Associazione Cultura Cattolica

La politica cristiana vista da un ortodosso ucraino

Aleksandr Filonenko, fisico e filosofo, docente all’università di Char’kov, ha rilasciato questa intervista (di cui riportiamo ampi stralci) il 12 agosto scorso a un giornalista ucraino, Jurij Černomorec, nella difficile situazione in cui si trova a vivere il Paese. Proprio in quei giorni si stava eleggendo il nuovo primate ortodosso, il metropolita Onufrij, e la domanda sul compito dei cristiani nelle circostanze di un conflitto che non accenna a scemare diventa di drammatica attualità
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Professor Filonenko, come dev’essere la Chiesa ortodossa oggi? L’appello alla missione non rischia di portarci sul filo di un’azione politica?

La Chiesa dev’essere udibile nella società come testimone di Cristo, risorto e operante. La Chiesa non è nostra, ma di Cristo. Nella misura in cui Lui opera attraverso di noi, noi siamo Chiesa ortodossa… Certamente, la Chiesa ortodossa si rivolge non tanto allo stato, quanto alla società… e la società ha un immenso bisogno della sua testimonianza… dell’ideale di un’Ucraina trasfigurata…
Per molto tempo la Chiesa ha fatto di tutto per essere apolitica. Ma la società si trova in una tale crisi che i cristiani in tutto il mondo riprendono in esame il loro rapporto con la politica. Spesso essere apolitici significa tradire il proprio cristianesimo. Dobbiamo essere politici nel senso che dobbiamo preoccuparci della nostra “polis”, cioè della città, del paese in cui viviamo. E’ vero, i cristiani non sono di questo mondo perché tendono a una città futura. Ma occorre educare a una responsabilità civica anche nei confronti della nostra città terrena. Altrimenti rischiamo di essere condannati da Dio per la nostra irresponsabilità nei suoi confronti. E’ necessaria una “politica dell’amore”. La stessa parola “agape” significa “tenerezza”. Oggi la teologia cristiana parla della necessità di una politica della tenerezza, di una politica della misericordia. Dobbiamo essere dei buoni samaritani nei confronti della società, e questa non può essere soltanto una posizione spirituale, ma anche posizione civile, politica.
La politica cristiana non può ridursi a dei progetti e modelli politici. Oggi è semplicemente impossibile, anche se i cristiani lo volessero. La politica cristiana dev’essere qualche cosa di diverso, di più grande. Dev’essere una politica forte, ma non secondo i metodi proposti dall’élite politica attuale. Occorre una politica qualitativamente nuova, una politica che si metta al servizio morale della società. Riflettiamo su una cosa semplice. Le crisi sociali di oggi, in Ucraina e nel mondo, dipendono dal fatto che nella società mancano la fiducia reciproca, rapporti sinceri, il coraggio di sperare nel meglio, l’audacia di amare.
Non c’è fiducia perché manca la fedeltà. Ci dev’essere fedeltà a Cristo, fedeltà alla gente e non a dei programmi. Quando ci sarà la fedeltà apparirà anche la fiducia.
Fra queste tre virtù – fede, speranza e carità – la politica cristiana è legata particolarmente alla speranza. Sia nel XX secolo ventesimo che oggi, nella società sperimentiamo anzitutto una crisi di speranza. Un’azione politica dei cristiani, come cittadini, sarà possibile quando la Chiesa avrà educato in loro la speranza, avrà fatto di loro uomini della speranza. Se una società tende semplicemente alla stabilità e alla sicurezza, muore perché non nasce più nuovo ardore interiore, spirituale, e le vecchie riserve si esauriscono. Senza una politica cristiana della speranza, la società è destinata a trasformarsi in un bellissimo cimitero, nel migliore dei casi, oppure, nel peggiore, in un “buco nero”.
Ci siamo trovati in una società che aveva perso la capacità di fare un lungo sforzo positivo, di respirare profondamente. Siamo ancora capaci di uno slancio generoso, ma fatichiamo immensamente a compiere il sacrificio quotidiano di essere uomini, cristiani, cittadini. Ma la società ha bisogno di imparare a camminare a lungo, di respirare in profondità. Questo è possibile soltanto se acquistiamo la cultura della speranza. Abbiamo talenti, risorse, ma non crediamo di essere capaci di perseverare a lungo in un’azione giusta. Perché ci manca la capacità di sperare.
Quando leggiamo san Paolo, che ci mostra da dove nasce la speranza, vediamo un quadro inatteso: “Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza” (Rm 5,3). Proviamo a pensare: noi non ci vantiamo nelle tribolazioni. Le sopportiamo oppure ci lamentiamo. Invece il credente in ogni situazione di crisi, in ogni sofferenza, in ogni dolore vede Cristo. Per questo in lui c’è la speranza. Per questo è capace di sopportare. Ma qui c’è un passaggio molto importante: spesso noi consideriamo la pazienza come uno stato di passività. Per san Paolo la pazienza è un superamento attivo delle sofferenze, crisi e tribolazioni che ci sono capitate. Il non far niente passivo dei cristiani durante la crisi non è pazienza, ma pusillanimità. Vivere la pazienza significa avere il coraggio di affrontare il dolore e la tribolazione. Nasce così la virtù provata, infatti i cristiani diventano capaci di operare, di parlare e soprattutto di esprimere un giudizio. La società ha bisogno di un giudizio critico da parte dei cristiani, di un giudizio che nasce dall’esperienza, ma non dall’esperienza di un autocompiacimento chiuso in se stesso, bensì dall’esperienza di condivisione del dolore di tutto il mondo. Il cristianesimo dev’essere capace di assumersi il dolore del mondo, e mostrare come sia possibile, a noi in quanto cristiani e cittadini, non reagire al dolore semplicemente con la violenza. Alla violenza non si può opporre la “non violenza”, che oggi non sappiamo neppure cosa sia. Alla violenza occorre opporre l’amore cristiano, l’“agape”, che ama teneramente il mondo e nello stesso tempo lo giudica severamente. Alla violenza bisogna opposto un amore lucido e fattivo, che sappia che cosa e come agire nel momento della crisi. Questa è una caratteristica di persone adulte e consapevoli, avere questo amore in risposta a tutta la violenza che esiste nella società.

