La #scuola non è morta finché noi viviamo

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E’ ormai prossimo il suono della campanella del nuovo anno scolastico, milioni di bambini e di giovani si apprestano a entrare in classe e a sedersi di nuovo sui banchi: in alcuni, alla loro prima esperienza, si nota l’attesa di quel che sarà, di quel che accadrà, nella maggioranza invece prevale la noia per un già visto, la noia del non senso delle lunghe ore che li attendono a scuola. Ci troviamo di fronte alla riapertura delle scuole dopo l’ennesima e tanto sbandierata riforma, “La buona scuola”, eppure l’impressione è quella del solito “rito” che ricomincia, che ai più non interessa, altro che buona scuola! Perché? Perché difficilmente gli adulti, gli insegnanti riescono ad entrare nel “cuore” dei ragazzi, a mettersi in sintonia coi loro desideri, a generare una simpatia umana da persona a persona. Sta qui l’origine della noia degli studenti. Questo fatto è terribile perché una nazione, in cui la scuola non è più affascinante, è destinata ad invecchiare e a una morte lenta.
Come venir fuori da questa crisi? Da dove ripartire? Da adulti, da educatori che avendo a cuore i propri grandi desideri, le grandi domande della vita, che rinascono sempre, sono disposti a rischiare nel rapporto con i giovani che si trovano davanti e a lanciare loro la grande sfida: “Guarda che la tua persona ha un valore infinito, guarda che i tuoi desideri sono il segno di un unico grande desiderio, quello di essere felice, guarda che anch’io sono passato attraverso esperienze negative, la paura, la solitudine, l’errore, ma ne sono uscito, grazie a degli educatori, a degli amici, che avevano a cuore i miei desideri, il mio destino e grazie a persone così mi sono innamorato di Dante e di Leopardi, della scienza e dell’arte. Vi propongo di camminare insieme, di rischiare insieme verso quella pienezza umana che è il desiderio di ogni cuore giovane”.
Questo è quello che i ragazzi, i giovani ci chiedono e desiderano sentirsi dire e prendere sul serio questa domanda è l’unica cosa che può rendere affascinante il cammino di un anno.
Voglio offrire alcune testimonianze di giovani che hanno deciso di non lasciar fuori la vita dall’aula scolastica e alcune mie riflessioni.
“Caro Franco,
mi è sorta una domanda e cioè: se il nostro desiderio è così grande e illimitato allora perché nessuno ne parla? Perché si parla di tante cose stupide al mondo? Perché si preferisce fare a gara a vedere chi ha argomenti più stupidi da tirare in ballo, invece che parlare di cose serie? Sarà che parlare di verità scomode e che fanno riflettere è compito solo di chi può sopportare un confronto con la realtà? In merito a questo l’altro giorno parlando con mia sorella le ho chiesto : ma qualche tuo professore parla mai con voi dei vostri desideri, sogni, paure? La sua risposta è stata: tutti si preoccupano di come stiamo in questa scuola, e tutti i nostri professori mirano a farci raggiungere una conoscenza elevata delle materie che spiegano. Mi è venuto spontaneo risponderle che in realtà nessuno dei suoi professori è realmente interessato al suo futuro dopo la scuola, perché tutti si preoccupano solo di far imparare a memoria poesie, frasi importanti, date storiche, ecce. ma nessuno si prende la briga di insegnare la cosa più importante al mondo, cioè conoscere se stessi. Le stanno insegnando a sopravvivere, ma nessuno le insegna davvero a vivere, e vorrei farlo io, ma ammetto di non esserne capace perché io per prima devo ancora conoscere molte cose di me stessa e della realtà che mi circonda. Forse è per questo che a nessuno viene in mente di chiedersi: dove sta andando la mia vita ora? Dove andrà in futuro? Perché ci vengono date istruzioni su come comportarci a scuola, nel mondo del lavoro, con gli amici, coi genitori, col ragazzo e la ragazza e uno vive pensando che questo gli basti, che la sua vita si limiti a quello che c’è all’interno di un determinato ambiente e il mondo fuori non è reale, che parlare di sogni e desideri è roba per poeti ed è meglio parlare di cavolate, è meglio imparare a sopravvivere piuttosto che vivere davvero. Sai, a volte mi sento proprio fuori posto, perché io tutti i giorni mi alzo chiedendomi che cosa ne sarà un giorno della mia vita, un domani che futuro avrò, ma la risposta che ricevo è sempre la stessa: lascia stare e vivi come capita, quello che arriva arriva e se non arriva pazienza. Vivere così è come alzarsi tutte le mattine, guardare fuori dalla finestra di casa e vedere solo un muro di cemento armato davanti al vetro, pensando che quello che c’è al di là non sia reale, è come andare in giro di notte in una strada buia senza preoccuparsi di accendere una luce. Vivere così è sopravvivere, ma le persone hanno bisogno di saper vivere”.
