Dal divorzio all'aborto fino alla #Cirinnà
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Il testo sulle cosiddette “unioni civili” (Ddl Cirinnà), di cui il 26 gennaio è cominciato l’iter al Senato, appare come figlio legittimo della legge sul divorzio (introdotta in Italia nel 1970) e della legge sull’aborto (introdotta in Italia nel 1978). Da quando il matrimonio ha cessato di essere indissolubile, la maggior parte delle persone ha cominciato a pensare che l’uomo e la donna abbiano ragione di stare insieme solo fin quando “si amano” nel senso più sentimentale del termine (come vedremo meglio in seguito). Perché, dunque, due persone dello stesso sesso che “si amano” non potrebbero contrarre il matrimonio o qualcosa che gli somiglia (l’unione civile)? E infatti il Ddl Cirinnà equipara le unioni omosessuali alle unioni eterosessuali. Da quando è lecito abortire, la maggior parte delle persone guarda ai bambini in formazione (embrioni e feti) non più come a persone sacre e inviolabili ma come a cose che possono essere tolte di mezzo. Ma se è lecito toglierli di mezzo, perché non dovrebbe essere lecito anche “produrli” con ogni mezzo, anche il più innaturale, come la fecondazione assistita e l’utero in affitto? E infatti, il Ddl Cirinnà potrebbe spianare la strada prima alla legalizzazione della cosiddetta adozione gay e poi anche alla legalizzazione dell’utero in affitto.
A mio parere, è impossibile combattere contro il Ddl Cirinnà senza combattere contestualmente anche contro la legge sul divorzio e quella sull’aborto, dal momento che il Ddl Cirinnà ne è il figlio legittimo. Anche se siamo consapevoli del fatto che molto difficilmente riusciremo a fare cambiare idea alla maggior parte delle persone, che ormai guardano al divorzio e all’aborto come a “conquiste di civiltà”, è nostro dovere di cristiani provarci lo stesso, continuando a criticare questi mali con argomenti razionali. Fra i due, il divorzio sembra il male più piccolo. In realtà, è il primo in senso cronologico e il primo in ordine di importanza. Introdotto nel XVI secolo nell’Europa settentrionale dalla Riforma protestante (senza contare che il ripudio era già ammesso in molte società antiche), il divorzio distrugge l’umanità perché distrugge la famiglia e distrugge la famiglia perché distrugge la coppia. In principio non c’era una famiglia con figli e neppure un frate e una suora. In principio, nel giardino dell’Eden, c’erano Adamo ed Eva. E’ stata una coppia a conoscere la vita prima del peccato, a commettere il peccato e a formare la prima famiglia della storia, che ha dato inizio alle generazioni umane. Distruggendo ciò che sta all’origine dell’umanità, il divorzio distrugge lentamente l’umanità stessa. Prima viene la distruzione della coppia, poi segue a ruota la distruzione della vita generata dalla coppia stessa.
Secoli fa, il divorzio ha prodotto una piccola breccia sulle solide mura della cultura morale occidentale. Attraverso quella piccola breccia, sono lentamente entrati, uno alla volta, tutti i mali che stanno disgregando la società occidentale dall’interno: la rivoluzione sessuale (che ha portato alla pornografia di massa), il culto della droga (che ha portato alla tossicodipendenza di massa), la cultura abortista (che si è portata dietro la cultura della manipolazione della vita), la cultura gay gender e qualcos’altro. La breccia aperta dal divorzio si chiama edonismo, che è una tentazione perenne dell’animo umano prima ancora che una filosofia determinata. Dal punto di vista dell’edonismo, il desiderio individuale conta più del bene. Il divorzio e l’aborto sono appunto strumenti per liberarsi della presenza di esseri umani indesiderati. Sei stanco del coniuge? Divorzia. Non hai voglia di allevare un bambino? Abortisci.
Ma che cosa è esattamente quella mescolanza inesplicabile di desiderio e stupore, di dolore e di estasi, che ha nome di amore? Secondo Arthur Schopenhauer non sarebbe altro che un inganno di breve durata che la natura userebbe per costringerci ad accoppiarci e a riprodurre la specie. Dopo averci spiegato, con compiaciuto sarcasmo, quanto amaro sia il disinganno che pone fine all’inganno stesso, il filosofo ci invita a liberarci del desiderio amoroso. Più in generale, ci invita a liberarci dal desiderio di felicità, in quanto questo desiderio, a suo parere, non potrebbe in nessuna maniera essere soddisfatto. Noi cristiani sappiamo che questo desiderio, effettivamente, non può essere soddisfatto, non su questa terra: solo l’Infinito può infatti soddisfare un desiderio infinito. Ora, l’edonista contemporaneo è meno raffinato di Schopenhauer: non vuole liberarsi dall’inganno ma goderselo finché dura. E quando un inganno amoroso è finito, se ne procurerà un altro e poi un altro ancora, finché la vecchiaia non ponga fine alla serie delle illusioni e delle delusioni. D’altra parte, è così intento a godersi i piaceri finiti della vita che di avere un desiderio infinito neppure si accorge. Egli dunque è nichilista, ma non è disperato. Si diverte da morire fino alla morte.
