Associazione Cultura Cattolica

"Giobbe" 7 - Le prove di Mendel, novello Giobbe

Fonte:
CulturaCattolica.it
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La vita riprende con la speranza nel cuore, spiando ogni possibile segno di guarigione, ma Menuchim peggiora di giorno in giorno; non riesce a reggersi in piedi, inciampa, gioca con i ciottoli e gli escrementi che trova per terra, divora tutto e tossisce in continuazione, di giorno e di notte.
I fratelli lo odiano e una volta si accordano per annegarlo in una cisterna piena di vermi e di croste ammuffite. Ma Menuchim resiste. La sua tempra è forte e sopporta ogni angheria...
In casa i rapporti sono tesi, parlano tutti il meno possibile, gravati da questa presenza pesante e insopportabile. Incanutisce la barba di Mendel e precocemente avvizzisce il corpo della moglie.
Dopo dieci anni di tentativi Menuchim ha imparato a dire una sola parola: mamma. Gli altri rimangono soltanto suoni incomprensibili.
Nel romanzo fanno da contrappunto alle sue infermità l’aspetto e le doti degli altri tre figli: Jonas, il maggiore, forte come un orso, Schemarjah astuto e svelto e Mirjam, spensierata e civettuola, attira gli sguardi vogliosi dei soldati per la sua figura sottile, gli occhi scuri e intensi, la bocca vermiglia. Quando rientra a casa tardi, il padre non chiede dove e con chi si sia attardata, ma teme per lei il peccato e la vergogna.
Grosse nubi si addensano sopra la famiglia Singer.
Scoppia la guerra e i due maschi son dichiarati idonei per la leva militare. Ancora una volta Deborah sente spezzarsi il cuore pensando alla morte cui i figli vanno incontro e accusa, irride e schernisce il marito incapace di iniziativa, vigliacco e ancora vanamente fedele al Signore che pur non lo ascolta.
Che vuoi, Deborah - pacatamente rispondeva Mendel - i poveri sono impotenti, Dio non getta loro pietre d’oro dal cielo, alla lotteria non vincono e la loro sorte la devono portare con rassegnazione. All’uno Egli dà e all’altro toglie. Io non so di che cosa ci punisce, prima con la malattia di Menuchim e ora coi figlioli sani. Ah, al povero le cose vanno male se ha peccato, e gli vanno male se è malato. Bisogna sopportare il proprio destino! Lascia che i ragazzi vadano sotto le armi, non si guasteranno! Contro la volontà del Cielo non c’è potenza che tenga. Esso tuona e fulmina, s’inarca su tutta la terra, dinanzi a lui non c’è scampo, così sta scritto”.(pagg. 42,43)

Sentiva di non amare più la donna che gli era stata a fianco per lunghi anni e di cui un tempo amava la carne: vedeva i segni della vecchiaia, i solchi profondi sul viso, la pelle flaccida, il corpo pesante e informe. E vedeva che Deborah si stava allontanando dall’Onnipotente e non credeva più in Lui.
Lui invece rimaneva fedele al suo Dio anche se non capiva perché l’Onnipotente lo mettesse alla prova.
Mendel accetta con rassegnazione quello che il cielo gli manda e piegandosi ai voleri dell’Onnipotente proprio come aveva fatto nell’Antico Testamento Giobbe, sulla storia del quale è ricalcata la vicenda narrata. E nel romanzo la storia di Giobbe si fonde e si intreccia con quella del protagonista che diventa nel romanzo novello Giobbe.