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La «teoria gender»? Si sa, non esiste

Fonte:
CulturaCattolica.it
Come mi sento e mi percepisco… rispetto al mio sesso biologico

Fate un giro nei social. Il ritornello più frequente, in casa Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, ma aggiungeteci pure l’altra cinquantina di generi indicati da facebook per venire incontro a chi non si sente né maschio né femmina...), il ritornello più frequente – dicevo – è che «il gender non esiste». Ve lo siete inventati voi, cattolici fondamentalisti e anche un po’ talebani: retrogradi, omofobi, con la passione per la caccia alle streghe e la lotta contro i mulini a vento!
In effetti, come accade per l’eterologa con i suoi uteri in affitto e l’acquisto degli ovuli, basta cambiare le parole e dire GPA – gravidanza per altri, e «donazione» degli ovuli (come ha scritto ad esempio Francesca Pardi nel libro “Perché hanno due papà?”: «in America c’è un posto dove delle signore gentili / donano i loro ovini per chi non ne ha») e il gioco è fatto: bacchetta magica e scompare la schifezza di pagare una povera donna perché affitti il proprio utero e sforni un bambino che appena nato le verrà strappato per sempre. Anzi, la schifezza c’è ma non si vede, perché è camuffata sotto mentite spoglie.
Vale per l’eutanasia: ammazzi uno, ma anche no. E quella siringa che gli prepari per la soluzione finale diventa lo zuccherino della «buona morte». La neolingua politicamente corretta fa miracoli e trasforma persino il pattume: lo ricicla e lo profuma di buono, così non sembra neanche più lui.
Insomma: basta non usare “quella” parola (gender) e ci fan credere che la teoria gender non sia pervasiva come invece è, e non stia facendo sempre più breccia tramite i media, ma anche grazie al braccio armato delle norme e della magistratura, come sta accadendo da un anno a questa parte. Disegni di legge e sentenze, insegnano. Idem a scuola, dove quatta quatta la rieducazione all’indistinto è iniziata da un bel po’. Ma «il gender non esiste!», insistono. Eh, già. Avete trovato, sui giornaloni che fanno tendenza, articoli che spieghino per bene cos’è la teoria gender? No. Non se ne parla. E se non ne parlano loro, non esiste. E così siamo punto e a capo.
Allora, per farvi un’idea (vera) di cosa sta accadendo, leggetevi la Strategia nazionale LGBT e gli Standard per l’educazione sessuale in Europa. Non serve acquistare nulla: si trovano in rete. Chissà che, vedendo nero su bianco cosa bolle in pentola, capiate come, pur senza mai nominare l’innominabile (il gender), l’innominabile abbia, di fatto, allungato e diramato ben bene le sue radici.
Un esempio.
Gira nelle scuole ed è scaricabile in rete, il numero 08 dei Quaderni della Ricerca, della Loescher, a cura di Federico Batini, ricercatore e professore aggregato di Metodologia della ricerca in educazione e Pedagogia sperimentale all’Università di Perugia. Si intitola Identità sessuale: un’assenza ingiustificata. Sottotitolo/specchietto per allodole: Ricerca, strumenti e informazioni per la prevenzione del bullismo omofobico a scuola.
Perché «specchietto per allodole»? Perché, da un po’ di tempo a questa parte, per far passare nelle scuole i progetti di (ri)educazione in salsa gender, la scusa è sempre quella (alternata, in verità, alla «lotta agli stereotipi di genere»): il bullismo è fenomeno allarmante; leggi qui, fai quello che ti dico e imparerai a prevenirlo. Dicevano lo stesso i libelli dell’Unar dal titolo Educare alla diversità a scuola. Lotta al bullismo – a parole – e, nei fatti, percorsi per «instillare», fin dalla materna, preconcetti contro la famiglia, la fede religiosa, la differenza tra un padre e una madre. Ricorderete che la diffusione degli opuscoli aveva provocato la reazione delle associazioni dei genitori, a causa dei contenuti fortemente orientati verso l’ideologia gender e Lgbt e così i tre libelli destinati alle scuole di ogni ordine e grado sono stati ritirati in fretta e furia.
Usciti dalla porta, quei progetti stanno però rientrando dalla finestra, grazie alla Strategia nazionale LGBT citata sopra e grazie a testi come quello che sto presentando. Novantatrè pagine divise in nove capitoli tra cui I differenti costrutti per definire l’identità sessuale, Gli stereotipi e i pregiudizi, Il bullismo omofobico, Ripensare l’educazione, Strategie e strumenti per una didattica inclusiva, eccetera…
Alla base (pag. 18), la distinzione tra «sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale». Attenti alla definizione di «identità di genere»: non c’è scritto gender, ma è lui. «L’identità di genere tende a esprimere la relazione di una persona con il proprio sesso biologico. Come mi sento e mi percepisco… rispetto al mio sesso biologico: congruente o incongruente? In poche parole mi percepisco maschio, femmina o nessuno dei due?» Da questa definizione si declina il resto, chiarissimo a pagina 21: «Secondo molti, sarebbe più opportuno riferire l’orientamento sessuale all’identità di genere e non al sesso biologico di un soggetto». Il perché è presto detto, con l’esempio di «persone di sesso biologico maschile che transitano verso il sesso femminile e sono poi attratte verso donne e persone di sesso biologico femminile che transitano verso il sesso maschile e sono poi attratti da uomini». (Notare, in questo passaggio, l’intervento di Batini sulla lingua italiana: l’autore non fa nemmeno più concordare il soggetto “persone” - femminile - con il verbo: dovrebbe scrivere attratte, ma siccome il “genere di elezione” è maschile e dunque si sta parlando di persone-maschi, il verbo diventa attratti, in barba alle regole grammaticali. Tant’è). Ma tornando alla sostanza: io sono quel che mi sento di essere, e occhio a come parli di me, di chi sono, del mio orientamento sessuale. Capite bene che il sesso biologico come dato oggettivo passa decisamente in secondo piano, anzi viene messo in soffitta, e trionfa la soggettività, il “come mi sento, come mi percepisco”. Se non vi raccapezzate, rileggete con calma. Ce l’ho fatta persino io.
