A proposito dell'Appello sugli abusi nella Chiesa
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Caro don Gabriele,
ho letto su varie testate online l’appello che 50 teologi e teologhe hanno rivolto ai vescovi italiani chiedendo l’istituzione di una commissione indipendente esterna sugli abusi sessuali e di potere avvenuti nella Chiesa italiana, come già avvenuto in altre realtà ecclesiali d’Europa.
Non mi ha meravigliato la cosa in sé, mi pare invece che le motivazioni addotte non rispondano al problema o, mi si perdoni, rispondano in modo ideologico (discorso sulle idee) e non ragionevole (adaequatio rei et intellectus o, come spiegava don Giussani intelligenza della realtà totale).
Non mi meraviglia, perché l’urgenza di piacere al mondo, tipica di tanta teologia, prima o poi avrebbe portato a queste richieste, come se il problema si risolvesse magicamente attraverso
– un approccio accusatorio verso la stessa Chiesa
– un pregiudizio per cui le istituzioni ecclesiali sarebbero a priori colpevoli se non addirittura inferiori alla società civile, da cui, per emanciparsi e per purificarsi, dovrebbero prendere esempio.
M i ha meravigliato piuttosto che tale richiesta sia stata fatta da teologi e teologhe, mentre i primi a dover parlare dovrebbero essere le vittime degli abusi: sembra quasi che con questo appello qualcuno voglia lavarsi il pedigree, togliere dal proprio profilo il dubbio di essere dalla parte dei preti pedofili, o di non fare abbastanza per risolvere il problema, o forse di non fare abbastanza per scoperchiare quel verminaio che sarebbe la Chiesa cattolica, a cui occorre far pagare i presunti (o reali) abusi, che ci sarebbero sempre stati e sarebbero sempre stati coperti.
La vicenda degli abusi nella Chiesa è sì inquietante (ci fosse anche solo un caso di pedofilia nel clero, sarebbe inquietante), ma anche dai contorni poco chiari, poco definiti.
Che cosa potrà essere adeguato a fare chiarezza?
Scoprire le colpe, quantificare il numero dei casi, oppure ascoltare le vittime?
Scoprire, con compiacimento giustizialista, tutti i casi che si possono scoprire, oppure da una parte capire il dolore, le conseguenze sulle vittime, il loro rifiuto o a volte il loro perdono, e, dall’altra, le situazioni e le motivazioni psicologiche di chi ha abusato, in modo che nel futuro siano eliminati i motivi, le occasioni, le situazioni che nel tempo hanno favorito tali abusi, e potrebbero favorirli nel futuro? E’ meglio colpire chi ha sbagliato, magari 30 anni fa, magari già defunto pur di “far giustizia”, oppure è meglio creare situazioni che non permettano più l’occasione in futuro?
Prima di entrare nel cuore del problema, voglio rispondere ad alcune affermazioni dell’appello.
1) La lettera appello parla della “connessione così odiosa tra l’abuso dei corpi e l’abuso delle coscienze”, cioè in pratica del legame tra sessualità e potere. Ma questo aspetto non è solo ravvisabile nella Chiesa, come se attenesse solo ad una gestione clericale dell’autorità.
Credo anzi che il sesso come strumento di potere sia ravvisabile in ogni situazione di abuso, cui bisogna guardare non tanto dal punto di vista della moralità, quanto della libertà.
Di quanti casi potrei essere testimone di questa connessione tra sessualità e potere nel mondo del lavoro, dove non si può parlare perché ricattati nel bisogno del lavoro stesso e del sostentamento!
2) La lettera poi parla di un paradigma mondo/Chiesa in qualche modo capovolto, in quanto sarebbe “la pressione esercitata dal mondo a spingere la Chiesa cattolica a dover fare chiarezza al suo interno e a rendere conto pubblicamente”: il mondo avrebbe “mostrato alla Chiesa cattolica un male che la riguarda” e avrebbe avviato un “cammino di conversione di fronte a cui la Chiesa non può più tirarsi indietro”, e di cui dovrebbe ringraziare.
