Scrittura & tradizione

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«(Commissione Biblica) vi siete nuovamente radunati per approfondire un argomento molto importante: l’ispirazione e la verità della Bibbia. Si tratta di un tema che riguarda non soltanto la teologia, ma la stessa Chiesa, poiché vita e missione della Chiesa si fondano necessariamente sulla Parola di Dio, la quale è anima della teologia e, insieme, ispiratrice di tutta l’esistenza cristiana. Il tema che avete affrontato risponde, inoltre,a una preoccupazione che mi sta particolarmente a cuore, poiché l’interpretazione della Sacra Scrittura è di importanza capitale per la fede cristiana e per la vita della Chiesa.
Nell’Enciclica Provvidentissimus Deus Papa Leone XIII offriva agli esegeti cattolici nuovi incoraggiamenti e nuove direttive in tema di ispirazione, verità ed ermeneutica biblica. Più tardi Pio XII nella sua Enciclica Divino afflante Spiritu raccoglieva e completava il precedente insegnamento, esortando gli esegeti cattolici a giungere a soluzioni in pieno accordo con la dottrina della Chiesa, tenendo debitamente conto dei positivi apporti dei nuovi metodi di interpretazione nel frattempo sviluppati. Il vivo impulso dato da questi due Pontefici agli studi biblici ha trovato piena conferma ed è stato ulteriormente sviluppato nel Concilio Vaticano II, cosicché tutta la Chiesa ne ha tratto e ne trae beneficio. In particolare, la Costituzione conciliare Dei Verbum illumina ancora oggi l’opera degli esegeti cattolici e invita Pastori e fedeli ad alimentarsi più assiduamente alla mensa della Parola di Dio. Il Concilio ricorda, al riguardo, innanzitutto che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura: “Le cose divinamente rivelate nei libri della Sacra Scrittura sono contenute e presentate, furono consegnate sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’Antico e del Nuovo testamento, con tutte le loro parti, perché, scritti sotto ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa” (Dei Verbum, 11). Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, invisibile e trascendente Autore, si deve dichiarare, per conseguenza, che i “libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre Lettere” (Ibidem, 11)» [Benedetto XVI, Alla Plenaria Commissione Biblica, 23 aprile 2009].
“Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato, per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni” (Dei Verbum, 7). Egli ha dato alla sua Chiesa, mediante il dono dello Spirito Santo, una partecipazione alla propria infallibilità. Il Popolo di Dio come soggetto ininterrotto della Sacra Scrittura riattualizzata come Parola di Dio soprattutto nella fede celebrata, professata, vissuta, pregata mediante il dono continuo dello Spirito santo, dello Spirito del Risorto presente in lui, grazie al “senso soprannaturale della fede”, gode di questa prerogativa, sotto la guida del Magistero vivo della Chiesa, che, per l’autorità esercitata nel nome di Cristo, è il solo interprete autentico della Parola di Dio, scritta o trasmessa (Dei Verbum, 10).
Come successori degli Apostoli, i Pastori della Chiesa “ricevono dal Signore… la missione di insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini… ottengano la salvezza” (Lumen gentium 24). Ad essi, con il ministero dell’annuncio normativo per tutti, è quindi affidato il compito di conservare, esporre e diffondere la Parola di Dio, della quale sono servitori (Dei Verbum 10). L’affermazione che la Chiesa con il suo ministero pastorale è abilitata all’annuncio e non all’insegnamento storico critico della Bibbia, alla teologia scientifica è certamente corretta. Ma il ministero dell’annuncio si impone anche per la teologia scientifica, per il suo insegnamento per cui la sintesi organica del CCC e del suo Compendio è “strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come norma sicura per l’insegnamento della fede” (Costituzione apostolica Fidei depositum n. 4).
