Condividi:

Chesterton su #suicidio e #eutanasia

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
Dedicato agli intellettuali laici e ai cattolici pavidi

A quegli intellettuali laici che inneggiano all’eutanasia e al suicidio come massima forma di libertà razionale ed ai pavidi cattolici che dicono di non avere una risposta, voglio dedicare questo pensiero forte di Gilbert Keith Chesterton.
Sentite cosa scriveva GKC cento anni fa: «Nacque la discussione se l'uccidersi fosse una bella cosa. Certi odierni sapienti ci hanno insegnato che non bisogna dire "pover'uomo" di uno che s'è fatto saltare le cervella, poiché egli era una persona invidiabile, e, se si è colpito al cervello, è perché aveva un cervello eccezionalmente fine... Per me il suicidio (e l'eutanasia come frutto di autodeterminazione ne è la forma più raffinata, ndr) non è soltanto un peccato, è il peccato; è il male supremo e assoluto, il rifiuto di prendere interesse all'esistenza, di prestare il giuramento di fedeltà alla vita. L'uomo che uccide un uomo, uccide un uomo; l'uomo che uccide se stesso, uccide tutti gli uomini: per quanto lo riguarda distrugge il mondo... il ladro i diamanti lo appagano; il suicida no... il ladro rende omaggio alle cose che ruba se non al loro proprietario; il suicida insulta tutte le cose per il fatto stesso di non rubarle. Rifiutando di vivere per amore di un fiore, oltraggia tutti i fiori. Non c'è al mondo la più piccola creatura cui egli non irrida con la sua morte».
Anche sul suicida arriverà la pietà, ma non sul suicidio. Questa è una delle altre grandi separazioni che la spada dell'Ortodossia ha operato generando il paradosso della carità, che consiste nel «perdonare azioni imperdonabili, amare persone non amabili». Ciò che non riesce al razionalista, il quale ritiene che «fin dove l'atto è perdonabile, è perdonabile l'uomo», invece «il cristianesimo è arrivato all'improvviso come una spada, e ha diviso il delitto dal delinquente: il delinquente può essere perdonato fino a settanta volte sette; il delitto non deve essere perdonato affatto».
Incapace di reggere a questa morale «più larga» in cui consiste il «paradosso cristiano dei sentimenti paralleli», l'intellettuale moderno pensa di ridurre la religione a morale, privandola della sua forza di avvenimento e di pensiero: «Una inconsapevole grande chiesa di tutta l'umanità. I credi, si diceva, dividono gli uomini, la morale li unisce» (sembra di sentire Jovanotti). Ma chi sostiene queste tesi sostiene anche che la morale è sempre cambiata e che ciò che era vero in un'età era falso nell'altra.
Il risultato del moralismo contemporaneo è che invece di cercare di cambiare la nostra vita nei confronti dell'ideale cui tendiamo, troviamo più semplice cambiare di volta in volta l'ideale, «è più facile», con la conseguenza che l'epoca del trionfo dei discorsi sull'etica è l'epoca più profondamente immorale che si sia mai conosciuta, non perché piena di vizi, ma perché ha dato loro la dignità di valori.
Pensate a cosa vuol dire questo nei confronti dell'accoglienza di una persona handicappata: modificare il mondo perché sia adatto ad accoglierla o modificare l'ideale, ritenere cioè la sua vita indegna di essere vissuta ed evitargli l'incombenza di viverla...

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia.

Davanti alla morte di un uomo – Tribuna
Vai a "Abbiamo detto... Gli Editoriali"