Ricevo questo bellissimo scritto da una mia ex alunna, mi colpisce moltissimo la prima domanda: “Se il nostro desiderio è così grande e illimitato allora perché nessuno ne parla?”
Mi sono venute in mente immediatamente alcune parole di un mio grande maestro ed educatore che diceva: siamo immersi in una cultura che vuole che non pensiamo, il potere ha organizzato una società dello spettacolo, in cui l’importante è divertirsi, è la teoria dello schiavo felice. Tutte le parole vere sono state falsificate. Ad esempio essere felici, come appare dai personaggi della pubblicità, significa essere “gasati”, eccitati, provare forti emozioni, ridere, non pensare. L’amore è inteso in senso supersentimentale, significa provare forti emozioni, è ridotto a piacere, possesso dell’altro, sesso.
L’esito di questa cultura del nulla, di questo vuoto di proposta e dell’assenza di educazione è sotto gli occhi di tutti: superficialità, distrazione, delusione, tristezza, estraneità camuffata da una finta gioia, ribellione.
La mia ex alunna dimostra di aver individuato il problema che sta a monte di questa situazione quando chiede alla sorella: “Ma qualche tuo professore parla mai con voi dei vostri desideri, sogni, paure?” La risposta della sorella è l’indice della debolezza o dell’assenza di una proposta educativa: “Tutti i nostri professori mirano a farci raggiungere una conoscenza elevata delle materie che spiegano”. Non una scuola come introduzione al senso, al significato della realtà, non una scuola come scoperta del bello, del vero, del giusto, del bene, ma una scuola ridotta a fornire competenze, abilità, strumenti; non una scuola in cui avviene l’incontro fra l’umanità, l’esperienza dell’insegnante e l’umanità e la domanda dello studente, ma la scuola come luogo di incontri casuali.
Totalmente diversa è la situazione di un giovane che incontra qualcuno che lo aiuta a tener vivo il desiderio di felicità, di compimento, a tener vivo il nesso con la realtà, a guardare al fondo del reale e a lottare contro la cultura del nulla.
Occorre l’incontro con qualcuno che ti dice: “Non puoi negare che il volto della persona amata ti attiri, che la bellezza del cielo stellato ti affascini, che vivere un gesto di totale gratuità o riceverlo colpisce, che perdonare o essere perdonato è quel che più desideri, che il sorriso di un bimbo o la voglia di vivere di una persona anziana o malata, ti apra il cuore alla speranza”.
Negli scorsi mesi abbiamo vissuto dei terribili eventi, basti pensare ai tragici fatti di Parigi, alle guerre, alle stragi di innocenti, alla violenza del terrorismo, ai morti in mare, ma tutto ciò non riduce la positività del reale, o l’evidenza che l’uomo è fatto per la felicità, non uccide il desiderio e la domanda, l’attrattiva del reale.
Ecco allora di nuovo la grande urgenza dei nostri giorni: l’educazione, che sostenga uno sguardo semplice, leale sulla realtà, prima di tutto su di sé, che aiuti ad andare al fondo di ciò che appare, per scoprire il mistero profondo che l’origina e lo sostiene, il “più in là” di cui parla la celebre poesia di E. Montale.
La condizione perché questo accada è che ci siano adulti che vivano in prima persona la domanda di senso, di significato, di bello, di bene, di vero presente nel loro cuore e che questa domanda la giochino nei rapporti con gli alunni e in quello che insegnano.
