subito anche una violenza sessuale. Suor Tiefenbacher era in missione da 60 anni e si dedicava ai bambini poveri della locale comunità.
(Agenzia Fides 21/4/2015)
LIBIA: video dell’Is mostra uccisione cristiani etiopi
Ancora una terribile strage da parte dei fondamentalisti del sedicente Stato Islamico: un nuovo video dell’Is mostra l’uccisione di cristiani etiopi rapiti in Libia con colpi di pistola e decapitazioni. A riferirlo è “Site”, un sito americano di monitoraggio dell’estremismo islamico.
Il video, della durata di circa mezz’ora, con il logo dell’Isis, si intitola «Until there came to them clear evidence». In esso viene mostrata la barbara esecuzione attraverso colpi di pistola e decapitazioni. Le immagini si alternano a quelle dei copti uccisi a febbraio, e nel video compaiono anche fotogrammi della distruzione delle croci dalle chiese della Piana di Ninive, in Iraq, indicate come "una purificazione dal politeismo".
Negli ultimi minuti appare anche "Jihadi John", il jihadista britannico protagonista dei terrificanti video delle decapitazioni di ostaggi occidentali, che rivolgendosi in inglese ai cristiani di tutto il mondo dice: "We’re back!", "siamo tornati". Sempre ai cristiani viene chiesto poi, tramite il filmato, di sottomettersi e pagare una tassa per guadagnarsi la "protezione", la cosiddetta jizyah. Altrimenti pena la morte.
EGITTO - Il Vescovo copto Antonios Aziz Mina sui cristiani etiopi massacrati: nei martiri risplende la vittoria di Cristo
I Patriarchi e i Vescovi cattolici d’Egitto, raccolti al Cairo per la periodica assemblea che li vede riuniti due volte l’anno, dedicheranno parte della loro comune riflessione pastorale alle nuove stragi di cristiani etiopi compiute dai jihadisti dello Stato Islamico e da loro documentate in filmati confezionati con macabra professionalità per essere diffusi online come strumenti della loro delirante propaganda.
Nel video – particolare eloquente – le vittime vengono presentate come appartenenti alla “ostile Chiesa etiope”. Al momento mancano verifiche e conferme indipendenti sull’identità delle vittime. Secondo fonti del governo e della Chiesa ortodossa d’Etiopia, è probabile che si tratti di poveri emigranti etiopi appartenenti alle moltitudini di uomini e donne che provano a raggiungere l’Europa attraversando la Libia e poi imbarcandosi sui barconi gestiti dalla rete criminale degli scafisti.
“Il Patriarca della Chiesa ortodossa d’Etiopia Mathias I” riferisce all’Agenzia Fides Antonios Aziz Mina, Vescovo copto cattolico di Guizeh “aveva programmato di venire in Egitto e ripartire insieme al Patriarca copto Tawadros II per partecipare a Erevan alle commemorazioni del Genocidio armeno. Adesso, all’ultimo momento ha dovuto annullare la visita, si è scusato e ha detto che rimarrà in Etiopia. Le storie di martirio del passato incrociano le storie dei martiri di oggi”.
La Chiesa ortodossa d’Etiopia è stata vincolata giurisdizionalmente al Patriarcato copto di Alessandria d’Egitto fino al 1959, anno in cui è stata riconosciuta come Chiesa autocefala dal Patriarca copto Cirillo VI. Proprio lo scorso aprile Abuna Mathias aveva compiuto una storica visita in Egitto, che aveva segnato anche un passo importante nel superamento di passati contrasti tra le due Chiese. Il Patriarca etiope era stato ricevuto con tutti gli onori anche dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.
“Colpisce” fa notare Anba Antonios “che la Chiesa etiope venga definita ‘Chiesa ostile’... evidentemente questi strani jihadisti seguono anche i risvolti politici degli incontri tra le Chiese. Ma nel grande dolore” aggiunge il Vescovo copto cattolico “continuiamo a guardare a queste vicende con lo sguardo della fede. La filiera dei martiri non è finita, e accompagnerà tutta la storia, fino alla fine. I cristiani non cercano il martirio, vogliono vivere nella pace e nella letizia. Ma se il martirio arriva, è un conforto vedere che può essere accettato con la stessa pace con cui lo hanno accettato i copti che pronunciavano il nome di Cristo e a Lui si affidavano mentre venivano sgozzati. La Chiesa non si è mai lamentata del martirio, ma ha sempre celebrato i martiri come coloro in cui, proprio mentre vengono uccisi, risplende la grande e consolante vittoria di Cristo”.
