Ancora sulla Messa...
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Caro Fabio Colagrande,
ho visto il tuo articolo sui mussulmani a messa. Dato che me lo hai inviato per twitter, immagino di essere tra coloro che tu rimproveri per non avere aderito cordialmente al gesto di domenica scorsa.
Ti rispondo brevemente:
1. Sei giornalista e sai bene che i titoli sugli articoli non sempre, purtroppo, sono in sintonia con il contenuto stesso dell’articolo. A me è parso di dare ragioni per quanto affermato, senza le «reazioni sdegnate di alcuni … sacerdoti».
2. Mi spiace che l’espressione ragionevole di un dissenso rispetto a una «discutibile» scelta sia letta come «replica capricciosa di chi, davanti a una clamorosa smentita dei propri preconcetti, si arrampica sugli specchi alla ricerca di un cavillo per avere lo stesso ragione». Ritengo che su certe questioni la libertà di pensiero sia un valore sacrosanto. Basta citare che cosa disse s. Agostino (o chi per lui): «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas», così tradotto da Giovanni XXIII: «Ad ogni modo è sempre da tener presente quella bella e ben nota sentenza attribuita in diverse forme a diversi autori: NELLE COSE NECESSARIE CI VUOLE L’UNITÀ, IN QUELLE DUBBIE LA LIBERTÀ, IN TUTTE LA CARITÀ.» E a me sembra che almeno di cosa dubbia si possa parlare a riguardo della presenza dei mussulmani a messa, soprattutto se poi li si lascia recitare il Corano.
3. Sarà pure «solo una certa legittima ignoranza», però ricordo che nella nostra tradizione ecclesiale le chiese avevano fuori il Battistero. E mi pare anche che la recita del Corano in un luogo qualsiasi renda quel luogo «terra dell’islam».
Il problema secondo me ha due risvolti.
4. Da un lato la MISSIONE, la testimonianza della fede (che certo non è un discorso) che risponde al comando di Gesù e dall’altro l’EDUCAZIONE, che è un gravissimo problema, sia per noi cattolici che per loro mussulmani.
5. Non si costruiscono ponti con i buoni sentimenti, ma con un lavoro faticoso e impegnativo. E anche sottoponendo a giusta critica le posizioni del Corano, che nella loro ambiguità impediscono un serio confronto tra uomini leali.
6. Scusa, ma devo fare anche questa osservazione finale. Dai tempi di Paolo VI (dopo l’Humanae Vitae) fino a s. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si poteva criticare qualunque affermazione del pontefice (al punto che Enzo Bianchi e Franco Giulio Brambilla poterono firmare senza alcuna conseguenza un manifesto contro il magistero morale della Chiesa, e sono riveriti e in posizione di prestigio). Ora se qualcuno si permette di porre domande su affermazioni dell’attuale pontefice (quello, per intenderci, che non riguardano il magistero ordinario) sembra incorrere nelle accuse di disobbedienza o di incoerenza. «E' proprio vero: non si finisce mai d'imparare» e spero che non si finisca neppure mai di rispettarsi e accogliersi in quella «caritas in ecclesia» che vorremmo tutti potere vivere.