Associazione Cultura Cattolica

Dilatare il non-Inferno

«L’inferno - scrive Italo Calvino - è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»
Fonte:
CulturaCattolica.it
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La speranza è inestirpabile dal cuore dell'uomo. Ch. Péguy ha dedicato ad essa uno dei suoi "Misteri", nel quale ci racconta la meraviglia di Dio di fronte all'ostinata attesa da parte dell'uomo di un domani migliore, anche di fronte alle più crudeli prove. Per questo non possono essere disprezzati i riti collettivi di miliardi di persone in delirio per l'inizio del nuovo anno: essi sono segno di cuori pervicacemente desiderosi di un di più di felicità, finora non assaporata. Ma altrettanto lucidamente gli uomini più avvertiti hanno colto la fragilità di questa speranza malriposta: senza un fondamento di certezza essa è soltanto il vago ottimismo bene espresso dal lombardo: "Sperèm!", cioè "Chissà..." Così G. Leopardi nel suo "Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere" smaschera la fallacia di una siffatta generica speranza:
"Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo sì, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo. (...)
Passeggere... Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo".
E' fin troppo facile d'altra parte additare nel mondo i segni paurosi, le nubi oscure di un futuro inquieto e minaccioso... come, come sperare?
Don Juliàn Carròn, in una lettera al "Corriere della Sera" del 28 dicembre 2006, così scrive: "Il cuore resta come baluardo contro il nichilismo. Dare credito al cuore, al desiderio di tornare a casa, è l'inizio della ripresa. Sembra un niente, ma è ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la verità, se per caso ci viene incontro. Nel cuore, infatti, abbiamo il criterio per giudicare: «L'inferno - scrive Italo Calvino - è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Dare spazio a che cosa, se ogni cosa, ogni volto, anche i rapporti più cari, sembrano non avere forza e consistenza per vincere l'inferno? Ci vorrebbe qualcosa di eccezionale per respirare e vivere. Il Natale di Cristo è l'annuncio di questa eccezionalità che irrompe nei confini chiusi dell'umana esperienza: il Verbo si è fatto carne, Dio diviene uno di noi." E, più avanti:
"Come possiamo essere "toccati" da Dio? Solo attraverso l'umanità cambiata di testimoni, non perché più buoni, ma perché presi, afferrati da un Fatto che muove tutta la loro vita, come è accaduto, d'improvviso, ai pastori: «Venite a vedere! Per voi un bambino è nato!»".
La luce del Natale si irradia e si amplifica nell'Epifania, dove il bimbo piccolissimo comincia a svelarsi come risposta alle attese del cuore: dei Magi, degli sposi di Cana, delle folle che circondavano il Battista. Ancora oggi esistono nel mondo dei luoghi, degli "spazi di non-Inferno" dove una comunione di uomini vive questo regalo inaspettato, questa risposta alla sete del cuore. Due soli esempi vissuti in questi ultimi giorni: una vacanza di ragazzi della scuola media "alla ricerca della bellezza", dove gli affreschi del Beato Angelico, il tramonto sul mare, la gioiosa convivenza, la Messa quotidiana erano "segni", parlavano di una educazione di popolo in atto, di uno sguardo reso nuovo per una miracolosa Presenza. Una casa per ferie in Liguria, opera di ospitalità e di accoglienza dove ogni piccolo particolare, curato con amore, richiamava l'attenzione colma di tenerezza di Cristo per l'uomo. E una scritta che ti accoglieva in ogni camera:
"L'avvenimento cristiano ha invaso l'Europa partendo da luoghi così e adesso non ne esistono più. La responsabilità vostra è far ripartire questo tipo di esperienza. Questo luogo ha un nesso con tutta la nostra Storia, voi dovete custodirne la Santità..." (don Luigi Giussani). Un dono, un compito: "dilatare nel mondo il non-Inferno". La speranza riparte da qui.