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A Strasburgo i diritti son «disumani»

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Non può essere negato che il prezzo (delle malattie genetiche) sia alto, in termini di sofferenza per l’individuo e di oneri per la società. Senza menzionare quel che sopportano i genitori! Se questi individui potessero essere eliminati precocemente, il risparmio sarebbe enorme! Ma noi possiamo assegnare un valore a quel prezzo: è esattamente quello che una società deve pagare per rimanere pienamente umana».
(Jérôme Lejeune)

Sarà che ho un’alunna, una ragazza splendida, innamorata della vita, malata di fibrosi cistica.
Sarà che abito a Portogruaro ed è qui che è vissuta Annalisa Marzotto, secondogenita di cinque figli, morta nel 1990 a 32 anni a causa di questa malattia.
Sarà che una delle mostre che più mi hanno colpita al Meeting è stata quella intitolata «Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune».
Sarà che da tanti anni insegno la storia del Novecento, e quando arriviamo all’eugenetica nazista il giudizio dei ragazzi è sempre lo stesso: condanna senza se e senza ma.
Dev’essere per questi motivi, e per una ribellione istintiva della ragione e del cuore, che ho provato orrore, letteralmente, di fronte alla notizia di oggi: «Nuovo “no” alla legge 40 dalla Corte Europea di Strasburgo che, accogliendo il ricorso di una coppia italiana portatrice sana di fibrosi cistica, la ha giudicata in conflitto con la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo nella parte in cui si nega ai futuri genitori di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni».
L’eugenetica nazista non è il passato. E’ qui, oggi, adesso. Ha solo cambiato nome. Si chiama “difesa dei diritti”. Diritti di chi?
Non certo di Sabina, la mia alunna, che non nasconde la sua fatica e sa bene con che patologia convive dalla nascita, eppure è felice. Chiede solo che la ricerca vada avanti. E veloce.
Parliamo spesso, tra un’ora e l’altra. Le ho fatto compagnia al telefono o con le e-mail quando quest’anno, due volte, è stata ricoverata per una decina di giorni in ospedale. Mi ha detto con franchezza che non ha mai pensato «avrei preferito non nascere». Mai.
Ogni anno, a Portogruaro, viene organizzato un concerto di musica classica in memoria di Annalisa. Matteo Marzotto, suo fratello, vicepresidente della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica, creata dalla sua famiglia, così ha raccontato, in un’intervista: «Mia sorella aveva un anno quando si capì che la sua era una malattia ereditaria. Respirava a fatica e non aveva mai fame. Eppure ha viaggiato, ha amato… Se racconto la storia di mia sorella è perché i malati italiani di fibrosi cistica devono sapere che con questa malattia si può convivere. E a lungo… So che, fin quando ha vissuto, è stata serena. I miei genitori non l’hanno mai tenuta sotto una campana di vetro e, se posso dare un consiglio a padri e madri di un bimbo malato, dico che devono proteggerlo senza condizionargli l’esistenza… E’ importante che i genitori aiutino il figlio a diventare un adulto equilibrato e, per quanto possibile, gioioso. Annalisa faceva sport, andava in vacanza, aveva un fidanzato. Sognava una famiglia e desiderava che tutti noi fossimo felici… Mi ha insegnato che bisogna trovare sempre la forza di combattere per realizzare il proprio obiettivo».
Annalisa, lo so con certezza, è stata ed è per lui e per tutta la famiglia un punto di riferimento importante. Come Sabina per tanti suoi amici e compagni di classe. E per noi insegnanti.
Ma Sabina, la mia alunna, e Annalisa, potrebbero non essere mai nate.
Fate un giro sul web. Voi che non siete malati di fibrosi cistica, respirate a pieni polmoni. Sentirete l’odore sulfureo dell’esultanza luciferina camuffata da pietà, di chi chiede, urgente, una modifica della legge 40, «perché i genitori han diritto di sapere».
Io non ce l’ho, oggi, il coraggio di telefonare a Sabina, la mia alunna dal sorriso dolce e dallo sguardo profondo come il mare. Provo vergogna.
Chi glielo dice che invece di impegnarci a stimolare la ricerca per trovare delle soluzioni di cura alla malattia, che ha colpito lei e tanti amici che sono diventati un pezzo della sua vita bella nonostante tutto, stiamo aprendo la strada alla eliminazione degli indesiderabili? Chi glielo dice che a Strasburgo oggi hanno deciso che lei, Sabina, è una “indesiderata”?
Jérôme Lejeune, ad agosto del 1969, così aveva detto, all’Annual Meeting dell’American Society of Human Genetics a San Francisco: «La medicina per millenni ha combattuto in favore della vita e della salute e contro la malattia e la morte. Se cambiamo questi obiettivi, cambiamo la medicina: il nostro compito non è quello di infliggere una sentenza, ma di alleviare il dolore» e ironicamente aveva aggiunto: «Considerando il peso imposto alla società dalle malattie genetiche e cromosomiche e considerando i limiti delle soluzioni disponibili, (propongo) che sia creato il National Institute of Death» al posto del National Insititute of Health (la massima istituzione americana per la tutela della salute).
Rilanciamo oggi il suo appello alla Corte dei diritti di Strasburgo. Se decidono di intraprendere una strada, abbiano il coraggio di chiamarla con il nome che ha: selezione della specie.

P.S.: Lo so che accanto a “Corte dei diritti” non ho scritto l’aggettivo “umani”. Non è un refuso. Riferito a Strasburgo, è un aggettivo che offenderebbe la mia alunna Sabina, Annalisa, i malati di fibrosi cistica, i loro famigliari, i medici, i ricercatori e le fondazioni che quotidianamente si impegnano per la ricerca. E invece meritano rispetto, loro!

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