Voi cattolici...

(Julien Green)
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Il setaccio del «mondo»
«Vagliate tutto e trattenete ciò che vale». Belle parole, quelle di S. Paolo, penserà qualcuno tra i lettori. Ma come si fa? Come si fa a «vagliare», soprattutto oggi? E poi, perché ai cristiani è chiesto di vagliare tutto? E, infine, come capire cosa «vale» veramente?
Cominciamo dal «vaglio»: il setaccio, il colino, il passino… Ne abbiamo in casa, in cucina, tutti, e più di uno. Converrete che quello per lo zucchero a velo non è uguale allo scolapasta.
Se penso ai «setacci» proposti (imposti?) dal mondo in cui siamo, mi vengono in mente due ipotesi: ciascuno abbandonato a se stesso, sguarnito, con le mani a scodella che lasciano filtrare tutto da lì, perché una testa non è uguale ad un’altra testa, due mani non sono uguali ad altre due mani, e nell’epoca del relativismo non esiste – così si dice – la verità (e, tanto meno, la Verità), non esistono – così si dice – valori e criteri comuni e dunque i «vagli» giocoforza sono banditi. Hai le mani? Usale! Terrai le dita aperte quanto vuoi, chiuse quanto vuoi, a seconda delle singole situazioni e del tuo personalissimo «sentire» del momento.
Seconda ipotesi. Un vaglio… vagliato dal pensiero dominante: nichilista, relativista e – ma solo apparentemente – tollerante, includente, democratico, rispettoso delle differenze e di tutti i contributi. Solo «apparentemente», perché, insinuandosi pervasivamente nella scuola e nei mezzi di comunicazione sociale, dota tutti del «vaglio di Stato» (con la dimensione dei fori stabilita a priori dal pensiero unico) oppure, nell’ottica della «società liquida», fornisce un setaccio che ha solo la struttura esterna perché metterci la rete (a prescindere da quanto fitta) sarebbe comunque considerato una «violenza». Πάντα ῥεῖ (pànta rèi)? Tutto scorre? E allora, tanto vale. Aboliamo i fori del vaglio. Nessun foro o buco unico. Si tiene (o si perde) tutto. E così sia.
Il setaccio cristiano
Non è questo il «vaglio» dei cristiani! Nel primo caso, vorrebbe dire che siamo stati buttati nella vita e abbandonati a noi stessi (che tristezza!). Nel secondo, saremmo prigionieri del mondo: burattini in mano al potere di turno, che di volta in volta decide per noi (e cioè al posto nostro).
Il «setaccio» dei cristiani è tutta un’altra storia.
Ho sempre amato leggere, lavoro e «gioco» con le lettere dell’alfabeto più che con i numeri e ho poca dimestichezza con la matematica. Meglio, così per capire l’esempio che sto per fare sarà sufficiente aver frequentato fino alla prima media (o forse anche meno…).
Avete presenti le espressioni algebriche, quelle semplici, con le frazioni ma senza le potenze e le radici quadrate? Partiamo da lì.
Sei a scuola e pazientemente ti insegnano il metodo. Prima svolgi le operazioni dentro la parentesi tonda, poi quelle della parentesi quadra, poi arrivi alla parentesi graffa. Hanno la precedenza moltiplicazioni e divisioni, poi le addizioni e le sottrazioni.
Tutto qui? Tutto qui. Facile imparare il metodo? No, non è facile. Serve un «maestro» che ne sappia più di te, serve un allievo desideroso di apprendere, serve esercizio.
Una volta acquisito il metodo, le espressioni saranno sempre le stesse o ci sono tante possibilità di cimentarsi con esercizi analoghi ma diversissimi? Le «combinazioni» sono praticamente infinite.
E ci sarà sempre, accanto, il «maestro»? No. Gli esercizi per casa li fai da solo ed anche le verifiche in classe. Però… Però, se hai acquisito il metodo, al risultato arrivi da solo, ogni volta è una nuova sfida e finisce che ci prendi anche gusto.