(Agenzia Fides 20/4/2015).
La Chiesa è attonita per l’uccisione dei 12 immigrati cristiani, gettati in mare durante il viaggio dalla Libia verso l’Italia.
Dodici migranti buttati in mare perché cristiani
La polizia di Palermo ha fermato 15 musulmani, tra cui un minorenne, dopo lo sbarco
Di Redazione
ROMA, 17 Aprile 2015 (Zenit.org) - Il dramma dell’immigrazione si unisce al dramma della persecuzione religiosa: dodici migranti sono stati buttati in mare da un barcone che dalle coste della Libia si dirigeva in Sicilia solo perché cristiani. A compiere il gesto crudele sono stati altri immigrati a bordo dell’imbarcazione di fede islamica. I dodici, di orgine nigeriana e ghanese, sono annegati, mentre altri si sono salvati da una simile sorte legandosi fra di loro in una catena umana, ancorata allo scafo.
A raccontarlo sono gli stessi superstiti, una volta sbarcati al porto di Palermo mercoledì. "Abbiamo lottato per vivere, ma loro erano molti di più e non so per quanto tempo avremmo potuto resistere", ha detto un giovane nigeriano.
La polizia di Stato, in base alle testimonianze di sei dei 95 profughi ma anche a riconoscimenti fotografici, ha quindi disposto un provvedimento di fermo per 15 persone (tra cui un minorenne di 17 anni) con l’accusa di "omicidio plurimo aggravato dall’odio religioso". La maggior parte di loro proviene dalla Costa d’Avorio, il resto da Mali, Guinea Bissau e Senegal. Le indagini, tuttavia, sono ancora in corso perché i responsabili della violenza potrebbero essere molti di più.
Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, sul gommone partito domenica scorsa, intorno alle 20, è scattata una "rissa mortale" a danno dei cristiani, a causa di una presunta loro pretesa di “gestire” l’acqua da bere a bordo e di averla negata ai musulmani, in numero maggiore. Quindi si è scatenata la violenza che ha portato alla morte di 12 persone che hanno lottato con le unghie e con i denti per salvarsi e non cadere in acqua.
PAKISTAN - E’ morto il ragazzo cristiano bruciato vivo da giovani musulmani
Nauman Masih, il 14enne cristiano pakistano, che è stato dato alle fiamme da un gruppo di giovani musulmani sconosciuti alcuni giorni fa (vedi Fides 13/4/2015), è deceduto nell’ospedale di Lahore. Lo apprende l’Agenzia Fides da fonti locali in Pakistan. Il ragazzo era stato fermato e aggredito dopo aver dichiarato di essere cristiano. I giovani lo hanno cosparso di benzina. Aveva riportato gravi ustioni sul 55% del corpo.
PAKISTAN: non convince morte improvvisa del giovane cristiano bruciato vivo
Gli avvocati: “Giustizia dopo la morte di Nauman Masih, ucciso perché cristiano”
“Siamo scioccati. La morte di Nauman Masih, il 14enne cristiano arso vivo da un gruppo di musulmani, è sorprendente. Due giorni fa i dottori dicevano che, nonostante le gravi ustioni, il ragazzo sarebbe sopravvissuto, in quanto non c’erano organi interni danneggiati. Poi la morte dopo un intervento di chirurgia plastica”. E’ quanto dichiara all’Agenzia Fides l’avvocato cristiano Aneeqa Maria Anthony, coordinatrice della Ong “The Voice Society”, che riunisce un pool di legali impegnati per la difesa dei diritti umani. L’organizzazione ha seguito il caso fin dall’inizio, raccogliendo le dichiarazioni di Nauman Nasih e presentando la formale denuncia alla polizia. I membri della Ong sono rimasti al capezzale del ragazzo dalla sera del giorno dell’aggressione.
Ieri alcune fonti hanno cercato di addurre motivazioni per l’aggressione diverse dal fattore religioso: secondo alcuni mass-media pakistani l’attacco a Nauman sarebbe stato frutto di una disputa intrafamiliare. L’avvocato Anthony smentisce categoricamente: “Abbiamo raccolto il racconto di Nauman e la sua spiegazione dei fatti era chiara. Lo hanno aggredito due sconosciuti solo dopo la sua professione della fede cristiana. Il resto sono voci infondate o depistaggi”.
