I giovani e il rumore della felicità
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Ad Agrigento c’è un viadotto che collega alcuni quartieri con il centro città. Mentre lo percorrevamo, il mio amico Maurizio mi raccontava che da quel viadotto, con una certa regolarità, la gente si butta nella valle sottostante. E’ un luogo triste, per suicidi. E un ex sindaco della città aveva a suo tempo proposto (per risolvere il problema) di alzare i parapetti. Come se questa fosse la soluzione migliore per evitare che la gente si suicidi!
Ad Agrigento, qualche giorno fa, sono stato invitato da Maurizio, da sua moglie Livia e da altri amici, per parlare di un tema non facile: “I giovani e la felicità”. Preparare l’intervento mi ha costretto a giudicare anche il mio modo di stare con i molti giovani che incontro e di chiedermi se sono mai stato attento al loro desiderio di felicità. Specie alla fine di un anno scolastico. In una sua famosa canzone Luca Carboni scrive “I professori non chiedevano mai se eravamo felici”. Chiedere a qualcuno se è felice non può prescindere dal chiedere cos’è per lui la felicità. E allora mi sono messo a fare la domanda ad alcuni studenti. Per capire.
Alcune risposte sono state molto belle. Come questa: “La felicità sta in un momento in cui ci si rende conto che niente potrebbe andare meglio. Quel momento di felicità è quando stai bene con te stessa prima che con gli altri. Quando si ha la consapevolezza che, indipendentemente da qualsiasi cosa succeda, ci sarà sempre qualcuno con una mano tesa verso di noi pronta ad aiutarci”. Mi colpisce il fatto che all’inizio sembra che si tratti solo di un problema di armonia personale, di accettazione di se stessi, ma, subito dopo, si lega la felicità al rapporto con una presenza amorevole, amica. Come se tutto il problema consistesse in quel rompere il cerchio della propria solitudine di cui parlava Cesare Pavese.
Diana, una studentessa sudamericana, scrive: “La felicità non è una cosa continua. Succede qualcosa che ti fa provare un sentimento piacevole e colorato, ma poi passa. Nessuno è pienamente felice. Io credo che sia una questione di soddisfazione. Quando sei soddisfatto e non ti devi preoccupare, allora sì che sei felice. Io ho i miei momenti di felicità, momenti sublimi, ma non posso dire che sono felice e se c’è qualcuno che lo dice, lo giudico ipocrita. Nessuno è soddisfatto al cento per cento. C’è sempre qualcosa da desiderare”.
E qui mi colpisce l’onestà con cui si riconosce che ci sono momenti di felicità, ma passano. Non si è mai pienamente soddisfatti. C’è sempre qualcosa da desiderare. C’è come una ferita, un senso di incompletezza che non è una questione di carattere, non è una questione di sapersi accontentare dei piccoli momenti. Non si può fermare l’istante, non si riesce a renderlo infinito. Ma è proprio questo che servirebbe per essere pienamente felici.
Cito ancora due pareri, scritti in modo estemporaneo e frettoloso, che però contengono delle grandi verità: “E’ vedere il sorriso sul volto di mio fratello, mio padre e mia madre che finalmente si riabbracciano... felicità è vedere gli occhi di mia nonna che brillano quando le dico che è la migliore del mondo. Felicità è aiutarsi l’uno con l’altro, tendendosi la mano nel momento del bisogno”. Per questa ragazza la felicità passa per il dono di sé. Inoltre mi colpisce il fatto che la felicità la vedi sul volto di qualcun altro, concetto ribadito da Claudia in questa sua riflessione: “E’ avere intorno a te persone speciali, alle quali vuoi bene e vedi nei loro occhi brillare la felicità. Il culmine è quando sei tu a rendere felici queste persone con l’amore e l’affetto che provi per loro. Quindi per me la felicità sta nei piccoli gesti, il sentirsi dire e il dire ti voglio bene. Che rumore fa la felicità? Fa un rumore tremendo dentro, un rumore di risate, di battiti del cuore, però in mezzo al silenzio dell’immensa tranquillità che senti quando sei felice”. E’ il vedere la felicità nel volto di un altro che ti dà gioia, che ti mette in movimento, che non ti fa più star tranquillo finchè non hai fatto qualcosa a tua volta.
Ora, è vero che tutto questo sembra lontano mille miglia dai giovani di oggi, per i quali sembra che tutto si riduca ad un’egoistica e parossistica ricerca dell’attimo fuggente da sfruttare, del midollo della vita da succhiare, delle mille esperienze nelle quali buttarsi alla ricerca del piacere immediato. Sì, è vero, moltissimi vivono così e moltissimi rischiano di scambiare tutto questo con il loro desiderio di felicità. Ma sono certo che anche moltissimi di costoro, in un momento di sincerità, sottoscriverebbero le frasi dei miei studenti.
Qual è il vero problema, allora? E’ tenere desto il
grande desiderio che c’è dentro il cuore di ognuno e non barattarlo coi desideri ridotti che il condizionamento mondiale ci impone. E’ far comprendere ai giovani che tutti loro hanno nel cuore questo grande desiderio e che questo comune desiderio è ciò che li accomuna. Solo chi desidera l’infinito rischia poi la bella e sorprendente avventura d’incontrarlo. Il grande tradimento del mondo adulto è di aver sparso ad ampie mani il cinismo, il nichilismo, il tanto non c’è niente che valga la pena.
La filosofia triste del prof. Keating de L’attimo fuggente, secondo le quali, dal momento che tutti siamo solo cibo per vermi, non resta che sfruttarsi a vicenda per godere qualcosa finché si può. “Carpe diem”: oggi solo un luccicante headline per un prodotto scadente.
Ben diverso è l’atteggiamento di adulti come i miei amici Maurizio e Livia che, come moltissimi altri, si sono coinvolti con un gruppo di giovani per amore al loro destino, al loro cuore fatto per la felicità. E donano quello che hanno capito e quello che sono: persone cambiate dall’incontro con Cristo. Persone che consentono oggi a Cristo di incontrare nuovamente l’uomo, di fargli percepire quello sguardo di tenerezza che percepì Zaccheo, o la Samaritana, o la donna peccatrice, o il ladrone Disma in cima alla croce, o lo stesso Pietro.
Arrivare ad Agrigento, incontrare questi amici e quei giovani, assistere al loro musical, proposto pubblicamente nel teatro comunale Pirandello, è stata un’esperienza non facile da comunicare. E’ stato un guardarsi negli occhi e condividere la felicità di cuori che percepiscono un “già e non ancora”, la gioia di essere incamminati verso un orizzonte infinito.