«Vagliare tutto e trattenere ciò che vale» è… questo. E questo è il «vaglio» dei cristiani.
Ci serve un maestro per imparare il metodo, o siamo «nati imparati»? Eccome se ci serve! Sostituite le parentesi tonde, quadre, graffe e la priorità alle moltiplicazioni e alle divisioni con la Parola, il Magistero del Successore di Pietro, la Tradizione della Chiesa e, fuori metafora, ecco il nostro «vaglio». Non solo c’è da… duemila anni, ma funziona che è una meraviglia, perché «trattiene» esattamente ciò che vale: l’essenza.
E la libertà personale?
D’accordo i maestri ed il metodo, ma… la libertà personale? Non è che così ci sembra di stare in gabbia, imprigionati dalle regole? La domanda non solo è pertinente, ma ci investe tutti, ogni momento di ogni giorno.
Quando pensiamo che giocare la nostra libertà personale sia provare altre strade, più «creative», e così, ad esempio, nell’ottica dell’«inclusione» anticipiamo le addizioni perché ci stanno più simpatiche e lasciamo per ultime le divisioni, politicamente scorrette perché contrarie – che ne so – al multiculturalismo… semplice: non arriveremo da nessuna parte. L’espressione (che poi, fuori metafora, è una qualsiasi circostanza della vita, ogni problema, ogni sollecitazione…) non sarà risolta. Tempo perso. Buttato via a cercare soluzioni «originali», senza mai arrivare al «dunque». Come quegli accattivanti sentierini inesplorati di montagna che non portano in vetta ma… sull’orlo del precipizio, o nel fitto inestricabile di una boscaglia. Questa è «prigione», strada senza uscita!
Se, volendo fare «di testa tua», a scuola prendi un brutto voto, nella vita ti accorgi che hai sprecato energie invano.
E allora, che fine fa la creatività? Il libero arbitrio? L’«impronta» unica e irripetibile del singolo?
Ciò che hai di fronte ogni giorno sono «espressioni» sempre nuove, e sfide tutte tue. Segui il metodo, è vero, però, ad esempio, puoi scegliere, tra le frazioni, di semplificare quando vuoi. Prima, se ti va, o alla fine, se preferisci.
Impari a svolgere le espressioni e cioè a vivere la vita, a giudicare ogni cosa che accade, ad avere una posizione culturalmente e cristianamente incisiva sempre, ovunque e di fronte a chiunque, ed anche ti appassioni. Non solo: sarai pronto a cimentarti in situazioni sempre più impegnative: espressioni con le potenze, con le radici quadrate, con i numeri relativi… perché, man mano che cresci, un occhio al Maestro (e ai maestri), un occhio al metodo, gli esercizi per casa e dunque «la vita» sono… roba che tocca a te, roba tua.
E’ proprio così. La realtà: le circostanze che ogni giorno ci accadono nella vita, in famiglia, al lavoro; ma anche ciò che succede «fuori» sono per ognuno come… una nuova espressione di matematica, che sempre è diversa.
Di fronte a questo, «gli altri» spesso sono spaesati, smarriti, sguarniti. Come se ogni volta fosse, per loro, la prima volta. Vanno a tentoni, o aspettano qualcuno che gli passi la «soluzione», o gettano la spugna, prima ancora di cominciare. Noi no. Noi cristiani no: non possiamo e non dobbiamo sentirci, come gli altri, smarriti e sguarniti. Né possiamo abdicare al compito che, indelegabile, è stato affidato a ciascuno, secondo i suoi carismi. Abbiamo la Grazia di aver incontrato «Il Maestro» e la compagnia di maestri che ci ricordano costantemente il metodo, ma poi ci danno fiducia e ci sollecitano ad andare, sicuri, per le strade del mondo. In quel preciso momento, chiamati per nome, tocca a ciascuno di noi, nessuno escluso, «vagliare tutto e trattenere ciò che vale», perché – come disse Giovanni Paolo II a gennaio del 1982 – «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».
Che gusto può avere una fede «così»? Lo stesso gusto insipido di… un’espressione lasciata a metà.