Attraverso la Sacra Scrittura Dio parla storicamente all’uomo alla maniera umana e quindi necessità dell’esegesi, la quale deve indagare l’intenzione dello scrittore sacro come presupposto per comprendere il pensiero di Dio
Dalla corretta impostazione del concetto di divina ispirazione e verità della Sacra Scrittura derivano alcune norme che riguardano direttamente la sua interpretazione. La stessa Costituzione Dei Verbum, dopo aver affermato che Dio è l’autore della Bibbia, ci ricorda che nella Sacra Scrittura Dio parla continuamente, storicamente all’uomo alla maniera umana. E questa sinergia divino – umana è molto importante: Dio parla realmente per gli uomini in modo umano. Per una retta interpretazione della Sacra Scrittura bisogna dunque ricercare con attenzione che cosa gli agiografi hanno veramente voluto affermare e che cosa è piaciuto a Dio manifestare tramite parole umane. “Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini” (Dei Verbum, 13). Ecco quindi la necessità del metodo storico – critico. Questa necessità è la conseguenza del principio cristiano formulato in Gv 1,14 Verbum caro factum est. Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica. Queste indicazioni, molto necessarie per una corretta interpretazione di carattere storico – letterario come prima dimensione di ogni esegesi, richiedono il connubio, un collegamento con le premesse della dottrina sull’ispirazione e verità della Scrittura, poiché questa storia ha un’altra dimensione, quella della azione divina attraverso la via umana. Di conseguenza la Dei Verbum parla di un secondo livello metodologico necessario per una interpretazione giusta delle parole, che sono nello stesso tempo parole umane e Parola divina che si riattualizza continuamente proprio perché divino – umana. Infatti, essendo la Scrittura ispirata, c’è un sommo principio di retta interpretazione senza il quale gli scritti sacri resterebbero lettera morta, solo del passato: la Sacra Scrittura deve “essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta” (Dei Verbum, 12).
Al riguardo, il Concilio Vaticano II indica tre criteri sempre validi per una interpretazione della Sacra Scrittura conforme allo Spirito del Risorto, presente nel suo Corpo cioè nella Chiesa, Spirito che l’ha ispirata e continuamente la ispira. E questo al fine di tener conto della dimensione divino – umana, pneumatologica della Bibbia.
- Anzitutto occorre prestare attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura: solo nella sua unità le Scritture sono la Scrittura, sono Parola di Dio. Infatti, per quanto siano differenti i libri che la compongono, la Sacra Scrittura è una in forza dell’unità del disegno di Dio, del quale Cristo Gesù è il centro e il cuore (Lc 24,25-27; Lc 24,44 – 46). Chi osserva questo processo – certamente non lineare, spesso drammatico e tuttavia in progresso – a partire da Gesù Cristo può riconoscere che nell’insieme c’è una direzione, che l’Antico e il Nuovo testamento, l’Antica e la Nuova Alleanza sono collegati tra di loro. Certo, l’ermeneutica cristologica, che in Gesù Cristo vede la chiave del tutto e, a partire da Dio che possiede un volto umano, apprende a capire la Bibbia come unità, presuppone una scelta di fede e non può derivare dal puro metodo storico. Ma questa scelta di fede ha dalla sua la ragione – una ragione storica – e permette di vedere l’intima unità della Scrittura e di capire così in modo nuovo anche i singoli tratti di strada, senza togliere loro la propria originalità storica. L’”esegesi canonica” – la lettura dei singoli testi della Bibbia nel quadro della sua interezza – è una dimensione essenziale dell’esegesi che non è in contraddizione con il metodo storico – critico, ma lo sviluppa in maniera organica, fa cogliere nel testo significati che altrimenti sfuggirebbero e sopratutto lo fa divenire vera a propria teologia.
- In secondo luogo occorre leggere la Scrittura nel contesto della tradizione vivente di tutta la Chiesa. Secondo il detto di Origene “la Sacra Scrittura è scritta nel cuore del popolo di Dio, della Chiesa prima che su strumenti materiali”. La Tradizione è sempre ricordata prima della Scrittura, per rispettare l’ordine cronologico, dal momento che, all’origine di tutto, c’è questa tradizione o continuità che viene dagli Apostoli, ed è all’interno di una comunità già costituita che i libri santi sono stati composti, riconosciuti come ispirati e ricevuti. Infatti la Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria viva di Dio che parla, come ha parlato allora, come parlerà in futuro, parla qui e ora al suo popolo ed è lo Spirito Santo, lo Spirito del Risorto presente in lei e attraverso di lei che le dona l’interpretazione di essa secondo il senso spirituale.
