I mostri... che simpatici! Dai Titani all'Orco Grendel

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Nulla di più utile che un mostro in giardino o sul balcone, fa lo stesso.
Potreste impiegarlo per distruzioni, demolizioni e pulizie (etniche naturalmente), oppure come dispensatore di tormenti ed atrocità, o meglio ancora (visto il momento storico) come esperto in guerre e massacri; per i più pacifici invece, può riuscire utilissimo nelle riunioni di condominio.
Per chi poi ha gusti più raffinati (era per non dire "intellettuali") vale sicuramente la pena di averlo come ospite a cena: rispettati i suoi gusti culinari ed accompagnato il cibo con copioso sangue umano (naturalmente da servirsi a temperatura leggermente superiore a quella ambiente), inizierà a chiacchierare amabilmente, svelando cose, su di voi e sul mondo che, altrimenti, conoscereste solo a fatica.
Ma perché tutto ciò accada davvero bisogna andare a stanare dei mostri veri. Non ci credete?
Provate a chiedere a J. R. R. Tolkien che, sul tema, ha persino tenuto una conferenza alla British Academy ["Beowulf: mostri e critici" (25 novembre 1936), rintracciabile in J.R.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Ed. Bompiani] . In tale occasione ha infatti sostenuto che, per poter rinvigorire una concreta conoscenza della realtà, si deve "entrare in confidenza" con i mostri che hanno avuto un ruolo da "protagonisti" nelle cosmogonie e nelle grandi opere poetiche classiche, ad esempio l'Odissea, l'Edda o il Beowulf. E questo per una ragione ben precisa: in tali opere (dove i temi centrali sono rispettivamente quello dell'origine e quello del rapporto tra l'uomo ed il mondo in trasformazione, soprattutto nei momenti di fondazione o di declino di una civiltà), la presenza del mostro è riconosciuta con uno scopo ben preciso.
In sintesi: nei miti cosmogonici i mostri hanno sempre "origini" divine e le lotte tra loro e le divinità primordiali sono il simbolo (ed il ricordo) delle trasformazioni che il mondo ha subito per divenire quello che oggi conosciamo; nella produzione più squisitamente poetica invece il mostro (attraverso la narrazione del duello con l'eroe) serve a porre una sfida.
Il mostro non è quindi un mero artificio letterario, non serve a solleticare la suspence del lettore o ad accentuare il tributo di sangue alla musa della fantasia: «Il drago non è una fantasia oziosa (…) ma una potente creazione dell'immaginazione [Cfr. Op. cit., pag. 43]» che possiede il fine preciso di dar corpo a racconti eroici e tragici ad un tempo. Ecco perché «i draghi, i draghi veri, (…) sono realmente rari (…) [Cfr. Op. cit., pag. 43]».
Facciamo allora qualche passo indietro nel tempo, alla ricerca di qualche gigante o draco che di tutto ciò se ne intenda veramente.
Dei e mostri all'origine del mondo [È giusto ricordare che Mito e Poesia hanno necessità, scopi e forme differenti. Nonostante ciò, il presente articolo invece, tende ad avvicinare eventi, stili narrativi e periodi "molto distanti" fra loro: le generalizzazioni sono da "perdonare" poiché funzionali alla "necessità" di parlare della figura del mostro. Non si scandalizzino quindi classicisti, grecisti, latinisti, altomedievalisti, bassomedievalisti e puristi in genere… E si accetti quindi, per ovvi motivi di brevità, il gioco di citare solo due delle cosmogonie tra quelle possibili e degne di attenzione: quella greca e quella norrena, e solo alcuni poemi (tra quelli classici e pre-medievali)].L'inizio. Non è certo roba da poco l'inizio…
Se poi "non vi è cosa più grande che l'inizio di una cosa grande" ben possiamo capire la ragione per cui gli antichi hanno rappresentato l'inizio del mondo come il luogo del mistero per eccellenza: dell'inizio si sa per certo solo che è iniziato… E forse è proprio per tale motivo che le cosmogonie sono l'espressione di una fantasia che, "senza freni" [Ma solo apparentemente], arriva a rappresentare anche tutti i timori, le paure ed i limiti che ci caratterizzano come esseri umani.
Gli autori di tali visioni dovettero rappresentare il lavoro di mettere ordine nel caos; l'opera di creazione del mondo; la definizione geografica dello spazio e del tempo in cui l'uomo è chiamato a vivere. Compito sovrumano, e proprio per questo lo affidarono a dei, mostri e giganti.