Mi viene in mente un esempio tratto dalla mia esperienza educativa: quando parlo della poesia di Giovanni Pascoli, leggo sempre un testo poco conosciuto, intitolato “In cammino”. In quel testo Pascoli evoca l’uomo che cammina nella notte, nella nebbia ed è tentato di disperazione, di interrompere il suo cammino, di dire che la luce, il bello e il vero non esistono, che tutta la vita dell’uomo è avvolta dalle tenebre del non senso e lasciarsi morire. Ma improvvisamente il grido di uno stormo di gru che volano sopra la nebbia lo induce a pensare che più in alto, oltre la nebbia, c’è il cielo stellato, allora riprende il cammino, seguendo quel suono che svanisce in lontananza. Il cuore dell’uomo segue quel suono che squarcia la nebbia e si perde “laggiù” e sogna le stelle che brillano più in alto, segno e richiamo certo di un destino buono e luminoso, di una promessa di felicità
Dico sempre ai ragazzi che questa è la conferma che il poeta è sempre profeta del desiderio dell’uomo, infatti non riesce a negare l’evidenza o la domanda di una positività, malgrado le sue scelte, le sue idee, malgrado le circostanze drammatiche della propria vita e della storia.
Questo è quello che gli studenti chiedono ai professori. Ne ho avuto conferma leggendo questa mail che ho ricevuto da una studentessa.
“Noi desideriamo solamente capire di più noi stesse e so che anche gli altri della classe cercano questo, anche se magari sono rassegnati, o non sanno come fare perché non sanno dove guardare e quindi sono stanchi e annoiati. Mi sono accorta che tutto quello che sono riuscita a rendere mio di quello che insegna un professore io l’ho riconosciuto come qualcosa di importante e nuovo per me perché lui mi ha comunicato come quell’autore o quella poesia sono segno di qualcosa di grande innanzitutto per lui. Per capire dove cercare nelle cose che studio ho bisogno innanzitutto che il prof mi faccia vedere dove e cosa lui ha cercato e su cosa per lui vale la pena porre attenzione, insomma che mi indichi ciò che lui ha trovato, dove lui ha riconosciuto ciò che corrisponde a sé e alla sua domanda. E’ difficile altrimenti capire dove guardare, a cosa porre attenzione, cosa val la pena ricordarsi, soprattutto per ragazzi che magari non sanno neanche cosa vogliono. E’ facile arrivare al massimo a dire che una poesia è bella, ma ci si ferma lì. E’ per questo che si diventa annoiati, stanchi e lo studio appare come un dovere di cui si farebbe a meno. La scuola invece diventa bellissima quando i prof ci educano a guardare a una poesia, alla filosofia, all’arte o anche a una legge fisica non semplicemente come viene descritta nei libri di testo, ma alla luce di quello che di grande hanno riconosciuto in un testo come corrispondenza al loro cuore. Quando questo avviene riconosco nell’insegnante lo sguardo di chi sa che la vita è una promessa, che c’è qualcosa di più grande della scuola (perché l’errore che molti fanno alla nostra età è pensare che la vita sia la scuola) e cerca di comunicarcelo... Il cuore del professore è esattamente uguale al nostro, desidera la stessa cosa, siamo insieme alla ricerca di ciò che corrisponde al nostro desiderio”.
Poi parla dell’importanza per la scoperta di sé delle ore passate a scuola con dentro la tensione alla conoscenza di sé e del reale e del ruolo decisivo del rapporto con l’insegnante.
“La maggior parte dei miei compagni non hanno una compagnia di amici che li aiuti a guardare la realtà e le materie con un giudizio, confrontandole con le loro domande; alcuni non sanno nemmeno definire la loro domanda, il loro desiderio e cadono nella noia e nella frustrazione. L’insegnante dovrebbe fare questo lavoro innanzitutto per se stesso, per scoprire qualcosa di nuovo per lui, noi ragazzi poi magari ci arriviamo, magari no, magari tra un po’, non ha importanza. Ma vale la pena provarci innanzitutto per la persona stessa dell’insegnante e inizialmente per quei tre o quattro ragazzi che hanno intuito quello che desiderano”.
