Associazione Cultura Cattolica

Scontro di civiltà? No, barbarie

Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Abbiamo detto... Gli Editoriali"

Il mese di febbraio 2006 sarà ricordato come il momento in cui i fautori dello "scontro di civiltà" tra l'Occidente e l'Islam hanno tentato di alzare artificiosamente il livello della tensione, incuneandosi subdolamente nelle contraddizioni dell'Occidente stesso, e amplificando a distanza di parecchi mesi l'episodio delle ormai tristemente note "vignette danesi" su Maometto.
Una tempestiva Nota della Sala stampa vaticana ha fatto chiarezza sulla vicenda, precisando tre cose: in primo luogo che "il diritto alla libertà di pensiero e di espressione, sancito dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, non può implicare il diritto di offendere il sentimento religioso dei credenti. Tale principio vale ovviamente in riferimento a qualsiasi religione". In secondo luogo che "la convivenza umana esige un clima di mutuo rispetto, per favorire la pace tra gli uomini e le Nazioni... Talune forme di critica esasperata o di derisione degli altri denotano una mancanza di sensibilità umana e possono costituire in alcuni casi una inammissibile provocazione". Infine che "azioni violente di protesta sono parimenti deplorabili. Per reagire ad un'offesa, non si può infatti venir meno al vero spirito di ogni religione. L'intolleranza reale o verbale, da qualsiasi parte venga, come azione o come reazione, costituisce poi sempre una seria minaccia alla pace".
"Scontro di civiltà" quindi? Ma se la civiltà è la custodia e la cura dell'Essere, qui siamo di fronte piuttosto a forme diverse ma omogenee e convergenti di barbarie: da un lato, per dirla con Ferrara, il "nichilismo della tolleranza indifferente", lo "sciatto secolarismo" dei laicisti europei, portatore di una concezione della libertà come assenza e rifiuto dei legami e delle fedi. Dall'altro un fondamentalismo "che strumentalizza la fede e finisce per difendere un feticcio" (Y. Sergio Pallavicini). La Chiesa si trova in questo frangente storico tra le due barbarie, ideologicamente identificata dal fondamentalismo con l'Occidente secolarizzato, ma egualmente "straniera" ed inassimilabile rispetto al laicismo europeo.
Il suo compito nelle circostanze di oggi è stato ben descritto da Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, in un recente Convegno: "Prima impresa missionaria è ricostituire il popolo, che il popolo esista come esperienza di novità di vita. Questa identità è una identità nuova, una novità di vita, è un mangiare e bere, un vegliare e dormire e un morire non più per se stessi, ma per Lui che è morto e risorto per noi. La prima debolezza nei confronti della barbarie è non rendersi conto che c'è un popolo che deve vivere e deve essere difeso. Perché questo popolo che vive ed è difeso è la grande alternativa alla barbarie. L'alternativa alla barbarie non è un'altra ideologia, un'altra gnosi: la gnosi dell'essere contrapposta alla gnosi del nulla.
Il popolo può e deve giudicare la barbarie, ma è il popolo che giudica la barbarie, non una ideologia che si contrappone. Questo è certamente il discriminante che c'è nella Chiesa, fra chi parte dalla cura del popolo e chi parte da una preoccupazione d'impatto nella vita culturale e sociale che può prescindere dal popolo, come se non fosse necessaria la cura dell'essere: per noi cristiani è la cura del popolo perché il popolo è il luogo dell'essere. Perché dal momento che Dio si è fatto uomo e vive in mezzo a noi, l'Essere ha carne, ha un corpo e permane nel mondo attraverso un corpo, e quindi la cura del corpo della Chiesa è una fondamentale azione in difesa della civiltà e contro la barbarie.
La Chiesa non deve uscire da sé per fare qualche cosa per l'umanità, deve essere fino in fondo se stessa. Ora la cura del popolo, che esista la Chiesa come avvenimento di vita, questa è la prima responsabilità, una responsabilità che è totalmente intraecclesiale e totalmente extraecclesiale. Perché quando papa Leone è andato a fermare Attila ha fatto un'azione profondamente ecclesiale: voleva salvare l'esistenza fisica del popolo cristiano, ma ha fatto una azione straordinariamente mondiale, perché ha difeso la civiltà dell'Occidente
."
Di questa azione di difesa e di ricostruzione del popolo vi è già un luminoso testimone, martire fino all'effusione del sangue: don Andrea Santoro, che nel suo testamento spirituale ha affermato:
"È a partire dallo sguardo di Cristo e dall'amore del Padre che lo ha inviato a tutti i suoi figli, che possiamo riscoprire vicini quanti sentiamo lontani. Come Gesù ci portava tutti dentro di sé, sui peccati di tutti versava il suo sangue e tutti ci sentiva pecore dell'unico suo gregge così noi possiamo dilatare il nostro cuore. Questo non ci impedirà di annunciare chiaramente e per intero il vangelo e di agire in totale conformità ad esso. Al contrario, ce lo farà sentire un debito e un dovere. Ma ce lo farà fare col cuore di Gesù sulla croce, spalancato dall'amore e aperto dalla lancia, non con i sentimenti duri di chi ha sempre un «avversario» davanti."