- Come terzo criterio è necessario prestare attenzione all’analogia della fede, ossia alla coesione delle singole verità di fede tra di loro e con il piano complessivo della Rivelazione e la pienezza della divina economia in esso racchiusa.
I testi biblici ispirati da Dio sono stati affidati in primo luogo alla comunità dei credenti, alla Chiesa di Cristo, per alimentare la vita di fede e guidare la vita di carità
Non a tutti gli uomini è consentito dedicarsi alla scienza biblica; ma a tutti, con l’aiuto della fede professata, celebrata, vissuta, pregata del Catechismo è aperta la via alle grandi intuizioni di fondo garantite dal magistero, alla fede comune, in cui non vi è differenza di classe tra dotti e semplici. Il compito dei ricercatori che studiano con diversi metodi la Sacra Scrittura – a prescindere dalla certezza solo relativa dei loro apporti – è quello di contribuire secondo i suddetti principi alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura da sottoporre alla verifica del ministero dell’annuncio cioè del Magistero. Lo studio scientifico dei testi sacri è importante per il carattere storico della rivelazione, ma non è da solo sufficiente perché rispetterebbe la dimensione umana. Per cogliere attraverso la via della dimensione umana il divino che continuamente si rivela, per rispettare la coerenza della fede della Chiesa l’esegeta cattolico deve essere attento a percepire qui e ora la Parola di Dio in questi testi, all’interno della stessa fede della Chiesa. In mancanza di questo imprescindibile punto di riferimento la ricerca esegetica resterebbe incompleta, perdendo di vista la sua finalità teologica principale, con il pericolo di essere ridotta ad una lettura puramente letteraria, nella quale il vero Autore – Dio ieri, oggi e sempre – non appare più. Inoltre l’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma deve avvenire, per essere un continuo ascolto della Persona di Gesù Cristo, all’interno di un vissuto ecclesiale di comunione autorevolmente guidata e sempre confrontata, inserita, autenticata nella continuità della tradizione vivente della Chiesa. Questa norma è decisiva per precisare il corretto e reciproco rapporto tra l’esegesi e il ministero dell’annuncio cioè il Magistero della Chiesa. L’esegeta cattolico non si sente soltanto membro della comunità scientifica, ma anche e soprattutto membro della comunità dei credenti di tutti i tempi. In realtà questi testi ispirati non sono stati dati ai singoli ricercatori o alla comunità scientifica “per soddisfare la loro curiosità o per offrire loro degli argomenti di studio e di ricerca” (Divino affilante Spiritu, EB 566). I testi ispirati da Dio sono stati affidati in primo luogo alla comunità dei credenti, alla Chiesa di Cristo, per alimentare la vita di fede e guidare la vita di carità. Il rispetto di questa finalità condiziona la validità e l’efficacia dell’ermeneutica biblica. L’Enciclica Provvidentissimus Deus ha ricordato questa verità fondamentale e ha osservato che, lungi dall’ostacolare la ricerca biblica, il rispetto di questo testo ne favorisce l’autentico progresso. Un’ermeneutica della fede indicata dalla Dei Verbum corrisponde più alla realtà storica di questo specifico testo che non una ermeneutica razionalista, secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana, nella via umana. Secondo tale ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, si deve spiegare da dove viene tale impressione e ridurre tutto all’elemento umano. Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità cioè la realtà degli elementi divini per cui si nega che il Signore abbia istituito la Santa Eucaristia e che la salma di Gesù sarebbe rimasta nella tomba. La resurrezione non sarebbe un avvenimento storico, ma una visione teologica:gli apostoli non testimoni della risurrezione ma creatori di questa fede. Questo avviene perché manca un’ermeneutica della fede: si afferma allora un’ermeneutica filosofica profana che nega la possibilità dell’ingresso e della presenza reale del Divino nella storia, nella via umana.
