Il calendario dell'1 Ottobre

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 331 a.C. - Alessandro Magno sconfigge Dario III di Persia nella battaglia di Gaugamela, detta anche battaglia di Arbela.

▪ 1774 - Viene costituita dal Re di Sardegna, Vittorio Amedeo III, la Legione delle Truppe Leggere, corpo militare dal quale discende direttamente la Guardia di Finanza.

▪ 1791 - Prima sessione dell'assemblea legislativa francese.

▪ 1795 - Il Belgio viene conquistato dalla Francia.

▪ 1800 - La Spagna cede la Louisiana alla Francia con il trattato di San Ildefonso.

▪ 1811 - La prima nave a vapore del Mississippi arriva a New Orleans.

▪ 1818 - Comincia il Congresso di Aquisgrana.

▪ 1869 - L'Austria emette la prima cartolina postale.

▪ 1880 - Thomas Edison apre la prima fabbrica di lampadine.

▪ 1887 - Il Belucistan viene conquistato dall'Impero britannico.

▪ 1890 - Il Congresso degli Stati Uniti fonda il Yosemite National Park.

▪ 1891 - In California viene inaugurata l'Università di Stanford.

▪ 1898 - Lo Zar Nicola II espelle gli Ebrei dalle principali città russe.

▪ 1906 - Nasce la Confederazione Generale del Lavoro.

▪ 1918 - Forze arabe guidate da Lawrence d'Arabia conquistano Damasco.

▪ 1928 - L'Unione Sovietica introduce il Piano quinquennale.

▪ 1929 - L'Unione Sovietica introduce il Calendario rivoluzionario.

▪ 1931 - Il George Washington Bridge collega New Jersey e New York.

▪ 1936 - Francisco Franco viene nominato capo del governo nazionalista in Spagna.

▪ 1938 - La Germania si annette i Sudeti.

▪ 1943 - Seconda guerra mondiale: Napoli viene occupata dai soldati Alleati.

▪ 1946 - I principali esponenti del Nazismo vengono condannati al Processo di Norimberga.

▪ 1949 - Mao Zedong dichiara la costituzione della Repubblica Popolare Cinese.

▪ 1958 - La NASA viene creata per sostituire la NACA.

▪ 1960 - La Nigeria ottiene l'indipendenza dal Regno Unito.

▪ 1961 - Il Camerun orientale e quello occidentale si uniscono a formare la Repubblica Federale del Camerun.

▪ 1964

  1. - Il Free Speech Movement viene lanciato dal campus dell'Università di Berkeley.
  2. - Lo Shinkansen, primo treno ad alta velocità giapponese, inizia il servizio tra Tokyo e Osaka.

▪ 1965 - Suharto reprime un tentativo di colpo di stato in Indonesia.

▪ 1969 - Il Concorde infrange la barriera del suono per la prima volta.

▪ 1971 - Il Walt Disney World Resort apre ad Orlando, in Florida.

▪ 1977 - La stella del calcio brasiliano Pelé si ritira.

▪ 1979 - Gli Stati Uniti restituiscono la sovranità sul Canale di Panama a Panama.

▪ 1982
  1. - L'Epcot Center apre a Walt Disney World Resort.
  2. - Helmut Kohl sostituisce Helmut Schmidt come Cancelliere tedesco, attraverso un voto di sfiducia costruttiva.

▪ 1985 - Le forze aeree israeliane bombardano il quartier generale dell'OLP a Tunisi.

▪ 1998 - Vladimir Putin diventa un membro permanente del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa.

▪ 2005 - Un attacco terroristico a Bali uccide 19 persone.

▪ 2009 - Un violento nubrifragio colpisce la Sicilia, soprattutto nelle città di Messina e Palermo, con decine di morti e di dispersi. Proclamato lo stato d'emergenza.

Anniversari

* 1499 - Marsilio Ficino (Figline Valdarno, 19 ottobre 1433 – Careggi, 1° ottobre 1499) è stato un filosofo e umanista italiano.