Già il fatto che si parli di conversione, a mio avviso, mette in luce l’atteggiamento ideologico della lettera. Di fronte al problema pedofilia, infatti, oltre a prendersi cura delle vittime, occorre individuare i colpevoli, metterli in condizione di non più nuocere, e subito dopo assicurarli alla giustizia. Non è un problema di morale, di conversione, ma attiene al diritto penale, oltre che al diritto canonico.
E perché poi, se “conversione” deve esserci, deve essere una conversione della Chiesa?
La Chiesa è composta di uomini, quindi peccatori, e alcuni anche delinquenti. I preti pedofili devono pagare di fronte alla giustizia, ma in ogni caso personalmente. Dire che è la Chiesa che deve convertirsi presuppone che la Chiesa sia colpevole, e questo è una posizione ideologica oltre che sbagliata, contraria ai più elementari elementi del diritto.
3) Secondo la lettera sarebbe necessario “istituire una commissione che attinga a competenze esterne, e della cui credibilità non si possa dubitare” per “fugare fin da principio l’ombra di qualsiasi vischiosa commistione fra chi indaga e chi è indagato”: ma perché, una commissione esterna indipendente dal mondo ecclesiale è sufficiente a garantire che emerga la verità? Non sarà invece che possa fare emergere una “verità” pilotata da pregiudizi ideologici? L’esempio del card. Pell è paradigmatico al riguardo.
4) La commissione esterna invocata, secondo l’appello, risponderebbe all’esigenza della Chiesa di “mettersi in ascolto del mondo, per poter essere più fedele al Vangelo”. Dire che è il mondo che, facendo scoprire alla Chiesa i suoi peccati, la sta evangelizzando è grottesco. Evangelizzare non vuol dire denunciare i peccati, ma annunciare Cristo e il suo Vangelo, la questione morale viene di conseguenza. La Chiesa, al contrario, tanto più servirà i fratelli uomini quanto più si metterà in ascolto del Vangelo, non viceversa.
Ed ora, se mi è concesso, parlerò da vittima di un tale abuso, per quanto nel mio caso non sia stato consumato fino all’estremo, ma solo iniziato. Non dirò come si è consumato, né degli strascichi che ha lasciato in me, come la disillusione, la repulsione di ogni forma gerarchica nella Chiesa, in cui ho spesso visto una forma subdola di potere.
L’incontro con una comunità cristiana totalmente nuova ai miei occhi, mi ha riaperto alla fede, facendo maturare a poco a poco anche una positività sempre maggiore.
Per esempio, la sensazione di impotenza in balia di chi tentava di approfittare di me, avendomi messo in condizione di non potermi difendere, oppure la sensazione di impotenza di fronte al fatto che, parlandone, nessuno mi avrebbe creduto ed anzi mi avrebbe procurato guai, (ma era il tempo che era così, non era solo la Chiesa, era la società che era così, era una possibilità non contemplata, era una invenzione della mente di un adolescente) hanno fatto maturare in me un amore senza limiti alla libertà, mia e di chiunque altro. Al punto che, per esempio, non ho mai neppure strappato un bacio ad una ragazza, senza la certezza assoluta che lo volesse anche lei, non per evitare di prendere delle facciate, ma per paura di abusare della sua libertà.
Non è vero che la Chiesa non ha mai fatto chiarezza, e non ha fatto un cammino per contrastare questo penoso fenomeno. Quante sono le disposizioni costruite nel tempo dalla Chiesa in tal senso, soprattutto con gli ultimi tre papi! La Chiesa ha preso a poco a poco consapevolezza di queste vicende esattamente come a poco a poco questa consapevolezza è cresciuta nella società civile, la quale non ha nulla da insegnare alla Chiesa su questo.
Una vicenda mi ha colpito particolarmente, e mi ha definitivamente riconciliato con la Chiesa.
E’ stata la lettera di Papa Benedetto XVI° ai cattolici d’Irlanda del 19 marzo 2010.
Ciò che Benedetto XVI° ha detto alle vittime di abuso e alle loro famiglie, mi ha compreso nel profondo, e mi ha reso cosciente che, seppur la Chiesa è composta da uomini, non sempre santi, il capo della Chiesa è Cristo e solo in Lui è il mio amore e la mia speranza.
