Family man. Meglio non saprei
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(Edoardo Tincani, Family man. Diario semiserio di un marito cristiano, cinque volte papà)

Avviso ai litiganti, Casa dolce caos, Carissimo Pidocchio, Quattro salti in pagella, Lupus in tavola…
Basterebbe questo, basterebbero alcuni a caso fra i titoli dei capitoli di “Family man”, del giornalista Edoardo Tincani, per invogliare ad acquistare il libro e a intrufolarsi in questo “Diario semiserio di un marito cristiano cinque volte papà”.
Tanto per cominciare, Tincani scrive bene, gustosamente bene, e di questi tempi non è poco. (Anche il coraggio di mettere al mondo cinque figli oggi non sono bruscolini, in verità!)
Chi accetta la sfida, per 120 pagine potrà addentrarsi nella vita quotidiana - più da Mulino stanco (parole sue) che da Mulino bianco – di questa famiglia che fa i conti con la sveglia, la spesa, la scuola, il lavoro, gli impegni pomeridiani, il tempo libero, gli onori e gli oneri di ogni ora di ogni giorno… moltiplicati per sette. Una famiglia normale eppure speciale, che qui viene raccontata senza veli, e cioè s-velata: liberata dalla retorica dolciastra del sentimentalismo e delle emozioni.
Preparatevi. In queste pagine, della famiglia si sentono profumi e odori. Una scena per tutte. «E quante volte, sempre di notte, ovviamente, quelle due piazze sono diventate un ricovero per malati veri o immaginari, insonni ansiosi, sognatori disturbati, fino ad ammassarci anche in cinque, incastrati come i mattoni di un Tetris?»
Nel groviglio delle situazioni che vengono raccontate dall’autore, che procede per flash, il lettore è come sfidato a cercare l’ordine nascosto. Si intravede, c’è.
Lui e lei, due individualità che si incontrano, che iniziano a frequentarsi e un giorno decidono di rischiare, di dire sì a un cammino insieme nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarsi e onorarsi tutti i giorni della vita. Si parte di qui, dal matrimonio che, come ricorda Tincani, «non è un traguardo ma una partenza. E’ un dono, non una conquista», consapevoli che «l’amore è prima di tutto una decisione e come tale si può confermare e anzi fortificare con l’andare degli anni».
Scordatevi, dunque, l’idillio Love-is-love (fin che dura): cuoricini, sms, cenette romantiche, lenti cheek to cheek versione due-cuori-una-capanna. Si trovano solo nei film, e forse neanche più lì. La vita (reale) è un’altra cosa. Nel matrimonio si litiga, a volte, per stanchezza, per disaccordi, perché… nessuno è perfetto. Allora ci si guarda negli occhi e si cerca di dialogare, ma «non per stabilire chi ha ragione, perché l’animosità fine a se stessa nuoce comunque al “noi” futuro. Costruttivo», ricorda Tincani, «è solo ascoltarsi,riascoltarsi, provare a spiegare gli stati d’animo più reconditi e magari a capirsi, sapendo che oltre a un certo margine non ci si può cambiare». Perché, in fondo ci si prende anche attratti dalla diversità.
Leggi e, riga dopo riga, ti accorgi che in queste 120 pagine semiserie, scritte da un marito cristiano cinque volte papà, non c’è nemmeno bisogno di nominarlo, Dio, perché è presente sempre, è dentro il sì quotidiano di questi sposi e nel loro amore fecondo, che esce dalla dimensione egoistica dell’io, accetta di donarsi e pro-crea: genera nella carme e spiritualmente. Arrivano i figli. Uno, due, tre… cinque. Allora quel lui e quella lei non sono più solo marito e moglie, ma anche padre e madre. Una carne sola, frutto di una relazione amorevole e continua tra il maschile e il femminile, perché, ricorda il giornalista, «i figli sono in rapporto con un rapporto».
Bellissimo, a questo proposito, l’episodio raccontato proprio a metà del libro, quando per il compleanno di Lucia, la moglie dell’autore, la figlia più piccola le ha regalato un foglio di carta A4 piegato in due. Dentro, il disegno del papà e della mamma per mano. «E’ stata una sorpresa. Voglio dire, è normale pensare al compleanno come a una ricorrenza personale, con le candeline e le frasi, ironiche o ispirate, sul traguardo raggiunto. Ma a nostra figlia è venuto spontaneo disegnare la coppia, perché chi ha compiuto gli anni è la mamma e se è mamma è anche per merito del papà».
Insomma, in queste pagine incontrerete tanti episodi tratti dalla quotidianità, in cui emergono la fatica e la meraviglia del noi, dello stare insieme, e viene da chiedersi se, specie in una famiglia così numerosa, è vero che conta più la qualità del rapporto che la quantità del tempo trascorso insieme. Non pare pensarla così, Tincani, che ricorda come il bene più importante è proprio il tempo che doniamo, la reciproca, rassicurante presenza, o racconta delle vacanze rigorosamente da trascorrere insieme: occasione preziosa in cui questo gruppo assortito può ritrovarsi e ricaricare le batterie. La vacanza costruisce «memoria di famiglia, il senso di non essere soli», scrive. E, nei marasmi della vita, scusate se è poco.
Una cosa ancora, poi lascio il resto alla scoperta del lettore.
Si parla di matrimonio e di genitorialità, qui; si parla molto, moltissimo, di amore. Interscambiabili, i genitori, come il calzino destro e quello sinistro? No. Non è in-differente la relazione che i figli instaurano con il padre e con la madre. «La paternità è per far uscire il figlio dal suo guscio, per infondergli fiducia nella vita, per dargli delle regole chiare: non ricusando l’autorità come fosse un sopruso, ma considerandola – quale è – un doveroso esercizio di responsabilità… Questa paternità mostra ai figli un orizzonte libero in cui avventurarsi. Dà loro dei fini, non solo dei mezzi».
Concludo con queste parole di Edoardo Tincani, family man. Meglio non saprei.