Universo dove vai?
L'uomo e il cosmo: a confronto l'astrofisico Macchetto e il cardinale MartiniDalla nascita alla fine del nostro sistema solare, dal futuro delle stelle alle galassie
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"Quando il nostro sguardo scandaglia i cieli, penetra non solo nello spazio ma anche nel tempo"
Carlo Maria Martini: Dal tempo allo spazio: stiamo percorrendo un sentiero arduo e, in un certo senso, perturbante. Il suo intervento mi ha ricordato l'esperienza che si può provare durante un'ascensione in montagna: il sentiero e le cime permettono di orientarci, ma quando cala la nebbia non vediamo più nulla, non sappiamo né dove ci troviamo, né quanto impiegheremo a venirne fuori... Può aiutarci a capire perché per ricostruire la storia "indietro" del tempo occorre guardare "lontano" nello spazio?
Macchetto: Le stelle e le galassie, per non parlare del Sole e della Luna, si manifestano a noi per mezzo della radiazione luminosa che esse emettono e che ci perviene dopo aver attraversato spazi per lo più immensi. Ma la luce non viaggia a velocità infinita! Come già Ole Roemer (1644-1710) utilizzando le eclissi dei satelliti di Giove aveva calcolato, e come oggi con le tecniche più sofisticate si può controllare su un tavolo di laboratorio, la velocità della luce (nel vuoto) è di circa 300.000 chilometri al secondo. Ciò comporta che, quando il nostro sguardo si alza verso la Luna, l'immagine che ci appare è per così dire vecchia di un secondo! Nel caso del Sole il "ritardo" è di circa otto minuti, mentre per la stella a noi più vicina, Proxima Centauri, è già di quattro anni.
Il Telescopio Spaziale Hubble ci ha permesso di fotografare galassie il cui segnale è partito otto miliardi di anni fa. Ma dal cosmo non ci provengono soltanto radiazioni a cui il nostro occhio è sensibile, bensì anche raggi X, raggi gamma e radiazione termica. È captando tali radiazioni, le quali costituiscono il residuo fossile dello scoppio iniziale o Big Bang, che siamo riusciti a "fotografare" l'Universo quando era per così dire "appena nato" (300.000 anni). È dunque per questa ragione che, quando il nostro "sguardo" scandaglia i cieli, esso non penetra solo nello spazio, bensì anche nel tempo.
Martini: Dalle sue parole emerge la potenza tecnologica che sottende questo modo di "guardare". Cominciò Galileo con il suo "tubo ottico", e questi grandi apparati d'oggi non ne sono che l'ideale prolungamento. Le chiedo come possiamo essere sicuri che il tempo davvero scorra in una sola direzione.
Macchetto: L'esistenza di una direzione privilegiata per il tempo in fisica, e conseguentemente in chimica, biologia e psicologia, è strettamente legata alle condizioni iniziali dell'Universo. Si noti, però, che le leggi della fisica sono simmetriche rispetto al segno del tempo e in linea di principio non distinguono tra tempo positivo e tempo negativo. Ma sperimentalmente constatiamo che il tempo può solo "andare avanti".
Martini: Perché non interrogarsi allora sulle ragioni per cui esiste simmetria nello spazio, ma non nel tempo?
Macchetto: Le ragioni dell'asimmetria temporale vanno ricercate nel secondo principio della termodinamica. Cerco di spiegarmi: questo principio afferma che l'entropia, cioè il disordine, di un qualsiasi sistema, come lo stesso Universo nel suo insieme, può solo aumentare. La teoria quantistica della gravità predice che l'Universo abbia avuto inizio in uno stato in cui non aveva limiti, angoli o singolarità, ed era ordinato e uniforme. In questo scenario, l'inizio del tempo coincide con un punto "liscio" o privo di spigoli dello spazio-tempo; l'universo deve cominciare la sua espansione, allora, in uno stato caratterizzato da ordine e uniformità.
Dunque, l'esistenza di uno stato iniziale dove l'Universo si trovava in una condizione di massimo ordine, stato al quale segue una fase di espansione, implica che il disordine dell'Universo non possa che crescere con il tempo. Ciò significa che il tempo stesso non è reversibile.
Martini: Sembra che tra gli uomini di scienza ci sia un certo accordo circa l'affermazione che il tempo abbia un'origine. Ma se c'è un'origine del tempo, non è possibile allora una sua contabilità assoluta?
Macchetto: Di fatto, se usiamo il nostro tempo per misurare l'Universo incontriamo varie difficoltà. Esse non dipendono direttamente dalla relatività, bensì dalla circostanza che non siamo ancora in grado di misurare con la precisione adeguata la velocità d'espansione dell'universo. Forse vi riusciremo nei prossimi anni grazie ai nuovi grandi telescopi e all'affinamento dei metodi di misura. La forma del tempo nel nostro Universo, quel tempo che possiamo misurare anche se il nostro Universo può essere parte di un Multiverso, è del tipo provvisto di inizio - dove questa espressione va presa in un'accezione piuttosto relativa.
Martini: Ma se in senso proprio sembra poterci non essere un inizio, che ne è di un'eventuale fine del tempo?
Macchetto: Ricordiamoci dei vari modelli di Fridman. Se il nostro è un universo che prima si espande e poi collassa su se stesso, lo spazio finisce e così pure il tempo. Se invece continua a espandersi, e come sembrerebbe da alcune delle ultime evidenze sperimentali, con moto accelerato, lo spazio cresce all'infinito e anche il tempo sarà infinito.
Martini: Ciò dovrebbe valere soprattutto per una disciplina così impegnativa come la cosmologia...
Macchetto: Certamente, La cosmologia studia un insieme globale che noi chiamiamo "universo". E qui si annida una profonda questione filosofica. Non possiamo alterare quelle condizioni iniziali, anche se possiamo pensare che esse siano contingenti, cioè esprimiamo proprietà dell'Universo (o almeno di quella parte che possiamo osservare), piuttosto che costituire premesse necessarie per la sua esistenza. Da ciò segue il carattere peculiare della cosmologia. In tutte le altre discipline fisiche è sempre possibile reiterare gli esperimenti, almeno in linea di principio.
Ma non è così per quell'unico esperimento (del Creatore) che è l'Universo. Noi non possiamo ricreare l'Universo. In altre parole, non possiamo fare quello che tutti gli esperimenti fisici debbono per forza fare per controllare una teoria. Inoltre, non possiamo confrontare sperimentalmente questo Universo con "oggetti simili", né possiamo stabilire leggi del nostro Universo che si possano applicare a "oggetti simili". E infine, non avrebbe alcun senso ricorrere al tradizionale approccio della statistica per un oggetto singolo...
Martini: In questo modo lei riprende un classico argomento filosofico, quello della contingenza. In altri termini, perché l'Universo ha una forma piuttosto che un'altra, se tutte sono altrettanto possibili? A mio avviso il problema si porrebbe anche se accettassimo l'esistenza di un insieme di universi, perché, in tal caso, ci dovremmo ancora chiedere per quale ragione esiste un Multiverso...
Macchetto: Qui le risposte del fisico sbiadiscono. Inevitabilmente la discussione del problema dell'origine in cosmologia ci conduce a questioni autenticamente metafisiche, come riconoscono anche i cosmologi più avveduti. Più ci avviciniamo all'istante della formazione del nostro Universo, o addirittura più ci rompiamo la testa su che cosa c'era "prima", più le nostre conclusioni dipendono dalle nostre opzioni in filosofia. Sarebbe utopico pretendere di arrivare a una teoria univoca. E non sarebbe forse nemmeno auspicabile.