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“Dell’Humanae vitae ringrazierete Dio e me” (Paolo VI, 28 giugno 1978)

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Un giudizio critico ed approfondito sul libro-intervista del Card. Martini. Abbiamo letto sul Foglio del 10 novembre queste parole del Card. Martini: “Siccome credo nella vita eterna, su quella temporale, fisica, di questa terra, posso transigere, sfumare, variare a seconda dei tempi e della storia e delle culture, e alla fine nascere e morire sono misteri sui quali ciascuno può e deve giudicare secondo la propria sensibilità. Contro un’etica non negoziabile della vita, dal concepimento alla morte naturale, c`è il relativismo cristiano della libertà che decide”. E ci siamo interrogati sul suo nuovo libro…

«Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa consegna, quando dieci anni fa, promanammo l’Enciclica ‘Humanae vitae’ (25 luglio 1968): ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e più urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno» [Paolo VI, Omelia fidem servavi, 28 giugno 1978].

A quarant’anni di distanza abbiamo tante argomentazioni per ringraziare Dio e il magistero della Chiesa: Paolo VI, di fronte alla sfida e al rischio di esporre all’arbitrio degli uomini l’ethos della sessualità disgiungendo l’aspetto unitivo da quello procreativo e la missione santificante di generare, come dono, la vita ha riconosciuto i limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; Giovanni Paolo II, in sintonia con il Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia del 1980 e illuminando il fondamento antropologico e morale mediante la legge della gradualità e non la gradualità della legge, ha offerto linee pedagogico-pastorali veramente adeguate; Benedetto XVI, con il profondo magistero sull’agape e sul suo rapporto con l’eros, ha sollecitato ad evitare il pericolo mortale dell’uomo suscettibile di essere trattato come ogni altro animale soprattutto a livello di sessualità, allargando gli spazi della ragione, riaprendola alle grandi questioni del vero e del bene, sia per comprendere il messaggio della Chiesa sull’ethos della sessualità, sia per il coraggio di dire che la tecnica non può sostituire la maturazione della libertà quando è in gioco l’amore. Anzi neppure la ragione basta: bisogna che sia il cuore a vedere poiché l’amore sponsale cristiano si conosce solo con il cuore. Solo gli occhi del cuore riescono a cogliere le esigenze proprie di un grande amore, capace di abbracciare la totalità dell’essere umano.
Certo all’uscita dell’Humanae vitae le difficoltà immediate che gli sposi hanno incontrato nel loro cammino morale sono state grandi. In particolare ci sono da tenere presenti “i casi difficili” della vita familiare, in cui rispettare la legge sembra disumano e al di là delle reali possibilità dei coniugi, e l’attuale promiscuità del contatto fisico per i giovani.
Per chi, nel 1968, aveva già presa una decisione non conforme alla dottrina della Chiesa era difficile tornare indietro. Si sono presentati casi in cui sembrava che la fedeltà alla morale comportasse il sacrificio di altri valori morali importanti, casi in cui marito e moglie non erano d’accordo sulla valutazione etica: che cosa fare? Si è teorizzato il riconoscimento della “verità fondamentale”, ma non basta. Occorreva trovare strade di soluzione e di crescita, adeguate al cammino dei coniugi e strade possibili a tutti, ai giovani in particolare.
Di fatto, il Magistero ecclesiastico, anche di fronte alla svolta epocale relativista dell’ethos sessuale con le potenzialità della tecno-scienza – per cui il mondo e con esso molti cattolici hanno trovato difficoltà non solo a praticarlo ma addirittura a comprenderlo – è stato capace di conservare, sul fondamento biblico, una continuità solida e tuttavia protesa ad una conoscenza sempre più profonda, documentando anche culturalmente la preminente e decisiva azione guida dello Spirito Santo. Per cui non è condivisibile il giudizio del cardinale Carlo Maria Martini in Conversazioni notturne a Gerusalemme: “Saper ammettere i propri errori e la limitatezza delle proprie vedute di ieri è segno di grandezza d’animo e di sicurezza”. Ma non cogliere questa preminente e decisiva azione di guida dello Spirito Santo è grave per tutti, tanto più per un cardinale! Profeticamente Paolo VI il 4 maggio del 1970, proprio nel culmine della bufera, invitato a cena da una coppia in difficoltà, ha anticipato tutto il cammino successivo della Chiesa: “Il cammino degli sposi, come ogni vita umana, conosce molte tappe, e le fasi difficili e dolorose – voi lo esperimentate nel corso degli anni – vi hanno il loro posto. Ma bisogna dirlo ad alta voce: mai l’angoscia e la paura dovrebbero trovarsi in anime di buona volontà, perché, infine, il vangelo non è forse una buona novella anche per i coniugi, ed un messaggio che, se pur esigente, non è meno profondamente liberatore? Prendere coscienza del fatto che non si è ancora conquistata la propria libertà interiore, che si è ancora sottoposti all’impulso delle proprie tendenze, scoprirsi quasi incapaci di rispettare, sul momento, la legge morale in un campo così fondamentale, suscita naturalmente una reazione di sconforto. Ma è il momento decisivo in cui il cristiano, nel suo sgomento, invece di abbandonarsi alla rivolta sterile e distruttiva, accede nell’umiltà alla scoperta sconvolgente dell’uomo davanti a Dio, di un peccatore davanti all’amore di Cristo salvatore. A partire da questa presa di coscienza radicale ha inizio tutto il progresso, la tensione della vita morale, poiché la coppia si trova in tal modo “evangelizzata” nel profondo, gli sposi scoprono “con timore e tremore” (Fil 2,12), ma con una gioia piena di meraviglia, che nel loro matrimonio, come nell’unione di Cristo e della Chiesa, si realizza il mistero pasquale di morte e di risurrezione”. C’è già l’intuizione della legge della gradualità argomentata nel Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia del 1980: saper capire con il cuore il meraviglioso disegno che Dio ha scritto nel corpo umano, aiutandoli ad accogliere come tensione, come un tentare e ritentare con fiducia e speranza senza scoraggiarsi mai anche quando immediatamente non si riesce, quanto comporta un autentico cammino di maturazione, sapendo che la riuscita, la coerenza è un miracolo della presenza e del rapporto con Dio, non opera dell’uomo e quindi va invocata senza sosta nella preghiera. Segno della moralità cristiana allora non è la riuscita, ma l’atteggiamento del cuore che cerca di essere fedele a come è stato fatto all’origine: si chiama povertà di spirito. La moralità in tutti i campi, soprattutto nell’ethos della sessualità, è una tensione, come quella di un bambino che impara a camminare e cade dieci volte nei dieci metri che deve percorrere, ma tende a sua madre, si rialza e tende: è la legge della gradualità.

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