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Il Papa su Twitter. E noi?

Fonte:
CulturaCattolica.it

Non sono un novellino nel mondo di Internet: già dal 1995 curavo un primo sito (precedente a CulturaCattolica.it), e mi sono sempre interessato dell’argomento, anche quando parlare della rete sembrava un gioco da ragazzi. Guardato con sufficienza, un po’ come si guardano gli adulti scout che girano in città con i pantaloncini corti e il foulard al collo; in seminario avevo un compagno così: “patetico…”
Ho sempre apprezzato gli interventi del Magistero sull’argomento, e quando Giovanni Paolo II ha detto quelle parole memorabili su Internet come nuovo forum in cui annunciare il Vangelo ne sono rimasto conquistato. Eccole: «Internet permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo. Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia” della nostra redenzione. Questo è il fine dell’evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c’è spazio per Cristo, non c’è spazio per l’uomo». Queste parole avevano la forza del richiamo del 1983, quando lo stesso Giovanni Paolo II aveva affermato che «Una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».
Ho appreso da poco la notizia dell’ingresso di Benedetto XVI nel mondo di Twitter, e ho visto che il sito vaticano delle comunicazioni sociali chiede a tutti un parere.
È giusto riflettere. È giusto comunicare. È giusto confrontarsi.
È certamente evidente che non sarà il Papa stesso che starà davanti al computer per rispondere alla migliaia di Tweet che lo raggiungeranno. Avrà cifre astronomiche di followers, e ci sarà per forza qualcuno che risponderà al suo posto. Almeno nel 99% dei casi.
È quindi evidente che l’ingresso del Papa in questo mondo è esso stesso un messaggio, un segnale da accogliere e decifrare.
Innanzitutto ci comunica che noi cattolici non abbiamo paura della comunicazione: se guardiamo la nostra storia (il monachesimo e gli studia medievali; l’invenzione della stampa; l’avventura della radio…) tanti sono i segnali di questo cammino di “simpatia”.
Nel mio piccolo, a usare il computer per collegarmi ad Internet ho imparato da mio padre (che è stato presidente diocesano di Azione Cattolica) che, all’età di 85 anni, mi regalò e mi insegnò ad usare il primo computer (forse era un papà originale, dato che uno dei suoi primi regali fu il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” di Galileo Galilei, che aveva letto durante la giovinezza. Alla faccia della “chiusura settaria e oscurantista dei cattolici”!).
Quello del Papa su Twitter è dunque un segno, un segnale per tutti noi.
Beh, forse anche un segno del suo “entourage”, che accredita in tal modo uno spazio di comunicazione che ha raggiunto e di cui vuole essere autorevole riferimento (ricordo che, intorno al 2000, quando alla CEI ebbi l’occasione di partecipare ad un convegno sull’argomento, i protagonisti - ed eravamo in pochi - cercavano un accreditamento ufficiale).

Che cosa ci chiede tutto questo? Faccio alcune iniziali osservazioni sparse, da riorganizzare e da approfondire, per poter incontrare coloro che lavorano nel mondo della rete e parlarne non solo per gli aspetti tecnici ma anche per il significato e le problematiche che suscita.

1. Il mondo digitale si presenta, nel contesto di una nuova riflessione che in questi tempi coinvolge moltissime persone, non soltanto come uno “strumento di comunicazione” ma come un ambiente nel quale operare, e che incide profondamente sul nostro modo di guardare la realtà.
2. Nel contesto della “nuova evangelizzazione” il punto capitale su cui riflettere è il soggetto, la persona che agisce. Gli strumenti sono sempre agiti da qualcuno, con le proprie caratteristiche e con i propri progetti.
3. “Sapere è potere”. Nel contesto nel quale viviamo credo che sia importantissimo riflettere sul fatto che il mondo della comunicazione, in particolare il mondo digitale, può contribuire ad aumentare la divisione tra “ricchi e poveri” (e questo non solo in senso economico). L’interesse ai nuovi mezzi di comunicazione non può farci dimenticare quella grande massa di uomini, donne, giovani e anziani che non potranno mai accostarsi a tale mondo.
4. Il mondo della comunicazione digitale è soltanto un mondo che ha le sue regole, che un cristiano deve saper imparare e a cui deve sottomettersi, oppure si può pensare in qualche modo e in qualche forma all’incidenza proprio della fede cristiana nell’uso di questi strumenti? È possibile fare una riflessione in analogia con quanto la Congregazione per la Dottrina della Fede diceva a proposito della «teologia della liberazione» e del suo uso del marxismo? (Questo sarà certamente un argomento da approfondire).
5. Che cosa rende propriamente “cattolica” una presenza in rete? È una questione di contenuti, di metodo, di soggetti proponenti e agenti…?
6. Basta stare poco tempo sulla rete per accorgersi della quantità di notizie e della varietà degli argomenti presenti. Che cosa interessa veramente all’uomo? Se definiamo con ideologia quel sapere che nasconde l’interesse che lo muove, non c’è il rischio che proprio il mondo di Internet sia il mondo dell’ideologia? Come educarci ed educare in particolare i giovani a un uso critico della rete? Ha senso ancora porsi la domanda “che cos’è la verità”?
7. Quest’anno il Papa, parlando dei mezzi di comunicazione sociale, ha sottolineato il valore del silenzio. Apparentemente si tratta di una affermazione contraddittoria: come far convivere comunicazione e silenzio? Non è forse questa, però, la sfida che ci attende?

Benedetto XVI, con la sua presenza su Twitter, ci fa una proposta seria. Non ci chiede soprattutto di usare anche noi Twitter (c’è certamente chi lo sa fare e chi può imparare a farlo) ma ci invita a stare nel mondo della comunicazione con una identità chiara, a servizio della verità e quindi dell’uomo, non pensando che l’annuncio della fede abbia bisogno di questo strumento come indispensabile, ma nella consapevolezza che proprio l’annuncio della fede ci rende capaci di usare di tutto perché risplenda il volto di Cristo, nella concreta e avvincente esperienza della Chiesa.

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