Nessuno genera se non è generato: una esperienza
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(Ger 31,9)

E’ potentissima, la mostra Nessuno genera se non è generato. Alla scoperta del padre in Omero, Dante, Tolkien, ideata e curata dalla Fraternità Sacerdotale S. Carlo Borromeo. Potentissima perché tutti siamo figli, perciò parla a ciascuno, senza eccezioni. Potentissima perché ridesta ferite assopite ma, insieme, è balsamo che allevia il dolore.
L’ho capito questo fine settimana, quando a scuola sono venuti Luca, Enrico, John ed Emanuele: quattro seminaristi della Fraternità, ad illustrare la mostra a quasi 300 ragazzi.
Li abbiamo invitati come Centro culturale “Von Balthasar” perché sapevamo che non sarebbe stata una conferenza tra le tante, una conferenza come tante. Sapevamo che sarebbe stato un incontro, e di questo c’è bisogno, oggi più di sempre.
Partendo dai testi di Omero, di Dante, di Tolkien, i seminaristi hanno riflettuto sul padre biologico e sulla paternità, ma poi abbiamo voluto dar spazio ai ragazzi: alle loro domande, alle loro storie, ai loro groppi in gola e nel cuore. Alle loro lacrime silenziose.
E’ allora che ho capito. E’ da lì, da quel pianto, che comincia il cammino.
Il pianto di un bimbo è vagito che avverte son vivo, ho bisogno di te. Anche il pianto da grandi è domanda, ed è da lì, da quel pianto, che i ragazzi van presi per mano. Il loro pianto è mano che cerca altra mano.
Parlare, oggi, di padri, io lo so: è ferita che brucia.
Può tacere, la scuola. Fingere di non sapere e di non vedere la storia di ciascuno (il compito è insegnare, valutare, finire i programmi, costruire e certificare competenze…) o, la scuola, distrarre i ragazzi come fa il mondo. Pensando di proteggerli, pensando di far bene.
Oppure si corre il rischio. Si squarcia il velo, si guarda cosa c’è dietro, e si va al nodo della questione e del cuore, e si parla. Di padri presenti e di padri assenti; dei nostri padri imperfetti; di padri che dobbiamo, tutti, imparare a perdonare, perché senza di loro non saremmo qui. Non potremmo cercare e trovare altri padri, altre guide. Mendicanti, non approderemmo al Padre che abbraccia e com-prende la frustrazione dei nostri amori fragili.
Qualche collega però me l’ha detto, che non è “delicato” toccare questo argomento con adolescenti che hanno alle spalle, sulle spalle, storie difficili. Me l’ha detto e non ha voluto che i suoi allievi venissero agli incontri in biblioteca.
Io non lo so se è “delicato”. So che è giusto. Me l’han fatto capire i ragazzi come son capaci i ragazzi. Con le parole e con le lacrime.
Il pianto che ho visto è grido d’aiuto.
A noi, padri e madri distratti, perché rammentiamo la responsabilità che, insieme al dono della loro vita, abbiamo ricevuto. Le lacrime dei figli sono pianto di bimbo, sempre. Come il primo vagito. Son vivo e ho bisogno di te.
Ma il pianto che ho visto è grido d’aiuto anche a scuola. Dove e quando il padre non c’è tocca a noi prendere per mano, accompagnare, dare fiducia e poi lanciare nella vita.
Il rischio educativo è questo o non è. A che serve, se no, un adulto dentro una classe? Tanto varrebbe un computer, una LIM…