Da queste parole appare chiara la condizione per cui un insegnante può educare i ragazzi alla scoperta e alla conoscenza di sé, questo succede se lo desidera per se ed è disposto e deciso a giocare le grandi domande del suo cuore per andare fino in fondo al significato della materia che insegna e se vive un luogo, dei rapporti che lo educhino continuamente a realizzare questo paragone fra sé e quello che insegna. La lezione diventa una scoperta.
E’ questa la condizione per comunicare un’esperienza e un’ipotesi esplicativa, conoscitiva del reale. Un adulto così è il vero attore dell’educazione: solo attraverso una proposta chiara, affascinante, decisa che si propone nel rapporto coi ragazzi e nel lavoro di apprendimento quotidiano, i giovani sono aiutati a diventare se stessi, imparano dove guardare e che cosa val la pena guardare, trovano quella guida indispensabile per navigare verso la meta del loro cammino umano, in un mare in tempesta, come quello dei nostri giorni.
E’ quanto mi scrivevano una ex alunna e un suo compagno prima della pensione
Caro prof.
abbiamo deciso di scriverle questa lettera in quanto alunni e in quanto suoi estimatori, forse non sarà una vera e propria lettera, ma ci proveremo lo stesso, e siamo convinti che in un modo o nell’ altro, le farà senz’altro piacere.
E’ da due anni che la conosciamo, e lei per noi non è stato solo un semplice insegnante, ma anche un compagno, un compagno di vita. Ci ha insegnato molte cose, e non solo in ambito scolastico, ma anche personale; ci ha insegnato come vivere, come relazionarci con gli altri, ci ha insegnato a rispettare e ammirare le altre culture, a guardare il mondo con occhi diversi, fermarci ,ammirare tutto quello che ci circonda.
Non smetteremo mai di ringraziarla, per il suo enorme aiuto, per la sua pazienza, per la sua disponibilità e per la sua bontà.
Vorrei concludere queste riflessioni con alcune, grandi parole di Leopardi: “Che cos’ è dunque la felicità mio caro amico? E se la felicità non esiste, che cos’è dunque la vita?” Un giovane, analogamente, potrebbe chiedere: “Se non esiste la felicità perché studiare, perché impegnarsi, o perché amare una ragazza”? Leopardi rivolge questa domanda all’amico Jacopssen, lo studente spera di incontrare qualcuno che prenda sul serio questa domanda, unica condizione perché il tempo vissuto a scuola, lo studio, l’impegno abbiano un senso e un gusto.
In questi giorni in tutte le scuole si svolgono i collegi docenti, la domanda che mi sorge è: ma ce ne sarà qualcuno che si porrà la suddetta domanda e cercherà di pensare la programmazione dell’anno scolastico in funzione di essa? Oppure si parlerà solamente di competenze, abilità, verifiche, orari, supplenze, del problema del rapporto scuola lavoro?
Infine è terribile leggere che nelle commissioni e nelle aule parlamentari si discute di proposte su come introdurre l’ideologia gender nelle scuole, oppure di legalizzazione della cannabis. E’ evidente, a chi conserva un briciolo di ragionevolezza, che si tratta di proposte che negano la bellezza, la verità, il bene per cui il cuore di un bambino o di un giovane è fatto, quindi negano la funzione educativa della scuola.
Al contrario, in rarissimi casi abbiamo visto e vediamo un uomo politico impegnarsi e lottare per garantire e facilitare quella che sarebbe la grande rivoluzione del sistema scolastico italiano: la possibilità offerta alle famiglie di scegliere liberamente quale scuola far frequentare ai propri figli perché più corrispondente alla propria esperienza educativa, oppure la possibilità offerta agli studenti delle superiori di scegliere la scuola e gli insegnanti più aperti e maggiormente disposti a prendere in considerazione i desideri e le domande profonde del loro cuore, di diventare capaci di giudizi critici e maturi sulla vita, sulla realtà che li circonda, sul mondo, di diventare attori di una storia e di una civiltà nuove.
Una volta si diceva: “la prima politica è vivere”, analogamente possiamo dire: “la scuola non è morta finché noi viviamo”; da dei soggetti, degli attori “vivi” e decisi, come abbiamo cercato di descrivere, può cominciare la rivoluzione della scuola. Utilizziamo il sito per comunicarci i tentativi e le scoperte.