Il Mediterraneo ad esempio: credete che sia sempre stato quella culla di solarità, armonia, pace, rocce bianche incastonate nella turchese confusione di cielo e terra, tutto "olive e Feta" come lo rappresenta G. Salvatores? Ma neanche per idea…
All'inizio era un luogo non certo "raccomandabile", come non lo erano i suoi abitanti: i dodici Titani (sei maschi e sei femmine), i tre Ecatonchiri (mostri con cinquanta teste e cento braccia) ed i tre Ciclopi (giganti dall'unico occhio al centro della fronte) [Tutti frutti degli amori rapaci tra Gea ed Urano (rispettivamente la Terra ed il Cielo). Per non citare poi direttamente i figli, sempre della stessa Gea e di Ponto: Taumante (il padre delle Arpie), Forco (il mare in tempesta), Ceto (le insidie del mare in tempesta) ed Euribia (la violenza tempestosa del mare)…].
E che la questione del "porre l'inizio" non fosse cosa semplice lo dimostra il fatto che, sin dal principio del tempo, troviamo guerre ed ammazzamenti, soprattutto tra padri e figli. I primitivi regni, quello di Urano, di Crono e di Zeus (rispettivamente nonno, padre e nipote) sono infatti segnati da violenze e combattimenti continui.
Urano, ossessionato dall'idea che i figli potessero privarlo del dominio dell'universo, li sprofonda al centro della terra. Gea, di conseguenza, arma la mano del figlio Crono che, tende un agguato al padre e, con un falcetto, lo evira… [Non male per un principiante… in un sol colpo abbiamo: un tentato parricidio, una lesa maestà ed una detronizzazione di fatto]. Salito al potere, il giovane re inizia a divorare i suoi figli appena nati. Scampa al feroce banchetto Zeus che, degno figlio di suo padre, alla prima occasione propinerà a Crono una bevanda che gli farà vomitare i fratelli divorati. Tocca ora agli Olimpici governare, ma il mondo non è ancora fuori dal caos. A riprova di ciò basta dare un'occhiata ai primi regni umani. Prendiamo Creta, ad esempio. Qui, Pasifae, moglie di Minosse re dell'isola, alle attenzioni del marito preferisce quelle di un toro; da tale "passione" non poteva che nascere un mostro: il Minotauro.
Questi bene incarna l'essenza del mostro di cui siamo alla ricerca: dai tratti essenziali del suo carattere (la sua attività prediletta era provocare lutti e distruzioni) si capisce che, a pieno titolo, è il "guardiano" di una realtà ancora dominata dal caos [Il cui supremo e centratissimo simbolo è il labirinto in cui era rinchiuso]. Il Minotauro continuerà a nutrirsi di carne umana fino a che Teseo, uccidendolo, non darà inizio ad una nuova vita per i Cretesi, ma questa è un'altra storia.
La situazione poi non è differente anche spostandosi ad una latitudine diversa e procedendo nel tempo di circa duemila e cinquecento anni.
La cosmogonia norrena [originariamente sorta in Islanda], per narrare dell'incipit del mondo, usa orrorifici paesaggi, giganti, violenze di ogni sorta e, naturalmente, tanta fantasia.
Prima della creazione dell'universo la realtà è un "abisso spalancato", ai cui estremi vi sono una regione buia e gelida (il Nord) ed una fatta di fiamme ardenti (il Sud). La vita sorge dal vapore [Effetto del viaggio verso Sud di alcuni fiumi velenosi sgorganti dalla regione fredda] che, nella sua prima forma antropomorfa, ha le sembianze del gigante Ymir [a proposito di fantasia vale la pena ricordare che, essendo Ymir da solo, generò i suoi figli per partenogenesi: dormendo egli stillò sudore e così gli crebbero sotto la mano sinistra un maschio e una femmina; i suoi piedi, accoppiandosi fra loro, generano addirittura un gigante con sei teste].
Insieme a lui, dal vapore, nasce anche la mucca Audhumla, che leccando il ghiaccio crea il primo essere umano Buri [Definito da Snorri Sturluson nell'Edda in prosa come " bello d'aspetto, grande e potente"]; da lui discesero Odino, Vili e Vè [Le divinità primordiali]. I tre fratelli, per creare il mondo, operarono nel più classico dei modi: un bel progenicidio condito da un diluvio di sangue.
