Il “Caso Alagoinha” 13 – Viene eseguito l’aborto sulla bambina
Quelli che hanno eseguito l'aborto non temevano l'arcivescovo e nemmeno la stampa, ma temevano la presenza del padre della bambina e del suo rappresentante legale, con i quali, se fossero stati presenti, non avrebbero più potuto far apparire al pubblico come legale ciò che in realtà non era affatto legale- Autore:
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Nelle prime ore di mercoledì 4 marzo 2009 il Consiglio Tutelare di Alagoinha e il gruppo di assistenza giuridica dell'Arcidiocesi avevano individuato il luogo in cui si trovava la minorenne con la madre. Erano nel CISAM, noto anche come la Maternità del Crocevia (Maternidade da Encruzilhada), un altro centro di riferimento per l'aborto legale a Recife. Ma quando fu contattato dal Consiglio Tutelare e dai rappresentanti legali del padre della bambina, l'ospedale negò che madre e figlia fossero ricoverate nell’edificio.
Era circa mezzogiorno quando i due aborti erano già stati consumati. Fu solo allora che la notizia fu annunciata pubblicamente. L'induzione dell'aborto era cominciata la notte precedente, poco dopo la dimissione dall'IMIP. La rapidità con la quale l'aborto era stato avviato, a differenza dei procedimenti che gli ospedali di aborto legale usualmente adottano nei casi di gravidanza di minorenni, quando sono realizzati preliminarmente diversi esami, fa presumere che l'IMIP non si fosse limitato, come aveva dichiarato pubblicamente, a compiere solo il dovere di consentire la dimissione dietro richiesta della madre, ma avesse anche fornito tutti i dati clinici della bambina perché l'aborto fosse consumato il più presto possibile, prima che il luogo del ricovero della vittima fosse scoperto, cosa che di fatto avvenne. La clandestinità con la quale è stato fatto questo aborto mostra che quelli che lo hanno realizzato sapevano di compiere un atto illegale, che poteva essere bloccato dalla giustizia. Al contrario di ciò che la stampa vuole far credere, per impedire che il pubblico capisca che cosa è realmente accaduto, quelli che hanno eseguito l'aborto non temevano l'arcivescovo e nemmeno la stampa, ma temevano la presenza del padre della bambina e del suo rappresentante legale, con i quali, se fossero stati presenti, non avrebbero più potuto far apparire al pubblico come legale ciò che in realtà non era affatto legale. Il mercoledì mattina, verso le 9, il primo feto fu espulso. Due ore e mezza dopo, quando fu espulso il secondo feto, l'aborto si compì del tutto. Secondo quanto riportato dal “Diário di Pernambuco”, l'interruzione di gravidanza fu effettuata con l'appoggio di organizzazioni non governative di protezione della donna, come l’SOS Corpo e il Gruppo Curumim. Dopo che tutto era già consumato, il coinvolgimento di questi gruppi fu ammesso pubblicamente alla stampa dagli stessi direttori di questi organizzazioni. Colpisce l’attenzione, nelle dichiarazioni rese da questi rappresentanti, il senso di urgenza assolutamente improrogabile dei procedimenti di aborto, che in realtà non esisteva:
" 'La madre e la bambina sono disperate. E questo è un procedimento medico che non si può mettere in questione. È previsto dalla legge. Giacché l'IMIP ritardava l’inizio dei procedimenti, siamo arrivati alla decisione di orientare la madre a ritirarsi da quell'ospedale', ha detto Paula Viana, della Rete Femminista della Salute e dell'organizzazione Curumim".
http://www.diariodepernambuco.com.br/2009/03/04/urbana1_0.asp
"La coordinatrice del Curumim, Paula Viana, ha dichiarato che non c'era più tempo da aspettare: 'Ogni giorno che passava, il rischio era maggiore, la bambina si sentiva male e respirava anche con difficoltà."
http://www.diariodepernambuco.com.br/2009/03/05/urbana1_0.asp
Ma la madre e la bambina non erano disperate. Tutti coloro che le avevano viste fino a due giorni prima, il lunedì, testimoniano che la ragazza stava bene e giocava con allegria. Il direttore dell'IMIP e poi lo stesso IMIP hanno dichiarato che non c'era rischio imminente di vita. Ogni anno in Brasile trentamila ragazze al di sotto dei 14 anni restano incinte e partoriscono, e non vi è un solo dato registrato nel DataSUS o in qualsiasi altra fonte, che qualche minorenne minore di 14 anni sia morta a causa di una gravidanza dopo aver avuto la possibilità di ricevere un accompagnamento prenatale e un parto cesareo.
Occorre dunque porsi questa domanda: perché si mente così, di proposito, per portare genitori che sono contro l'aborto e, nel caso del padre di questa bambina, un genitore che è anche radicalmente contro l'aborto, alla disperazione per consentire che i medici eseguano gli aborti? Perché è proprio questo che hanno fatto con il signor Erivaldo e poi, quando lui ha scoperto la verità, gli hanno negato l'accesso alla propria figlia in modo che non potesse più evitare l'aborto. Tutto indica che hanno fatto lo stesso con la madre, che dal lunedì era praticamente isolata dal mondo esterno. Ma, naturalmente, non era isolata dalle organizzazioni non governative che promuovono l'aborto. Per qualche motivo, queste organizzazioni erano trattate come eccezioni.
Le dichiarazioni dei rappresentanti delle organizzazioni femministe mostrano che ciò che è accaduto non è stato che la madre della ragazza abbia capito chiaramente che la sua figlia NON sarebbe morta e, avendo capito bene che essa NON sarebbe morta, potendo liberamente decidere se praticare o no l'aborto, abbia tranquillamente scelto l'aborto come sua decisione personale. Piuttosto è successo tutto il contrario. Paula Viana del Gruppo Curumim lo dice chiaramente: "LA MADRE E LA BAMBINA SONO DISPERATE", e questo fu il motivo per il quale hanno deciso per l'aborto. In questa storia ci sono elementi più che sufficienti per sospettare che, così come hanno fatto con il signor Erivaldo, lo stesso hanno fatto anche con la madre della bambina.