Di questo ha un bisogno estremo l’Ucraina…

Ora è necessaria una riconciliazione nazionale. Mentre è ancora in corso la lotta contro il male, occorre già dar inizio alla lotta per il bene. Qui il ruolo dei cristiani deve essere determinante. I cristiani devono dimostrare al mondo che cosa sia la pace di Cristo. Soltanto dall’esperienza della pace in Cristo può nascere la possibilità di una pace sociale nel nostro paese. Occorre la pace, infatti, e non una tregua di compromessi, quando persone belligeranti sospendono, congelano per un certo tempo il conflitto. La Chiesa deve mostrare che cosa sia l’opera della pazienza. Non soltanto parlarne di sopportazione, ma testimoniarla nei fatti. Dio è l’Altro. Ogni persona accanto a me è l’altro, che sono chiamato ad accogliere con pazienza. La causa della crisi attuale nella parte orientale del paese sta nel fatto che gli uni hanno deciso di non sopportare gli altri, che la pensano un po’ diversamente. Non è una cosa normale. Per decine di anni hanno sopportato, sono vissuti assieme, hanno battezzato insieme i loro figli, insieme hanno festeggiato i loro matrimoni ed improvvisamente sono nati questo rifiuto di avere pazienza, queste acritiche provocazioni a odiare. Amare e pazienza: è un grosso lavoro, è un continuo sforzo, e non semplicemente un sentimento o un’emozione. Se i cristiani, se la Chiesa ortodossa non sapranno mostrare alla società che cosa sia la pace di Cristo, la società non sarà in grado di riconciliarsi. Questa è la nostra responsabilità, la principale responsabilità di oggi…
Al cristianesimo oggi non basta una politica di piccole opere e di piccoli passi. Il cristianesimo dev’essere coraggioso nella sua testimonianza, nella sua speranza, nella sua fiducia. Come ha detto uno dei santi Padri: non abbiate paura di sognare, perché Dio è con voi. E occorre pensare che ogni nostro piccolo gesto, la nostra testimonianza oggi sono rivolti non soltanto ai vicini, ma a tutto il mondo. La Chiesa non è un gruppo di uomini, uniti dalla professione in una fede comune. La Chiesa sono persone che vivono questa vita, e sono pronte e liete di testimoniarla, con le parole e le opere…
Quando vediamo o intuiamo la presenza di Dio in ciò che succede fra noi, siamo quelli che dobbiamo essere. Il vescovo raccoglie intorno a sé questa testimonianza dei fedeli e costruisce la comunità di testimoni: la Chiesa.