« (…) Dalla carne di Ymir fu fatta la terra, dal suo sangue il mare; dalle ossa le montagne; gli alberi, dalla chioma, dal cranio il cielo. Dalle sue sopracciglia (…) Midgard [letteralmente "recinto di mezzo"; ovvero il mondo destinato agli uomini] per i figli degli uomini, dal suo cervello furono tutte le tempestose nuvole create (…)» [Cfr. Edda poetica, Canto di Grímnir (Brani 40-41)]
Ma il nuovo mondo ha in sé ancora il "limite", poiché tratto fisicamente dal corpo e dalle membra del gigante primordiale [Ricordiamo che Ymir nasce dal vapore proveniente da fiumi velenosi e dunque in lui è presente l'aspetto "malvagio"… Mi permetto anche di azzardare un paragone. A Roma, dove la mitologia si è trasformata in cronaca storica, non esiste alcun macroantropo (l'Ymir del caso), ma ad un punto ecco che Romulus uccide il fratello Remus, proprio nel momento in cui questi si accinge a scavalcare il solco. In effetti non esiste un motivo convincente per spiegare questo omicidio, per giustificare il quale anche gli storici antichi si sono trovati in difficoltà. È come se proprio in virtù di questo sacrificio possa essere effettuata la fondazione della città].
Ben si comprende allora perché l'universo creato da Odino e fratelli sia strutturato in una serie di mondi dove c'è spazio per tutti: uomini, giganti e gigantesse, feroci lupi, nani, elfi oscuri e naturalmente l'immancabile regno delle ombre [Non è inutile ricordare che, appena fatto il mondo, Odino ucciderà Vili e Vè].
Mostri ed eroi per far poesia…
Ma veniamo ad una nuova era: quella in cui i racconti fantasiosi sulle origini sono sostituiti da un nuovo linguaggio: quello poetico. In teoria, nei poemi, le cose dovrebbero cambiare e questo almeno per due ragioni.
Primo: la poesia ci porta in un "altro tempo": sia dal punto di vista strettamente cronologico (la narrazione poetica è sempre posteriore al racconto cosmogonico e mitologico che infatti, non a caso, ne fondano le premesse) ma anche dal punto vista logico (il mito pone "la questione" con le avventure degli dei, ma è la poesia che dovrebbe risolverla, narrando delle avventure degli uomini).
Secondo: la realtà degli eroi non è più dominata dal caos primordiale; l'eroe ha nuovi strumenti per "stare nel mondo": la ragione, la forza, il coraggio, la conoscenza. Eppure, nonostante tutto ciò, il mistero continua a farsi presente. Un primo esempio?
Ritorniamo nel Mediterraneo, quello di Omero questa volta: l'Odissea.
E' interessante ricordare che l'opera narra di un viaggio, e per la precisione di un viaggio verso casa (nulla a che vedere quindi con i "piccoli spostamenti" alla A. Mutis, B. Chatwin e A. Baricco, per intenderci, dove la questione è "andare via…", "allontanarsi da…"); per Ulisse il problema è "tornare".
Ma, in seconda battuta, è utile al nostro fine rilevare una vera e propria anomalia: il poema deve (se vuole essere tale), rappresentare il mondo degli uomini, dove la realtà è la guerra tra Achei e Troiani, o i Proci che insidiano ogni giorno Penelope (e tanto basterebbe a "fare avventura"). Eppure Omero fa intervenire nella narrazione alcuni elementi peculiari: Polifemo, Circe, le Sirene, per non dire di Scilla e Cariddi; mostri e non a caso. Cosa vuole dirci Omero? I mostri, nel nuovo mondo della poesia, non solo ci sono ancora, ma anzi pare diventino la conditio del viaggio, dell'avventura. Dove risiederebbe la gloria di Ulisse se si scontrasse solo con Antinoo? Possiamo allora iniziare ad affermare che il mostro è il miglior compagno di viaggio che Ulisse possa avere…
Un secondo esempio? Facciamo un ultimo salto spazio-temporale e andiamo a conoscere un altro eroe: Beowulf… [Beowulf, protagonista dell'omonimo poema, è un principe scandinavo (originario della Svezia meridionale). Si tratta dell'unico poema scritto in antica lingua germanica giuntoci completo. Fu composto attorno all'VIII secolo d.C. (per alcuni: alla fine del VII secolo) in versi senza rima e ci è pervenuto grazie a un manoscritto anonimo in dialetto sassone risalente alla fine del X secolo. Si segnala l'edizione proposta da Einaudi (Millenni 1987 a cura di L. Koch). L'azione si svolge in Danimarca. La trama, per chi non la conoscesse, è semplicissima, quasi banale… Beowulf è un giovane principe ed il suo nemico è l'Orco Grendel; in uno scontro il principe strappa un braccio al rivale che fugge. La notte seguente il duello, la madre di Grendel compie una strage tra i cortigiani di Beowulf. Il principe si mette in caccia ed ucciderà Grendel grazie ad una spada magica. Circa cinquant'anni dopo tali eventi Beowulf è divenuto re, ma la pace nel suo regno è turbata dagli attacchi di un gigantesco drago. Beowulf decide di affrontarlo da solo ma, durante il combattimento, pur uccidendo il drago, perderà la vita].
