La vocazione della vita
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
(La vocazione della vita, Appunti dall’intervento di Luigi Giussani a un raduno di universitari. Bologna, ottobre 1971)

La realtà ci parla con il linguaggio semplice dei fatti. Ma noi, semplici non siamo più. Abbiamo letto tanto, studiato tanto, scoperto tanto, inventato tanto. Noi non guardiamo la realtà: la interpretiamo, la modelliamo, la manomettiamo, la violentiamo. Noi postmoderni non accogliamo la realtà così com’è: la realtà la costruiamo come ci pare e piace.
Ieri, in alcuni punti della mia città è esondato il Lemene, il fiume che ne attraversa il centro. Stessa storia, in diverse zone d’Italia. Barche ormeggiate sulle rive si sono arenate sull’erba. Nelle strade allagate spuntavano qua e là lamiere d’auto, e case, nelle campagne che sono diventate acquitrini. Esce un fiume dal suo letto e ritrovi pesci sulle strade, e animali morti affogati.
Spaventa, quest’acqua melmosa fuori dal suo alveo. Si perde. Entra nei giardini nei negozi nelle case… Potesse pensare, non so se sarebbe felice, non credo.
Non sono prigioni, gli argini. Non sono un attentato alla libertà del fiume che altrimenti andrebbe dove vuole lui. Quelle sponde lo contengono, lo guidano, ed insieme ad una forza che non è la loro lo accompagnano lungo il suo cammino naturale dalla sorgente alla foce, dalla montagna al mare.
Ha una vocazione, il fiume: un’origine e una fine e strano sarebbe se l’acqua volesse andare al contrario, o, fuori dal suo letto, sperimentare l’ebbrezza delle strade, dei boschi, delle ferrovie.
C’è un ordine silenzioso, nella natura, che è per il bene di tutti e di ciascuno. Ed è monito per la vita dell’uomo che può pensare e chiedersi cos’è bene e cos’è male – lui sì.
Ci parla, la realtà, ma abbiamo perso la chiave per comprenderla. Ci parla e ci dice che la vita è vocazione. Per ogni cosa creata.
La vocazione del fiore è fiorire là dove nasce. Bellezza, polline, profumo. Che ne sarebbe di una stella alpina in riva al mare, o di un cactus nelle Dolomiti?
La vocazione dell’uomo, maschio o femmina, è accogliere la propria mascolinità o la propria femminilità e renderle feconde per sé e per gli altri, valorizzando le proprie peculiarità e i talenti
ricevuti. La felicità altro non è se non la risposta a quella chiamata: è la realizzazione di sé, è la scoperta del senso della vita. Per me donna, per te uomo.
Felicità, allora, è accettare gli argini e sentirli amici. Il mio corpo di donna, il tuo di maschio.
La ribellione fomentata dall’ideologia gender (io non sono il maschio che vedi, la femmina che vedi: sono quel che mi va di essere oggi, ma tra un po’ posso cambiare. Maschio, gay, transgender, femmina, e ancora transgender… Oppure femmina, lesbica, transgender con la barba la voce grossa e l’utero e dunque madre perché lo voglio, ma poi sarò padre…)… questa rivolta del gender contro gli argini è fiume che esonda e smarrisce la strada e si disperde. Libero? Forse. Ma non fa il bene di sé né dei pesci che trascina fuori dall’alveo e son destinati a perire. Rompe gli argini ed è rovina per ciò che investe nel suo disordinato andare.
Smetterà di piovere, domani. E il Lemene rientrerà nel suo letto. Tornerà trasparente l’acqua, e sarà casa per i pesci. Continuerà il suo corso ordinato, sicuro tra quelle sponde, e arriverà al mare.
Come la sua vita, la mia di donna, la tua di uomo. Un cammino orientato verso un grande orizzonte. Il compimento di sé. La felicità.