“Avete sofferto, è stata tradita la vostra fiducia e violata la vostra dignità. In molti di voi avete sperimentato che, quando eravate sufficientemente coraggiosi per parlare, nessuno vi ascoltava. Chi ha subito abusi nei convitti ha percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze. È comprensibile che troviate difficile perdonare o essere riconciliati con la Chiesa, nel cui nome esprimo vergogna e rimorso. Al tempo stesso vi chiedo di non perdere la speranza. È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire. So che, dopo quanto accaduto, alcuni di voi trovano difficile anche entrare in una chiesa. Tuttavia, le stesse ferite di Cristo, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono gli strumenti grazie a cui il potere del male è infranto e noi, anche nelle situazioni più buie e senza speranza, rinasciamo alla vita”.
Ai sacerdoti e ai religiosi che hanno abusato dei ragazzi, non ha lesinato le accuse, la richiesta di assunzione di responsabilità, la necessità di sottomettersi alle esigenze della giustizia per i crimini commessi. Ma non li ha condannati come uomini, non li ha abbandonati alla perdizione, li ha consegnati a Cristo chiedendo loro il pentimento di fronte a Dio.
“Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti.
Vi esorto ad assumervi la responsabilità dei vostri peccati e ad esprimere con umiltà il vostro rincrescimento. Il pentimento sincero apre la porta al perdono di Dio e alla grazia del vero emendamento. Il sacrificio redentore di Cristo ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali. Allo stesso tempo, la giustizia di Dio esige che rendiamo conto delle nostre azioni senza nascondere nulla. Sottomettetevi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio”.
Ai ragazzi e ai giovani dell’Irlanda ha parlato di Gesù Cristo che abita nella Chiesa, e che mai tradirà la loro fiducia, nonostante il tradimento di alcuni membri della Chiesa.
“Siamo tutti scandalizzati per i peccati e i fallimenti di alcuni membri della Chiesa. Ma è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo (...). Egli vi ama e per voi ha offerto se stesso sulla croce. Cercate un rapporto personale con lui nella comunione della sua Chiesa, perché lui non tradirà mai la vostra fiducia! Lui solo può soddisfare le vostre attese più profonde e dare alle vostre vite il loro significato più pieno indirizzandole al servizio degli altri. Tenete gli occhi fissi su Gesù e sulla sua bontà e proteggete nel vostro cuore la fiamma della fede”.
A tutti i fedeli d’Irlanda ha chiesto preghiera, adorazione, penitenza e, parlando della bellezza e della ricchezza dell’amicizia con Cristo, nella comunione della Chiesa, ha parlato dei sacerdoti come di coloro “che hanno la chiave dei tesori del cielo”.
“Abbiamo bisogno di trovare nuove vie per trasmettere ai giovani la bellezza e la ricchezza dell’amicizia con Gesù Cristo nella comunione della Chiesa. Riscoprite il sacramento della Riconciliazione e avvaletevi con frequenza della forza trasformatrice della sua grazia. Particolare attenzione dovrà anche essere riservata all’adorazione eucaristica, (…) a questa preghiera di fronte alla reale presenza del Signore, con cui compiere la riparazione per i peccati e implorare la grazia di una rinnovata forza e di un più profondo senso della missione.
Come scrisse San Giovanni Maria Vianney, “Il sacerdote ha la chiave dei tesori del cielo: è lui che apre la porta, è lui il dispensiere del buon Dio, l’amministratore dei suoi beni. Un buon pastore è il tesoro più grande che il buon Dio può dare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della divina misericordia”.
Quando, venendo a conoscenza della gravità degli abusi nella chiesa irlandese sono riemersi ricordi e rancore, leggere questa lettera di papa Benedetto XVI° mi ha fatto risentire nel cuore della Chiesa e in essa mi ha fatto risentire a casa. Senza bisogno di dimenticare o di censurare nulla, è ricominciato in me un amore pieno di dolcezza per Cristo e una passione per farlo conoscere a tutti.
Lettera firmata
L'immagine: Detalle del relieve de la tumba de Juan Andrés de la Peña, Panteón de los Ciudadanos Meritorios, Cementerio de la Recoleta, Buenos Aires. Escultura del artista Juan Livi. La leyenda dice al pie: "Sinite parvulos venire ad me".