Anch'io denunciato per Eluana. Fermiamo l'ideologia
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Carissimo Massimo,
sono anch’io tra quelli che sono stati inquisiti, oggetto di indagine da parte dei carabinieri su mandato della Procura di Lecco. Sono tra quei 30: scelti tra i migliori o… tra i peggiori? Comunque anch’io e un collaboratore del sito abbiamo usato la parola proibita: «omicidio legalizzato». So che la magistratura deve agire in questi casi perché c’è stata una denuncia, e spero che i magistrati facciano il loro dovere, anche soprattutto dando il giusto peso alle denunce che devono esaminare.
E non sono poi tanto preoccupato per me, anzi, se mai sono fiero di poter avere dato «voce a chi non ha voce», soprattutto quando questo ha significato difendere il diritto alla vita di uomini e donne che soffrono, segno di una battaglia che è ora che tutti gli uomini possono e devono combattere (e qui ricordo che una volta Giovanni Paolo II aveva chiesto di avere la «sana ambizione» di essere uomini. E che mio padre mi ha sempre insegnato, soprattutto con l’esempio, a dare testimonianza anche se da soli alla verità, con coraggio, fierezza e cordialità). Certo quello che mi preoccupa è che si sta perdendo il senso della libertà, della gioia di sentire posizioni diverse che, pur se scomode, costringono a pensare e dibattere. Che tristezza un mondo appiattito, senza libertà di espressione, senza la possibilità di comunicare posizioni diverse! Scusa la citazione (che ti dice un po’ anche gli anni in cui sono vissuto), ma mi è sempre risuonata nella mente questo testo di H. Marcuse, tratto dal libro “L’uomo a una dimensione” che ho letto nella prima edizione della Einaudi, e che descrive lo stato del mondo in cui ancora oggi – mi pare – viviamo: «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico. In verità, che cosa potrebbe essere più razionale della soppressione dell’individualità nel corso della meccanizzazione di attività socialmente necessarie ma faticose; della concentrazione di imprese individuali in società per azioni più efficaci e più produttive; della regolazione della libera concorrenza tra soggetti economici non egualmente attrezzati; della limitazione di prerogative e sovranità nazionali che impediscono l’organizzazione internazionale delle risorse. Che questo ordine tecnologico comporti pure un coordinamento politico ed intellettuale è uno sviluppo che si può rimpiangere, ma che è tuttavia promettente.
I diritti e le libertà che furono fattori d’importanza vitale alle origini e nelle prime fasi della società industriale cedono il passo ad una fase più avanzata di questa: essi vanno perdendo il contenuto e il fondamento logico tradizionali. Le libertà di pensiero, di parola e di coscienza erano idee essenzialmente critiche, al pari della libera iniziativa che servivano a promuovere e a proteggere, intese com’erano a sostituire una cultura materiale e intellettuale obsolescente con una più produttiva e razionale. Una volta istituzionalizzati, questi diritti e libertà condivisero il fato della società di cui erano divenuti parte integrante. La realizzazione elimina le premesse.
[…] L’indipendenza del pensiero, l’autonomia e il diritto alla opposizione politica sono private della loro fondamentale funzione critica in una società che pare sempre meglio capace di soddisfare i bisogni degli individui grazie al modo in cui è organizzata. Una simile società può richiedere a buon diritto che i suoi principi e le sue istituzioni siano accettati come sono, e ridurre l’opposizione al compito di discutere e promuovere condotte alternative entro lo status quo. Sotto questo aspetto, il fatto che la capacità di soddisfare i bisogni in misura crescente sia assicurata da un sistema autoritario o da uno non autoritario sembra fare poca differenza. In presenza di un livello di vita via via più elevato, il non conformarsi al sistema sembra essere socialmente inutile, tanto più quando la cosa comporta tangibili svantaggi economici e politici e pone in pericolo il fluido operare dell’insieme.»
Credo che sia giusto lavorare perché la libertà di ogni uomo sia garantita, senza che chi dissente sia messo a tacere con intimidazioni e processi. È vero, un mio amico che lavora in Cina mi ha detto che quello è il modello verso cui ci stiamo tutti dirigendo: una società tecnologica, un controllo del pensiero, la rinuncia a certi fondamentali diritti. Del resto non è una novità: ogni tentativo umano in cui prevale l’ideologia, che sia soltanto «umano», non sfugge, e non è mai sfuggito, al fastidio della individualità, della libertà, della diversità.
La battaglia che dobbiamo combattere è un vero servizio all’uomo, e bisogna che gli «uomini di buona volontà» siano capaci di portarla avanti, e di mettersi insieme per questo. Guai all’uomo solo!
Don Gabriele Mangiarotti