Ancora. Tenendo conto del fatto che per tentare di definire l’ “omofobia” l’autore riporta gli studi di Morin e Garfinkle, che tra l’altro parlano di «qualsiasi sistema di credenze che svaluta gli stili di vita omosessuali in confronto a quelli eterosessuali», ecco una chicca sulla religione che, se incrociata con il testo del ddl Scalfarotto, fa rizzare i capelli. Nel capitolo 3 dal titolo Gli stereotipi e i pregiudizi presenti: dati di ricerca, si relaziona su una ricerca comparativa tra studenti italiani e spagnoli, condotta tra il 2011 e il 2013 da Federico Batini e Irene Fucile, e che ha coinvolto due Istituti di scuola secondaria superiore di Terni e uno dell’area vicino Barcellona. A commento, ad esempio, dell’item su Giudizi, pregiudizi e omosessualità, a pagina 31 si legge: «E’ evidente la residua attribuzione del concetto di “peccato” all’omosessualità, che richiama dunque riferimenti a coordinate di tipo religioso (laddove la religione è, ovviamente, quella cristiana di confessione cattolica)». E si aggiunge: «Da segnalare che mentre va in stampa questo volume l’attuale Pontefice ha inserito l’omosessualità tra le questioni circa le quali ha chiesto l’opinione dei fedeli» (!)
Sentite questa. A pagina 35 si racconta che nell’ultima sezione del questionario i ragazzi erano stati sollecitati a esprimere la loro opinione circa «la necessità di introdurre una disciplina che tratti questi temi nella scuola». Sì, avete letto bene: una disciplina vera e propria, suppongo con prove scritte e orali, valutazioni, studenti rimandati, corsi estivi di recupero, minaccia di bocciatura. Meditate, gente, meditate.
Seguono alcune pagine sul bullismo omofobico, per combattere il quale l’autore propone «un’educazione all’identità sessuale, o meglio, un’educazione tout cour non stereotipata e dicotomica che incominci dalla prima infanzia». Seguono esempi. «Nei primissimi anni di scolarità favorire la frequentazione di piccole storie con protagonisti che affermano una differenza come valore, utilizzare testi pensati proprio per spiegare le differenti composizioni possibili delle famiglie» (pag. 46), «favorire incontri con persone che rappresentano le diverse posizioni sui diversi temi collegati all’identità sessuale (diritti civili, omogenitorialità, matrimonio civile, omofobia)» (pag. 48). Non potevano mancare indicazioni sulla formazione degli insegnanti (pag. 49): «aiutare gli insegnanti a individuare e mettere in discussione i propri pregiudizi… attraverso percorsi formativi esperienziali centrati anche su attività ed esercitazioni concrete, che consentano l’emersione dei propri stereotipi e pregiudizi».
Ed ecco alcuni consigli sulle strategie per affrontare «l’eterosessismo e l’omofobia nei contesti scolastici»: «Usare in maniera specifica un linguaggio specifico non connotato secondo il genere, come partner, amante, persona quando emergono discussioni sulle relazioni o sulla scelta del partner», «esporre in modo visibile brochure e guide alle risorse esistenti delle comunità lesbiche, gay e bisessuali all’interno e all’esterno dello studio del counsellar» (pag. 53)
Concludo con un cenno al capitolo 8. Propone un percorso narrativo utile ad affrontare alcune delle tematiche presentate nel volume: la lettura di brani tratti dal romanzo Jack della scrittrice americana A. M. Homes, anche se in verità «si consiglia la lettura integrale del romanzo in aula e ad alta voce, interrompendolo di volta in volta in corrispondenza dei passi segnalati in modo da svolgere le attività suggerite». Jack, leggo in rete, «è la storia di un teenager che desidera solo essere normale – anche se questo significa avere i genitori divorziati e un migliore amico piuttosto strambo. Ma quando il padre lo porta a fare una gita sul lago e gli confessa di essere gay, niente sarà mai più normale». Batini, accanto alla lettura del testo in classe (228 pagine, mica bruscolini!) e oltre alle attività indicate come esempi nel suo fascicolo, sottolinea che il percorso «può essere utilmente integrato con qualcuno dei film presentati nell’appendice»: tutte pellicole ovviamente con a tema l’omosessualità, i movimenti per i cosiddetti “diritti civili”, il Gay Pride, l’identità di genere, o, riassumendo il film “Boys Don’t Cry”, «l’odissea del protagonista, nato femmina ma che noi vediamo sempre maschio, ovvero come si sente, come si percepisce, come vorrebbe essere e come, forse, già è». A spanne, quante ore di lezione? Fate due conti voi.
Volutamente ho solo riportato, virgolettati, alcuni passaggi a campione del “quaderno di ricerca” che sta girando nelle scuole e in rete. Ciascuno si faccia un’idea di cosa si vuole introdurre a scuola, molto probabilmente a livello curricolare e dunque senza la possibilità che i genitori esprimano il proprio parere in merito. Solo una riflessione. Forse hanno ragione quelli che dicono che la teoria gender non esiste: anche da queste pagine si evince che, complice il silenzio degli ignavi, si è abbondantemente incarnata ed è diventata realtà. Cui prodest?

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