Ma a pensarci bene, chi è completamente edonista non divorzia mai perché non si sposa mai. Per divorziare bisogna prima sposarsi, per sposarsi bisogna credere che il proprio matrimonio abbia qualche possibilità di durare a lungo, possibilmente fino alla morte. Infatti, quella mescolanza inesplicabile di desiderio e stupore, di dolore e di estasi, che ha nome di amore chiede l’eternità anche se non appare eterna. Gli innamorati sentono che l’amore da cui sono posseduti contiene la promessa di una felicità maggiore, che appartiene al futuro. Ecco, l’amore guarda al futuro. Posto dunque che sposarsi significa scommettere sul valore eterno del proprio amore, divorziare significa perdere una scommessa, subire una sconfitta. Nel momento in cui divorziano, i due ex innamorati affermano che la promessa di felicità contenuta nel loro amore non si è realizzata e mai potrà realizzarsi. Tuttavia, non smettono di credere nell’amore: la maggior parte dei divorziati si risposano, naturalmente non con le stesse persone. Per sposarsi una seconda volta, devono per forza credere che il secondo matrimonio abbia qualche possibilità di essere migliore del primo. Purtroppo, si accorgono che né il secondo né il terzo né nessun altro matrimonio successivo può essere migliore del primo. E infatti, chi divorzia una volta ha molte probabilità di divorziare pure una seconda, una terza… finché morte non sopraggiunga.
Tutti i problemi di convivenza che si presentano nel corso del matrimonio sono conseguenza di un unico grande problema: l’innamoramento finisce. L’amore è allora solo un breve, piacevole inganno da cui liberarsi o, in alternativa, da godere finché dura? Cristo non sembra pensarla come Schopenhauer. Se ha fatto del matrimonio un sacramento, significa che dal suo divino punto di vista quel potente sentimento che porta lo sposo verso la sposa e la sposa verso lo sposo non è un inganno. E Cristo non sembra neppure pensarla come il filosofo cristiano Kierkegaard, il quale affermava che i veri traditori non sono quelli che divorziano al momento giusto ma «quegli sposi miserabili che, lamentandosi dell'amore ormai da tempo svanito, restano come stolti nel proprio recinto coniugale» (da Aut Aut). Che cosa è Cristo stesso nei confronti della Chiesa, se non lo sposo? Cristo non abbandona la sua Chiesa neppure quando lei lo delude, lo ferisce e lo tradisce. Per questo, lo sposo che abbandona la sua sposa e la sposa che abbandona il suo sposo, tradiscono Cristo.
L’innamoramento non è un inganno di breve durata ma l’inizio della strada in salita dell’amore, quello vero, che passa attraverso il matrimonio. Solo chi accetta di percorrerla fino in fondo, potrà vedere realizzarsi nella sua vita, almeno in parte, la promessa di una felicità maggiore. Per percorrerla, bisogna completare l’eros (che è l’attrazione amorosa) con la carità o agape. Se l’eros è il desiderio di possedere l’altra persona, l’agape è il desiderio di fare il suo bene senza averne nulla in cambio, sopportandone pazientemente i difetti. Perché ogni essere umano ha più difetti di quanti lui stesso pensa di avere ed è irriducibilmente diverso da chiunque altro. Forse che i genitori e i figli sono perfettamente compatibili fra di loro? E lo sono forse i figli fra di loro? Anche se litigano tutto il tempo, fratelli e sorelle, genitori e figli non ci pensano nemmeno di divorziare fra loro. Perché invece le coppie litigiose non dovrebbero avere altra scelta che divorziare? Molte coppe felici - perché ce ne sono ancora - testimoniano con tutta la loro vita che è possibile imparare a superare i contrasti.
Scrive Julian Carrón: «La bellezza della donna è in realtà “raggio divino”, segno che rimanda oltre. Per questo, se non incontrano ciò a cui il segno rimanda, il luogo dove si può trovare il compimento della promessa che l’altro ha suscitato, gli sposi sono condannati a essere consumati da una pretesa dalla quale non riescono a liberarsi e il loro desiderio di infinito è destinato a rimanere insoddisfatto». C’è dunque bisogno della fede per amare una persona fino in fondo? Probabilmente sì. Ma come si dice, la grazia perfeziona la natura. Ogni essere umano sente il desiderio di restare per tutta la vita con la persona che ama, di conseguenza ogni essere umano deve almeno provarci. La fede perfeziona l’amore umano: perché la fede possa perfezionarlo, l’amore deve dunque esserci. E la società deve aiutare questo fragile amore a crescere e rafforzarsi tramite leggi e divieti appropriati. San Paolo diceva che la legge è “il grande pedagogo”. In quest’era così gravemente carente di padri, c’è un bisogno disperato di pedagoghi.