Essere fedeli alla Chiesa significa collocarsi nella corrente ininterrotta della grande Tradizione che, sotto la guida del Magistero cioè della fede professata, celebrata, vissuta, pregata come il Catechismo e il suo Compendio la propone oggi, ha riconosciuto e riconosce gli scritti canonici come parola rivolta da Dio in continuità al suo popolo e non ha mai cessato e non cessa di meditarli e di scoprirne le inesauribili ricchezze
Il Concilio Vaticano II lo ha ribadito con grande chiarezza: “Tutto quello che concerne il modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la Parola di Dio” (Dei Verbum, 12). Come ricorda la summenzionata Costituzione dogmatica esiste una inscindibile unità tra Sacra Scrittura e Tradizione, poiché entrambe provengono da una stessa fonte: “La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue infatti, scaturendo dalla stessa divina sorgente, formano, in un certo qual modo, una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo; invece la sacra Tradizione trasmette integralmente la Parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito santo agli apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione, (con il loro normativo ministero dell’annuncio), fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo modo la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non solo dalla Sacra Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza” (Dei Verbum, 9). Come sappiamo, questa parola “con pari sentimento di pietà e di riverenza” è stata creata da san Basilio, è poi stata recepita nel Decreto di Graziano, da cui è entrata nel Concilio di Trento e poi nel Vaticano II. Essa esprime proprio questa interpenetrazione tra Scrittura e Tradizione. Soltanto il contesto ecclesiale, soprattutto liturgico, permette alla Sacra Scrittura di essere compresa come autentica Parola di Dio che si fa guida della fede professata e celebrata, norma della fede vissuta e pregata cioè regola per la vita della Chiesa e la crescita spirituale dei credenti. Ciò non impedisce in nessun modo un’interpretazione seria, scientifica, precisa del senso originario delle parole, quali erano intese nel loro luogo e nel loro tempo, ma apre per cogliere nel testo significati che altrimenti sfuggirebbero e inoltre per l’accesso alle dimensioni ulteriori del Cristo, inaccessibili ad un’analisi solo letteraria, che rimane incapace di accogliere in sé il senso globale che nel corso dei secoli ha guidato la Tradizione dell’intero popolo di Dio con il connubio di Scrittura e Magistero.
“Cari Membri della Pontificia Commissione Biblica – ha concluso Benedetto XVI –, desidero concludere il mio intervento formulando a tutti voi i miei personali ringraziamenti e incoraggiamenti. Vi ringrazio cordialmente per l’impegnativo lavoro che compite al servizio della Parola di Dio e della Chiesa mediante la ricerca, l’insegnamento e la pubblicazione dei vostri studi. A ciò aggiungo i miei incoraggiamenti per il cammino che resta ancora da percorrere. In un mondo dove la ricerca scientifica assume sempre maggiore importanza in numerosi campi è indispensabile che la scienza esegetica si situi a un livello adeguato. E’ uno degli aspetti dell’inculturazione della fede che fa parte della missione della Chiesa, in sintonia con l’accoglienza del mistero dell’Incarnazione. Cari fratelli e sorelle, il Signore Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato e divino Maestro che ha aperto lo spirito dei suoi discepoli all’intelligenza delle Scritture (Lc 24,45), vi guidi e vi sostenga nelle vostre riflessioni. La Vergine Maria, modello di docilità e di obbedienza alla Parola di Dio, vi insegni ad accogliere sempre meglio la ricchezza inesauribile della Sacra Scrittura, non soltanto attraverso la ricerca intellettuale, ma anche nella vostra vita di credenti, affinché il vostro lavoro e la vostra azione possano contribuire a fare sempre più risplendere davanti ai fedeli la luce della Sacra Scrittura”.