Protagonista del poema un uomo, un nobile naturalmente, caratterizzato dall'essere fuori da ogni mitologia possibile e dunque all'interno di un mondo già di per sé tragico: Beowulf è chiamato a vivere in un'epoca in cui la suprema speranza corrisponde alla promessa, dopo una morte eroica, di continuare a combattere fino alla fine del mondo al fianco di Odino.
Inoltre, come già Ulisse, è chiamato a vivere esclusivamente grazie alla sua forza e al suo coraggio (Beowulf è infatti da solo: gli antichi dei sono stati imbalsamati e relegati in una fantasia antiquaria).
E come già detto per l'Odissea, anche qui la situazione reale di partenza basterebbe a riempire pagine e pagine…
Eppure anche l'autore altomedievale (come Omero a suo tempo) fa una scelta apparentemente antistorica, inattuale, "fuori moda": concentra le vicende essenziali del principe intorno alla lotta con il mostro (ad essere precisi il poema è interamente dedicato al tema della lotta tra l'uomo ed il mostro distruttore) [Proprio per tale ragione è un esempio fondamentale di poema eroico che ha come elemento essenziale il "tragico"].
Ma perché anche in questo poema i mostri permangono, nonostante la scomparsa degli dei?
Interessante la risposta che dà Tolkien: perché l'autore del Beowulf desidera ricordarci che «l'uomo, ogni uomo, e tutte le opere degli uomini devono morire ["Beowulf: mostri e critici" Cfr. pag. 52]».
Si svela così il tema dell'opera: il "coraggio sconfitto". Nel Beowulf si narra della storia di un uomo la cui gloria ed il cui eroismo sono "destinati" a scomparire nell'oscurità. [Beowulf è protagonista di un'era pagana che ormai volge al termine: il cristianesimo si sta radicando con decisione anche tra gli uomini del Nord Europa].
Il Beowulf è quindi una narrazione eroica e tragica ad un tempo, poiché il suo vertice è nella permanenza del mostro all'interno della vicenda umana. Perché lottare col mostro (prima vincere l'orco per poi perire nel fuoco del drago) porta con sé una domanda ultima, definitiva: dov'è la vittoria sulla morte delle cose?
Beowulf sarà sconfitto, e non in una battaglia qualunque, poiché nel "cuore" del poema troneggia la sconfitta definitiva: quella attuata non banalmente da un altro uomo, ma da un drago [«(…) una cosa costruita dall'immaginazione esattamente a questo scopo.» Cfr. Op. cit., pag.66]. « (…) È appunto perché i massimi nemici in Beowulf sono inumani che la storia è più ampia e piena di significato (…) getta uno sguardo sul cosmo, e si muove col pensiero di tutti gli uomini, il pensiero concernente il destino della vita e gli sforzi umani (…) [Cfr. Op. cit., pag. 68]»
Conclusione
Invitare un mostro a cena ci serve a ricordare che il pericolo, il dolore, l'orrore (visto cosa "va per la maggiore" oggigiorno) e la morte, sono davvero presenti.
Avere a che fare col mostro regala quel po' di saggezza che spesso manca alla nostra vita inesperta, impacciata e, a volte, troppo egoista.
Solo adesso capisco veramente quanto sia infantile sostenere che "i mostri non esistono" (e questo vale per ogni situazione): vivere dentro, o grazie a tale artificio, significa concepirsi senza limiti, e mi domando quale spazio possa contenere un simile ego…
Io ci tengo al mio "Minotauro", mi aiuta a ricomprendere che la realtà dell'esperienza sta nei fatti e che la natura delle cose ha in sé il proprio limite.
Chiudo con un augurio, sempre di Tolkien: sappiano, le opere che abbiamo citato, esercitare sul nostro modo di pensare il loro intelligente e profondo richiamo " sino a che non giunga il drago [Cfr. pag. 69 (opera citata alla nota precedente)]".