Associazione Cultura Cattolica

Donbass e Crimea: Bilancio di un anno

Ospitiamo questa riflessione di Maksim Vasin, direttore dell’Istituto della libertà religiosa [Risu.org.ua] per aiutarci a riflettere su quanto accade, nella dimenticanza generalizzata dei media
Fonte:
CulturaCattolica.it
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L’anno 2014, fin dall’inizio, arrecò alla società ucraina sfide straordinarie che hanno colpito anche la sfera della libertà religiosa. Se prima la stampa internazionale riconosceva l’Ucraina come uno stato fondamentalmente ad alto livello di libertà di professione religiosa, assieme agli altri stati dell’Europa orientale, oggi, purtroppo, accanto a questo ci sono novità che provengono dalla Crimea occupata e dalla straziante guerra del Donbass, novità che spaventano sempre di più per la brutalità delle repressioni religiose e per le sofferenze da parte di credenti di varie confessioni.
Questi territori dell’Ucraina che, nelle condizioni della crisi politico-sociale, furono oggetto di aggressioni da parte della Russia e luogo di azioni belliche con l’invasione dell’esercito e con le armi russe, divennero un’eccezione nel contesto generale. Oltre alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, qui cessarono praticamente di agire i diritti e le libertà fondamentali, valori comunemente accettati nel mondo democratico.

Repressioni religiose nel Donbass e nelle regioni di Lugan controllate dai separatisti russi