Restano da chiarire le circostanze della morte. “Aspettiamo il referto del medico legale e l’autopsia. La sua morte improvvisa non convince. E’ necessaria una indagine approfondita. Nauman aveva detto di essere in grado di riconoscere i suoi aggressori, che ora resteranno impuniti” afferma.
(Agenzia Fides 16/4/2015)
TESTIMONIANZA
IRAQ-Erbil: P. Fortunato tra i profughi: ho trovato luci nell’inferno
“Non bisogna rinunciare a costruire la pace attraverso la testimonianza e il dialogo”. Così padre Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi, al suo rientro dall’Iraq dove ha visitato i campi profughi della città di Erbil. In migliaia le persone in fuga dalla violenza dei gruppi jihadisti dell’Is che seminano morte e distruzione. Al microfono di Massimiliano Menichetti lo stesso padre Enzo:
R. – Siamo stati in tre campi di accoglienza: ci sono 12 mila cristiani profughi ad Erbil. In tutte e tre i campi abbiamo ascoltato vicende che graffiano il cuore.
D. – Mi può raccontare alcune di queste testimonianze?
R. – La prima è di una signora di 80 anni, vedova, che dinanzi alle milizie dell’Is ha detto: “Voi potreste essere miei figli… Non rinnego la mia fede cristiana. Uccidetemi, toglietemi tutto, ma la fede non potete togliermela!”. L’hanno cacciata via da Mosul. Una testimonianza forte: una donna che, nonostante l’età, ha saputo essere lievito, testimoniare fino alla fine.
D. – Lei ha incontrato anche un sacerdote, che è stato nelle mani dei gruppi jihadisti…
R. – Don Douglas. E’ stato torturato: gli hanno rotto i denti, il setto nasale a furia di pugni e di botte... è stato massacrato ed incarcerato per dieci giorni. Poi, dopo le cure, è ritornato ad Erbil, ad Ancawa esattamente, e lì, nel campo profughi, sta immettendo entusiasmo, vitalità, con una forza senza precedenti.
D. – Cosa vuol dire testimoniare la pace dove la violenza uccide e perseguita?
R. – Significa portare una testimonianza disarmata. Dinanzi ad atteggiamenti come la guerra, come l’odio, come la morte e l’uccisione, io credo che il miglior attacco – per adoperare un termine bellico – sia quello di una testimonianza silenziosa, che disarma il cuore. Anche se questo apparentemente può sembrare difficile, può sembrare utopico e impossibile, però è la strada migliore.
D. – Prima mi ha parlato anche di un terzo incontro, segno di speranza, in uno dei campi profughi di Erbil…
R. – Sì, un giovane di 22 anni. Appena ci ha visti, ci ha sorriso, ci è corso incontro e ci ha abbracciati e ci ha detto: “Faccio parte della gioventù francescana. Cerco di testimoniare la pace di San Francesco in questo campo profughi”. Questo giovane ha perso la casa, i suoi amici e lì cerca di essere un testimone del Vangelo. Il suo sorriso dava gioia, dava speranza.
D. – A giugno avvierete una iniziativa: una grande raccolta fonti per la costruzione di un ospedale. Di cosa si tratta?
R. – 35 posti letto, un reparto di Pronto soccorso, un reparto di pediatria e di maternità. C’è un’urgenza nel ricoverare e nel curare le ferite in maniera gratuita per tutti, musulmani, cristiani, di altre fedi. C’è già uno scheletro pronto, quello di un edificio adibito a centro commerciale, che è poi diventato un rifugio per i profughi e ora diventerà un ospedale.
D. – Lei personalmente che cosa riporta da questo viaggio?
R. – Porto nel cuore il grido di una umanità sofferente, ma porto nel cuore anche il desiderio di non demordere e di non scoraggiarsi nel compiere e nell’esortare a vivere il bene. Un’altra grande consapevolezza è quella di vivere, dovunque siamo, atteggiamenti di pace: solo gli atteggiamenti di pace disinquinano l’aria di guerra che respiriamo.
Radio Vaticana 18 04 2015