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“Il buon medico non obietta” (?)

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché lo considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente».
(Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, 1975)

Sta girando, in tutti i siti pro-choice, un invito-provocazione che fa pensare. Fa pensare perché l’“invito” sottende, in realtà, una minaccia, e inquieta perché evoca il clima insopportabile dei totalitarismi. Fa pensare perché ciò che si legge dimostra come negli pseudo ragionamenti che si leggono qui e anche lì si parte sempre dalla coda, anziché dalla testa.
Si tratta di questo. Promossa dalla Consulta di bioetica è appena stata lanciata una campagna, il cui titolo è già un programma: “Il buon medico non obietta” (gli obiettori – questo si vuole sottointendere – sono tutti brutti e cattivi, quindi boicottateli. “I reparti di ginecologia inizino almeno a non assumere più obiettori”, scrive ad esempio Carlo Flamigni, ma il refrain è ovunque lo stesso…). Parte la campagna e, contestualmente, parte il tam-tam in rete: donne, rendete pubblici nomi e cognomi dei vostri medici, che a dividerli in “buoni” e “cattivi” ci pensiamo noi, con i sistemi democratici (?) che sappiamo. Perderanno il lavoro? Peggio per loro. Potevano scegliere di essere “buoni”. Questo l’invito-minaccia che, come dicevamo, parte dalla coda.
Partire dalla testa (e magari anche usarla!) vuol dire, banalmente, provare a seguire l’ordine cronologico, perché nella vita delle persone (e anche dei medici) c’è un “prima”, un “durante”, un “dopo”. C’è una vocazione, una scelta, un percorso, una storia. C’è un “perché” e c’è un “per chi”.
Quando, alla fine delle superiori, si chiede ad un giovane cosa intende fare, se risponde “l’idraulico” si presume che la sua passione siano rubinetti, tubi, condutture… Con il suo lavoro “costruirà” qualcosa. Se ti confida che farà il pompiere, significa che desidera spegnere incendi (appiccarli no. Avrebbe detto “piromane”). Chi risponde che diventerà ingegnere edile o architetto fabbricherà edifici. Quando uno ti dice che si iscriverà alla facoltà di medicina, sai che nel cuore ha il desiderio di curare malattie, di alleviare la sofferenza, di salvare delle vite umane. Si inizia da qui.
“Medicina”, però, è termine vago, e così gli indirizzi sono tanti. Il gastroenterologo si occupa dell’apparato digerente, l’oculista degli occhi, il dentista dei denti, e via di seguito.
Chi sceglie la specialità di ostetricia-ginecologia sa che spesso gli capiterà di doversi prendere cura di due persone: della donna e, nel caso sia incinta, anche del figlio che ha in grembo. Ho tanti amici ginecologi e so quanto delicato e rischioso sia il loro lavoro (provate, per curiosità, ad informarvi sui cavilli delle compagnie assicurative, prima che accettino di stipulare una polizza…).
Quando un giovane o una giovane sceglie quella strada, lo fa indiscutibilmente per questo: prevenire e curare le malattie dell’apparato ginecologico e riproduttivo delle donne, seguire le gravidanze, far nascere i bambini.
Se avessero preferito altri percorsi, li avrebbero scelti; c’è chi ad esempio opta per l’anatomo patologia e impara a fare autopsie. Sono scelte.
Chi a diciott’anni ha istinti sadici o cruenti però non si iscrive a medicina; diventa assassino in proprio (ma non serve essere laureati!), oppure si fa assoldare come tagliatore di teste (fa un po’ schifo, ma – la cronaca ahimè docet – in certe parti del mondo la richiesta abbonda).
Non conosco nessuno, per mia fortuna, che abbia scelto di diventare ginecologo “per” praticare aborti, e spero di non conoscerne mai. Non conosco nessun medico che gioisce o resta indifferente quando sotto i ferri muore un paziente. Neanche in Pronto Soccorso, quando arrivano casi disperati. Di fronte alla morte, ogni medico si sente sconfitto, perché un medico ha studiato tanti anni e si è laureato per curare e per fare vivere gli esseri umani, non per farli morire (andate a rileggere Ippocrate, IV secolo a. C.!). Questa è la “testa” di un ragionamento serio: andare alla fonte. Chiedersi le ragioni di una scelta; il senso del lavoro che si fa.
Nel mondo che certuni vorrebbero fare andare a gambe all’aria, questo scrive invece l’“ottimo” Paolo Flores D’Arcais nell’articolo “Aborto. Aboliamo l’obiezione per i medici”: “Chi trova da obiettare in coscienza contro i doveri legati a una professione (che sono l’altra faccia dei diritti garantiti dalla legge ai pazienti…) non intraprenda quella professione. Punto e basta”. Per argomentare il suo polpotiano “punto e basta”, il dottissimo fa questo esempio illuminante e soprattutto pertinente (?): “Sarebbe accettabile che un tabaccaio rifiutasse di fornire a chi richiede la schedina del lotto o di qualsiasi altra scommessa legale, perché ‘in coscienza’ considera il gioco d’azzardo un peccato mortale (o sociale)?”.
Intanto sarebbe bene che qualcuno spiegasse a Flores D’Arcais che una schedina del lotto non è paragonabile ad una vita umana (siccome la meglio intelligenza del Paese elucubra su tutto ma fatica a comprendere i discorsi più semplici, ed anche l’evidenza, magari si potrebbe tentare con le immagini: a destra una schedina del lotto, a sinistra un’immagine in 3D di un feto. O portarlo, con una schedina del lotto in mano, ad assistere ad una ecografia: potrebbe vedere il bambino nel grembo di sua madre e, contestualmente, sentirne il battito cardiaco. Chissà…).
Ma ritorno alla questione iniziale.
“Ostetricia e ginecologia” non è un corso di specialità nato per insegnare a far fuori i bambini su richiesta, per cui i ginecologi “buoni” sono quelli che praticano aborti, “cattivi” tutti gli altri, e peste li colga!
Certo c’è una legge e sappiamo bene cosa dice la legge, ma la 194 non è una legge “qualsiasi”. Non è come quando chiedono ad un idraulico di spaccare a colpi di piccone una vasca perché il bagno va rifatto, o ad un ingegnere di abbattere un edificio. E’ la storia del “suo” tabaccaio di prima: in tutti e tre gli esempi non c’è nessun essere umano che muore; nessun cuore che cessa di battere. Tanto difficile da capire che idraulico, ingegnere e tabaccaio non sono chiamati a porsi le stesse domande che deve invece porsi un ginecologo, di fronte ad un aborto?
E’ una legge, la 194, che richiede l’intervento del medico, il quale medico esce dalla sala operatoria sapendo di aver interrotto una gravidanza e di aver impedito ad un bambino di nascere perché l’ha ucciso. Questo è il dato oggettivo, inconfutabile.
Se poi gliel’ha chiesto la madre del bambino con firme e controfirme, e lui ha rispettato la scelta della donna di interrompere la gravidanza, e l’aborto è stato effettuato entro i tempi previsti dalla legge, e nessuno andrà in galera, la questione di fondo non cambia: prima, in quel grembo di quella donna c’era suo figlio (e che nessuno si azzardi a correggere alla puntigliosa questo termine!); dopo l’intervento del medico, quel figlio non c’è più. Punto e basta. (E questa volta ci sta, perché quel cuoricino batte l’ultima volta… “tu-tum”… e poi basta. E’ silenzio per sempre).

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