Val la pena ricordare che dal febbraio 2014 il separatismo nel Donbass e in Crimea veniva frequentemente giustificato dalle esistenti pretese della lingua russa, dalla cultura, dalla ortodossia moscovita e d’altro. Nel comunicato comune i capi delle maggiori Chiese e delle associazioni religiose dell’Ucraina dichiararono: “Nel nostro stato non ci sono persecuzioni a motivo della lingua, della nazionalità, delle confessioni religiose. Per questo testimoniamo che tutti i tentativi della propaganda russa di rappresentare gli avvenimenti in Ucraina come “una rivoluzione fascista” e “la vittoria dell’estremismo” non corrispondono in modo assoluto alla realtà”.
Il Consiglio delle Chiese e delle associazioni religiose di tutta l’Ucraina più volte è intervenuto in difesa del mondo religioso: “In nessun caso si può permettere che vi siano opposizioni in campo religioso. La nostra grande famiglia ucraina deve essere unita e pluriforme” In seguito, dopo l’approvazione ufficiale da parte del presidente russo di far entrare l’esercito in Ucraina, il Consiglio generale delle Chiese e delle associazioni religiose dichiarò: “L’invasione delle forze armate di uno stato nel territorio della Ucraina è una minaccia non soltanto per il nostro paese, ma per tutto il mondo e per la pace del continente europeo in particolare”.
Nello stesso tempo il 16 maggio i rappresentanti dell’auto-proclamatasi “Repubblica popolare del Doness” hanno approvato il testo della propria “costituzione” la quale determinò l’intolleranza religiosa come il fondamento della politica dei separatisti. Al capitolo 9 si dice: “La prima e dominante fede è la fede ortodossa… professata dalla Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca. L’esperienza storica e il ruolo della Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca è riconosciuta, rispettata e compresa come pilastro sistematico del mondo russo”. Così nel Donbass fu annunciata la formazione del battaglione “Armata Russa Ortodossa”, ciò che sta a testimoniare l’intenzione dei separatisti di stabilire con le armi in mano “la fede dominante” sul territorio del Donbass.
Da questo tempo sino alla fine dell’anno 2014 sui territori del Ucraina orientale, sotto il controllo del colosso armato, si è fissata la crescita dell’intolleranza religiosa nei confronti di tutte le Chiese cristiane, escluse le comunità della Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca e di pochi altri. Particolare bersaglio dei militari sono state le comunità dei cristiani evangelici (pentecostali, battisti, avventisti, carismatici) che, secondo la statistica ufficiale rappresentano il 33% di tutte le comunità religiose del Donbass.
La posizione ucraina, l’uso della lingua russa e dei simboli ucraini è stata causa di minaccia per la vita e la salute dei cittadini da parte dei separatisti motivati dalla xenofobia. Similmente si è svolta la situazione nelle città della provincia di Lugan che si trova sotto il controllo dei separatisti locali che hanno autoproclamato “La repubblica popolare di Lugan” e da parte delle formazioni russe.
Nei territori occupati dall’Ucraina sono diventati una norma sequestri di perone nei confronti di pastori e di sacerdoti, gli interrogatori pesanti accompagnati da percosse e torture. L’esproprio delle loro chiese e delle case di preghiera e l’uso dei loro edifici per operazioni militari. O per altri usi dei separatisti.
Il 15 maggi 2014 il Patriarcato di Kiev in una dichiarazione specifica l’esistenza di “numerosi fatti di minacce alla vita e alla salute del clero e dei fedeli del Patriarcato di Kiev, di creazioni di ostacoli all’attività della chiesa nelle regioni orientali dell’Ucraina da parte di forze terroristiche, separatiste controllate e incoraggiate dalla Russia”. Nella dichiarazione si dice che persone armate irruppero nelle chiese del Patriarcato di Kiev con la pretesa che i sacerdoti passassero immediatamente alle dipendenze del Patriarcato di Mosca; i terroristi minacciavano la condanna a morte ai sacerdoti del Patriarcato di Kiev, cosa che, nelle situazioni attuali crea reale minaccia alla vita del clero e dei fedeli del Patriarcato di Kiev nel Donbass e nelle province di Lugan.
Un esempio eclatante di intolleranza religiosa avvenne a Slavjansk della provincia di Doneck dove l’8 luglio due figli del pastore Aleksandr Pavenko e due diaconi dell’associazione religiosa “La Trasfigurazione del Signore” furono presi in ostaggio e le loro automobili furono rubate dai soldati armati durante un servizio religioso nella festa della Trinità. Il giorno seguente tutti i quattro credenti furono fucilati. Allo scopo di nascondere il loro delitto i soldati bruciarono due vittime in una delle loro automobili e le altre le seppellirono in una fossa comune.
Il 16 maggio 2014 a Slavjansk i militari della polizia sequestrarono Aleksej Demidovic’, vescovo evangelista della “Chiesa di Dio” dell’Ucraina e per circa sette ore lo interrogarono. Il 23 maggio a Doneck il pastore Sergej Kosjak della comunità religiosa “Assemblea di Dio” fu percosso brutalmente nel quartiere generale della Polizia segreta. Il 27 maggio il sacerdote cattolico romano Pavel Vitek polacco fu rapito dalle forze armate separatiste durante la preghiera in strada e, grazie agli sforzi dei diplomatici, fu liberato dopo due giorni di prigione.
Il 21 giugno i soldati separatisti imprigionarono il pastore Nikolaj Kalinic’enko della chiesa evangelica “Parola della vita” della città di S’achterska. In seguito fu liberato dopo avergli rubato l’automobile. Il 26 giugno i soldati filorussi irruppero nell’alloggio del pastore Pavel Lisko della chiesa evangelica “Chiesa dei vincitori” della città di Druz’kovka e assieme alla moglie lo portarono nel quartier generale della polizia. Furono liberati dopo una settimana di prigione.
Il 3 luglio i soldati contro lo spionaggio a Doneck imprigionarono il sacerdote greco cattolico Tichon Kul’bak. Fu trattenuto 12 giorni e lo dileggiarono. L’8 luglio i soldati separatisti imprigionarono a Doneck il sacerdote ortodosso del Patriarcato di Kiev Jurij Ivanov che per tre settimane fu trattenuto come ostaggio. Il 15 luglio a Gorlov i soldati della polizia imprigionarono per 11 giorni il sacerdote cattolico romano Viktor Bonsovic’ .
L’8 agosto a Doneck i separatisti tenero in prigione due pastori protestanti: Aleksandr Chomc’enko fu picchiato duramente e condannato a cinque giorni di lavoro forzato, dopo averlo condannato di spionaggio nei confronti della polizia, mentre il pastore Valerij Jakubenko fu liberato dopo due giorni di interrogatorio. In ottobre la stessa sorte toccò al pastore Sergej Litovc’enko che passò in prigione 20 giorni a Gorlovka.
Il 14 ottobre si venne a sapere che Sergej Sajkova e il suo figlio quattordicenne della comunità protestante “La buona Novella“ vennero imprigionati dai separatisti nella città Krasnodon. Furono liberati dopo quattro giorni di dure interrogazioni accusati di spionaggio in favore dell’esercito ucraino occidentale.
Questi fatti sono una testimonianza che nell’Ucraina Orientale hanno luogo delle persecuzioni religiose con scopi ben precisi. Queste condizioni insopportabili per la professione della propria religione mettono in pericolo la vita e la salute di molti sacerdoti e credenti

Repressioni religiose in Crimea occupata dalla Russia

Secondo la statistica ufficiale del Ministero della cultura ucraina, all’inizio del 2014 sul territorio della Crimea esistevano 2.080 organizzazioni religiose, di cui 1.409 godevano del diritto di persona giuridica e 674 godevano il diritto di operare senza la registrazione statale. Nella città di Sebastopoli si trovano ancora 137 associazioni religiose registrate.
Per vari pretesti, come, per esempio, la lotta contro l’estremismo, il potere a capo della Crimea perseguita le persone che appartengono alle organizzazioni religiose di mentalità filoucraina. La legislazione della Russia che riguarda l’attività delle organizzazioni religiose e l’opposizione all’estremismo sono state il pretesto per il controllo delle abitazioni dei credenti e delle comunità religiose, per vietare una certa letteratura religiosa, per pretendere una nuova registrazione per tutte le comunità religiose. Il potere russo, attraverso vari metodi, cerca di sottomettere le comunità religiose ucraine della Crimea ai centri religiosi russi.
Forse il caso più eclatante avvenne il 15 maggio 2014 quando il sacerdote greco-cattolico Nikolaj Kvic’ fu illegalmente fermato dai rappresentanti del potere della Crimea direttamente nella parrocchia della Dormizione della Santissima Madre di Dio della città di Sebastopoli durante una riunione con i parrocchiani. Questo fu seguito dalla profanazione di oggetti sacri e da altre attività illegali: uso della violenza, la perquisizione dell’appartamento, un interrogatorio di otto ore accompagnato da elementi di tortura.
Nikolaj Kvic’ dovette subire minacce di punizione per la sua appartenenza confessionale e per l’uso della lingua ucraina. Il sacerdote si trovò di fronte alla prospettiva di subire la prigione fino a 15 anni per l’accusa inventata di estremismo. Per questo motivo il 16 marzo fu costretto ad abbandonare la Crimea.
Per questo tipo di minacce e per un’atmosfera di odio che si andava sempre più diffondendo contro le comunità religiose filoucraine, tutti i sacerdoti della Chiesa greco cattolica, lungo il mese di marzo, furono costretti a portare le loro famiglie in un luogo meno pericoloso, oltre i confini della Crimea. Simili sfide sorsero anche per i sacerdoti della Chiesa cattolica romana e per i sacerdoti della Chiesa ortodossa del Patriarcato di Kiev.
Anche l’arcivescovo Kliment del Patriarcato di Kiev ha parlato delle violazioni della libertà religiosa da parte dell’attuale potere della Crimea
In particolare il 13 aprile fu chiusa la chiesa della Protezione della Madre di Dio nel villaggio Pereval’ dipendente dal Patriarcato di Kiev. Inoltre dal 21 aprile le milizie russe a Sebastopoli impedirono l’accesso alla ciesa dedicata al martire S. Clemente di Roma.
Ancora il potere della Crimea credette opportuno imporre una tassa incredibile alla Chiesa del Patriarcato di Kiev per l’uso della cattedrale dedicata ai santi eguali agli apostoli Vladimir e Olga a Simfepol…