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Il «Milagro» dell’educazione

Fonte:
CulturaCattolica.it
“L'educazione non è una professione ma una attitudine. Prevede un’uscita da se stessi, con metodi non convenzionali, e necessita delle persone come nuove strade per raggiungere il cuore dell'altro.”

Queste parole del missionario della San Carlo Borromeo, Juan Luis Barge, inaugurano il nostro convegno spagnolo dal titolo: “Educar, un milagro?” Già il titolo è una provocazione: in tempi di bilanci delle competenze, saperi, tecniche e tecnicismi, si afferma che l’educazione ha la natura del rischio, della sfida tremenda di un educatore che si deve occupare prima di tutto della sua santità. Potremmo dire che ciò che ci ha colpito a Madrid è il non verbale e, detto di un convegno in gran parte in lingua spagnola, sembrerebbe una giustificazione... Invece siamo stati condotti a guardare da subito i segni, perché l'educazione è fatta di segni. Il primo segno è l’accoglienza - acogida nella casa de La Almudena in periferia di Madrid: tre famiglie che si stringono assieme per dar vita ad un abbraccio verso bambini e famiglie in difficoltà, un abbraccio che implica 'toda la vita', come è scritto nella mostra allestita all'ingresso. C'è un debito di riconoscenza per chi ha cominciato esperienze simili: Cometa a Como, Fontana Vivace di Genova, San Giuseppe e Santa Rita di Castelbolognese. È una catena della carità, che riconosce gli anelli che vengono prima, guarda i maestri e fa memoria delle loro parole. La casa celebra il suo primo anno dall’inaugurazione fatta alla presenza del cardinale Ruoco di Madrid. E’ il racconto di una vita che travolge un quartiere, che segna i rapporti in questa periferia in cui non ci sarebbe molto da sperare. Una ragazza racconta la bellezza e la difficoltà di essere vissuta in una famiglia aperta, di aver dovuto condividere la mamma con altri bambini, riscoprendola in una relazione ancora più profonda. Per noi italiani avviene il primo milagro: si capisce tutto e chi non capisce dà di gomito al vicino che capisce. Poi è la sovrabbondanza del riconoscimento: trovare amici fraterni con cui si condivide la vita, in Spagna a fare i nonni, perché il mondo è diventato davvero piccino e la carità lo abbraccia tutto. E Grazia Maria Tiozzo Bon, chioggiotta di Madrid, moglie di Luis e madre di tre splendide creature, ci porta infine alle tapas, perché non c’è condivisione che non arrivi fino alle ‘grasse vivande’. Il giorno dopo cercando la sede del convegno ci perdiamo nelle geometrie spagnole, arriviamo con più di un'ora di ritardo, ma fa niente, si comincia e di schianto si ripete il dono delle lingue, perché in educazione il 'sentido' religioso è il vero esperanto e non ha bisogno di traduzione...
C'è oggi la possibilità di una dimenticanza: a una generazione biologica non corrisponde più una generazione spirituale, una storia di paternità e maternità spirituale, un sentido, un significato, una direzione. Ma c’è una memoria che vince, quella che il Signore ha di noi! Rinascere è piú bello che nascere… Non possiamo dire io, senza il Tu che ci precede
Il milagro dell 'educazione si ripete anche oggi per noi, qui, arrivati dai quattro angoli del mondo per questo piccolo-grande convegno che coinvolge Ferrara, Forlì, Chioggia e poi Madrid, Fuenlabrada, Cuenca e Majorca… Non ci ha fatto problema viaggiare, coprire distanze, perderci nel traffico di una città che vive l'attesa spasmodica di una elezione a sede olimpica (ne saremo coinvolti sia nell'entusiasmo anticipatorio che si riversa trepidante a Puerta del Sol, sia nella sommessa delusione per l'esclusione)
Il convegno si protrae, ma qui il tempo ha un altra scansione: apprendiamo che le 15 del pomeriggio non è ancora tardi per pranzare, le giornate sono più lunghe delle nostre, qui a Madrid…
Juan Luis parla l'italiano come lo spagnolo con una ricchezza di vocaboli, con una dovizia di sfumature in entrambe le lingue che mescola sapientemente per farci intendere gli uni agli altri.
Educare non è mai facile, ma semplice sì. Se è una testimonianza è semplice. Dio continua a fidarsi di noi nel mettere al mondo i figli e nel farceli educare perché ci chiede, in fondo, per essere dei buoni genitori, educatori, solo questa suprema lealtà di fronte a noi stessi e di fronte alle cose…”. È un fuoco di fila di testimonianze quello a cui assistiamo, già tradotte nel fascicolo che ci viene consegnato all'inizio: Puri Sacristan, Martinez Perreno, Maria Rosa Aulino, Antonio Rodriguez, Maria Podereux, Manuel Valvidia: gente innamorata, come confessa candidamente uno di loro, e ci viene da pensare che essere innamorati è l'unico modo per educare. E innamorati sono senz’altro i ragazzi di Ferrara che raccontano la loro esperienza ai campi estivi. Il tutto avviene sotto l'egida (si dice così ma non rende la tenerezza) di Angel Misut.
L'intervento finale del Professor Josè Luis Almarza, della Facoltà di magistero dell’università di Madrid. ci fa saltare sulle sedie letteralmente e ci fa scordare che sono già le quindici e ... non abbiamo ancora mangiato. Non capitava così anche con Gesù?
“La scuola è dove la vita cresce e i maestri sono quelli che ti accompagnano, che fanno la stessa strada che fai tu. È un miracolo l'educazione che grida: “Vieni, se non vieni non ci crederai...” Il miracolo è quella cosa che perfino l'ateo vuole che esista… ogni miracolo è non convenzionale, una presenza fuori dagli schemi. Tutto comincia là dove c'è una presenza e l'educatore è una presenza, ha una proposta, una promessa, perché vive in una compagnia.”
L’ultimo giorno siamo a Fuenlabrada, un parrocchione dei missionari della San Carlo: un’oasi nel deserto cui possono attingere tutti gli uomini di buona volontà. Visitiamo gli appartamenti che ospitano situazioni di ordinaria disperazione: puliti, belli, accoglienti. Dopo la messa (il vangelo è quello del figliol prodigo), mangiamo in una grande sala dove una donna araba, solerte e silenziosa, prepara e serve succulenti piatti. Si ferma, racconta di sé: accolta, raccolta, voluta qui come fosse casa sua nonostante le differenze religiose. Sarà per questo abbraccio fra culture diverse, sarà che mentre mangiamo felici, Enrico nostro visionario capo, promette che ciò che è iniziato si compirà in un nuovo incontro, mi viene in mente il film “Uomini di Dio”, e precisamente l’ultima cena prima del sacrificio, quando i volti sorridenti attorno a Christian de Chergé, priore del monastero trappista di Tibhirine (Algeria), parlano ormai di una speranza ineffabile. Ecco, in questa speranza che ci avvolge e ci soverchia, sta il miracolo dell’educazione di noi stessi e quindi di coloro che incontreremo per Grazia. Occorre essere innanzitutto uomini per accettare ‘un desafìo tremendo sobre sì mismo, una sfida tremenda su di sé’.

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