A Roma vorrei esserci anch’io
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Ho aggiunto la lettera a Il Foglio e la risposta del Direttore. Avevo sentito alla radio che ci sarebbe stata una manifestazione per la libertà dell’informazione, e mi sono detto: «È quello che fa per me!». Ero appena stato informato delle indagini su di me da parte della procura di Lecco a proposito di un articolo pubblicato sul sito CulturaCattolica.it, ed ho appreso la notizia della manifestazione del 19 settembre, a Roma. Poi sono andato sul sito della FNSI, e sul blog relativo a questa manifestazione e ho trovato tante affermazioni di solidarietà e attestati di partecipazione (ne riporto solo alcune: «“L’attacco a “Repubblica”, di cui la citazione in giudizio per diffamazione è solo l’ultimo episodio, è interpretabile soltanto come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della democrazia”, scrive l’associazione PER (Partecipazione-Etica-Responsabilità) […]. “Le domande poste al Presidente del Consiglio sono domande vere, che hanno suscitato interesse non solo in Italia ma nella stampa di tutto il mondo. Se le si considera “retoriche”, perché suggerirebbero risposte non gradite a colui al quale sono rivolte, c’è un solo, facile, modo per smontarle: non tacitare chi le fa, ma rispondere. Invece, si batte la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di “cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee”, come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso. Stupisce e preoccupa che queste iniziative non siano non solo stigmatizzate concordemente, ma nemmeno riferite, dagli organi d’informazione e che vi siano giuristi disposti a dare loro forma giuridica, senza considerare il danno che ne viene alla stessa serietà e credibilità del diritto”.» E Dario Fo aggiunge: «La libertà di stampa non riguarda solo l’informazione. In tutte le democrazie libertà di stampa vuol dire soprattutto approfondimento e confronto; confronto di posizioni e idee diverse in modo che chi legge o ascolta i telegiornali possa farsi autonomamente una sua opinione. Da noi invece stiamo assistendo alla oppressione di questo confronto da parte di un potere sempre più arrogante che vuole zittire le voci a lui invise. È orrenda, è tecnica da terrorismo questa mania di querelare e denunciare chiedendo per di più milioni di risarcimento quando si vuole mettere a tacere i giornali non amici. Come lo è l’ossessione di chiamare “diffamazioni”, le notizie: nessun politico o governante di un paese straniero si permetterebbe di aggredire la stampa, i giudici, gli intellettuali come succede in Italia.»)
La libertà invocata, come emerge da queste citazioni, riguarda anche il poter esprimere il proprio pensiero, pur se inviso a qualche potente. Siamo in presenza di quella che viene indicata come «ossessione di chiamare “diffamazioni” le notizie». Oltretutto colpendo, in maniera realmente incomprensibile, 30 (dico trenta) siti, per lo più opera di uomini che spendono il loro tempo per favorire un dialogo tra le varie realtà sociali e civili, di fronte ad un popolo che ha condiviso il giudizio addolorato sulla fine di Eluana Englaro.
Vorrei riportare quanto ho scritto sul sito a proposito della denuncia: «Ma non facciamo ridere!
Di fronte alla vicenda di Eluana Englaro si è mossa l’Italia, e non solo i cattolici. Quanti si sono ribellati all’idea di far morire di fame e sete una persona, ancorché in “stato vegetativo persistente”! Forse i toni sono stati aspri, ma come essere “educati” quando si tratta di difendere una vita innocente?
Ebbene, che cosa è accaduto? Non solo si è fatta morire Eluana, ma ora, con una iniziativa che ha dell’incredibile, si vogliono perseguire coloro che hanno definito questa azione “omicidio”, sia pure legalizzato. E sono partite le denunce a 30 (trenta) (più o meno) siti che hanno usato questo termine. L’Italia si muove, e 30 siti vengono incriminati? Forse Beppino o i suoi Legali sono rimasti ai tempi delle Brigate Rosse: colpiscine uno per educarne cento! Beh, sono finiti, speriamo, quei tempi e credo che chiunque abbia a cuore la difesa della vita dirà: «C’ero anch’io».
Beppino, abbi il coraggio di guardare la realtà, non spaventarti se in molti, in Italia e nel mondo, (certo più di 30 siti) hanno giudicato il tuo gesto. Del resto la tua presenza continua sui vari mezzi di comunicazione ha voluto significare “parliamone!” (spero non solo “datemi ragione”, ma anche “datemi le ragioni”).
Ora, se chi ha cercato di dare delle ragioni, diverse o discordi dalle tue, deve “pagare” questo affronto, allora mi pare che si sia perso il senso del dialogare tra uomini.
Sono cattolico e sacerdote: e so per esperienza che mostrare la faccia ed esprimere le proprie opinioni va incontro a incomprensioni e giudizi (a volte anche malevoli): ma per questo non ho mai preteso di chiedere alla giustizia di “fare giustizia”. Preferisco, da sempre, la “forza delle ragioni” alle “ragioni della forza”. E questo mi ha fatto incontrare molti uomini, anche su posizioni diverse dalle mie.
Coraggio, guardiamo la realtà!»
Faccio mie le parole di H. Marcuse, tratte dal libro “L’uomo a una dimensione” che ho letto nella prima edizione della Einaudi e scritte negli anni ‘60, segno e grido di un giudizio su una situazione che si stava rivelando drammatica: «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico. In verità, che cosa potrebbe essere più razionale della soppressione dell’individualità nel corso della meccanizzazione di attività socialmente necessarie ma faticose; della concentrazione di imprese individuali in società per azioni più efficaci e più produttive; della regolazione della libera concorrenza tra soggetti economici non egualmente attrezzati; della limitazione di prerogative e sovranità nazionali che impediscono l’organizzazione internazionale delle risorse. Che questo ordine tecnologico comporti pure un coordinamento politico ed intellettuale è uno sviluppo che si può rimpiangere, ma che è tuttavia promettente.
I diritti e le libertà che furono fattori d’importanza vitale alle origini e nelle prime fasi della società industriale cedono il passo ad una fase più avanzata di questa: essi vanno perdendo il contenuto e il fondamento logico tradizionali. Le libertà di pensiero, di parola e di coscienza erano idee essenzialmente critiche, al pari della libera iniziativa che servivano a promuovere e a proteggere, intese com’erano a sostituire una cultura materiale e intellettuale obsolescente con una più produttiva e razionale. Una volta istituzionalizzati, questi diritti e libertà condivisero il fato della società di cui erano divenuti parte integrante. La realizzazione elimina le premesse.
[…] L’indipendenza del pensiero, l’autonomia e il diritto alla opposizione politica sono private della loro fondamentale funzione critica in una società che pare sempre meglio capace di soddisfare i bisogni degli individui grazie al modo in cui è organizzata. Una simile società può richiedere a buon diritto che i suoi principi e le sue istituzioni siano accettati come sono, e ridurre l’opposizione al compito di discutere e promuovere condotte alternative entro lo status quo. Sotto questo aspetto, il fatto che la capacità di soddisfare i bisogni in misura crescente sia assicurata da un sistema autoritario o da uno non autoritario sembra fare poca differenza. In presenza di un livello di vita via via più elevato, il non conformarsi al sistema sembra essere socialmente inutile, tanto più quando la cosa comporta tangibili svantaggi economici e politici e pone in pericolo il fluido operare dell’insieme.»
Chissà se questa manifestazione porterà libertà per tutti o sarà solo il segno di quel pensiero ad «una dimensione» che cerca più il proprio potere che il bene comune. Forse dovremmo ripensare a quanto attribuito a Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo».