Associazione Cultura Cattolica

25 agosto 2004: La Rivoluzione Bolivariana revoca il popolo sovrano?

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Caracas: AREA – Rivista della Destra Sociale, Settembre 2004

Alle 04.10, della mattina del 16 agosto, il presidente del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), Francisco Carrasquero, annuncia, a reti unificate, la vittoria di Chavez, con il 58,25% dei No, alla revoca del mandato presidenziale, contro il 41,74% dei Sì. Il day after del Referendum Revocatorio, brucia, in soli pochi secondi mediatici, le speranze di milioni di venezuelani, che avrebbero voluto revocare il disastroso governo chavista, al potere dal 1998. Paradossalmente, la vittoria di Chavez, non solo era avvallata dai poteri forti della finanza internazionale ma, addirittura, a causa della guerra in Iraq, auspicata indirettamente dall’amministrazione Bush, più interessata al contenimento dei prezzi petroliferi, che alla stabilità democratica del Paese caraibico.

Dal canto suo, l’opposizione venezuelana, rappresentata dalla Coordinadora Democratica (CD) - raggruppamento trasversale di partiti politici, ONG, Sindacati e Confindustria locale -, dopo aver superato elefantiaci cavilli burocratici per la raccolta e l’approvazione delle firme, e accettato, senza nessuna alternativa, le discutibili norme elettorali, denuncia il risultato, che capovolge completamente gli Exit polls, nazionali ed internazionali. Secondo molti esponenti della CD, quello di lunedì 16, è stato un “golpe elettronico”, perpetrato alle spalle della maggioranza dei venezuelani. Tanto che, le prime manifestazioni di protesta dell’opposizione, in Piazza Altamira, hanno causato, per mano dei circoli bolivariani, un morto e nove feriti. “Non ci arrenderemo mai”, dice Enrique Mendoza, portavoce della CD: “e dimostreremo che quella, del 15 di agosto, è stata una grande frode elettorale”. “Ci troviamo di fronte, ad un caso di frode elettorale”, sostiene il Dr. Asdrubal Aguiar, ex giudice della Corte Interamericana dei Diritti Umani, “analogo a quello che successe in Perù, nel 2000, tra Fujimori e Toledo”. Lo stesso Prof. Vittorio E. Parsi, ha scritto che: “è difficile credere che, i leader dell’opposizione, potessero pensare di vincere davvero, tanto più che hanno partecipato a questa consultazione con il medesimo stato d’animo di chi sieda a un tavolo da gioco con un baro che distribuisca le carte”. Nonostante l’opposizione abbia chiesto, fin da subito, un audit, su tutto il processo elettorale, il CNE l’ha concesso solo dopo quattro giorni, e su 150 postazioni elettorali, obbligando, di fatto, la CD a disertare la revisione, per mancanza di garanzie. “Ci sono più di 2.000 prove schiaccianti, che dimostrano i brogli perpetrati: nelle matrici finali delle macchine di uno stesso seggio elettorale, il SI registra sempre lo stesso numero di voto”, (vedi foto delle matrici elettorali). “E ciò - sostengono diverse società di statistica - è matematicamente impossibile che accada”.

Il complicato sistema di voto elettronico - voluto e imposto unilateralmente da Chavez, e difeso da un’intricante legislazione di verifica elettorale -, è stato accettato passivamente dagli osservatori internazionali dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), e del Centro Carter, ai quali, è stato impedito di partecipare alla fase finale dello spoglio elettronico. Proprio per queste particolari norme di verifica, la missione di osservazione elettorale dell’Unione Europea non si è svolta, per mancanza di normali garanzie sulle procedure di controllo.

A questo punto, qualche domanda sorge spontanea: perché l’ex Presidente Carter, non ha denunciato la mancanza di trasparenza nelle procedure di verifica alle quali, non solo lui, ma nemmeno l’OSA e i membri del CNE, in quota all’opposizione, hanno potuto partecipare? Come mai, il Centro Carter e l’OSA, hanno accettato e avallato per veritieri i risultati, non solo parziali, ma per di più “elettronici”, della votazione, senza pretendere nessuna contro verifica? E come mai, guarda caso, poche settimane prima del referendum, una delle più potenti compagnie petrolifere americane, vicina all’amministrazione Bush - la Chevron Texaco -, ha firmato un contratto pluri miliardario, di sfruttamento dei pozzi petroliferi, e giacimenti di gas, con il governo di Chavez, quando sapeva benissimo dell’instabilità politica che il paese caraibico stava attraversando? Forse, vista la crisi petrolifera contingente, “l’osservatore” Carter, ha preferito applicare la sua “democratica” Dottrina politica, (dottrina che negli anni ’70 aveva legittimato eventuali interventi USA, armati e non, in ogni zona del mondo in cui gli interessi energetici americani fossero minacciati), invece di difendere le basilari procedure democratiche. Come mai il CNE, tanto scrupoloso nel verificare l’autenticità delle firme valide per il referendum, ha impedito la contro verifica istantanea del risultato, con una semplice e normale conta manuale dei voti? Come mai il CNE, quindici giorni prima del referendum, ha licenziato ben 125 funzionari, sostituendoli con aperti sostenitori del Governo? E cosa dire, delle populiste “misiones bolivarianas”, inaugurate un anno fa, - introducendo nel paese circa 10.000, tra medici ed insegnanti cubani - e, finanziate, grazie agli alti prezzi del petrolio, con 1.600 milioni di dollari, solo per allargare il bacino elettorale chavista, tra le fasce più povere della popolazione?

C’è un altro Venezuela, però, che non appare sui media internazionali, in questi giorni di trionfalismo chavista, ed è il paese reale, che dopo ben sei anni di governo, registra una profonda crisi politica ed economica. L’economia nel 2003, nonostante la favorevole contingenza petrolifera, ha registrato una contrazione del 9,2% del PIL. L’inflazione continua a registrare un 20% annuale. Il sistema industriale ha perso il 67% della sua capacità produttiva, il che ha significato la chiusura di ben 10.000 piccole e medie imprese. In termini di ordine pubblico, l’Istituto Nazionale di Statistica ha calcolato oltre 40.000 morti per criminalità, equivalente ad un aumento del 50% di omicidi, negli ultimi quattro anni. La disoccupazione è salita di un 23%, rispetto all’11%, del 1998, producendo circa 2 milioni di nuovi poveri, in una paese dove, più della metà della popolazione, vive in condizioni di povertà.

Il Venezuela, post referendario, non è il paese stabile, come vorrebbero farci credere, certe logiche dei mercati internazionali, ma anzi, è un paese profondamente e gravemente polarizzato, dove un Caudillo demagogo cercherà, ora più che mai, di radicalizzare la sua rivoluzione.

lorenzo_montanari@yahoo.it