«Ai tempi nostri la divina Provvidenza ama far poggiare la religione sull'autorità razionale della filosofia, fin quando al tempo stabilito, come ha già fatto una volta, la confermerà ovunque con i miracoli. Per ispirazione quindi della Provvidenza abbiamo interpretato il divino Platone e il grande Plotino.» (Marsilio Ficino, Introduzione alle Enneadi)

Nato dal medico personale di Cosimo il Vecchio Diotifeci e da Alessandra di Nanoccio, studia a Firenze sotto Luca de Bernardi e Comando Comandi e apprende le prime nozioni di greco da Francesco da Castiglione, mentre è da smentire la notizia riportata nella Vita Ficini di Giovanni Corsi, scritta del 1506, che sia stato allievo del Platina.
Il suo primo maestro di filosofia è il folignate Niccolò Tignosi, medico aristotelico autore di un De Anima e di un De ideis. Conseguenza di questi insegnamenti è la sua Summa philosophiae, un gruppo di scritti in latino dedicati a Michele Mercati intorno al 1454 in cui il Ficino tratta di fisica, di logica, di Dio e di aliae multae questiones. Nella dedica all'amico scrive di volerlo introdurre «a quegli studi che devono impegnare la nostra età, secondo la regola del nostro Platone».
Studia Epicuro e Lucrezio, scrivendo intorno al 1457 i Commentariola in Lucretium, che distruggerà nel 1492, il De voluptate ad Antonium Calisianum, il De virtutibus moralibus e il De quattuor sectis philosophorum, dove tratta di questioni morali e dell'anima riportando opinioni platoniche, aristoteliche, epicuree e stoiche, exercendae memoriae gratia, come esercitazione mnemonica e senza pretese sistematiche.
Nel 1456 scrive vari libri di Institutionum ad platonicam disciplinam, perduti, tratti da fonti latine e per questo motivo trascurati per la sentita esigenza di abbeverarsi alla diretta fonte greca. Sembra che il suo interesse al platonismo abbia indotto l'arcivescovo fiorentino Antonino, preoccupato di possibili deviazioni del Ficino verso eresie platoniche, a consigliargli di studiare sia medicina a Bologna che l'opera di Tommaso d'Aquino. Ma la permanenza a Bologna dal 1457 al 1458, testimoniata da Zanobi Acciaiuoli, non è documentata e resta certo l'ininterrotto interesse per la filosofia platonica e neo-platonica.

L'Accademia e la «pia filosofia»
Intorno al 1460 traduce Alcinoo, Speusippo, i versi attribuiti a Pitagora e l'Assioco attribuito a Senocrate. Tradotti gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la Teogonìa di Esiodo, riceve in dono da Cosimo de' Medici un codice platonico e una villa a Careggi, che diverrà nel 1459 sede della nuova Accademia Platonica, fondata dallo stesso Ficino per volere di Cosimo, con il compito di studiare le opere di Platone e dei platonici, al fine di promuoverne la diffusione. Qui inizia la traduzione, nell'aprile del 1463, dei Libri ermetici (Corpus hermeticum), portati in Italia dalla Macedonia da Leonardo da Pistoia; la sua opera di traduzione avrà un notevole influsso nel pensiero rinascimentale. Il Ficino vede in quella sapienza antica la presenza di una rivelazione, di una pia philosophia che si è attuata nel Cristianesimo ma della quale l'umanità di tutti i tempi era sempre stata partecipe. Nella dedica a Cosimo, scrive che Ermete Trismegisto «per primo disputò con grandissima sapienza della maestà divina, della gerarchia degli spiriti» (daemonum ordine), «della trasmigrazione delle anime. Per primo fu chiamato teologo: lo seguì, secondo teologo, Orfeo, poi Aglaofemo, Pitagora e Filolao, maestro del nostro divino Platone».
Esiste dunque, secondo Ficino, una concorde e antica tradizione teologica, una priscae theologiae undique sibi consona secta, che nasce con Ermete e culmina con Platone. La «pia filosofia», antitetica alle correnti di pensiero atee e materialiste, si propone di sottrarre l'anima dagli inganni dei sensi e della fantasia per elevarla alla mente; questa percepisce la verità, l'ordine di tutte le cose, sia esistenti in Dio che emanate da Lui, grazie all'illuminazione divina, affinché l'uomo, tornato fra i suoi simili, possa renderli partecipi delle verità rivelategli dalla fonte divina (divino numine revelata).
La sua traduzione latina del Corpus hermeticum, già tradotta in volgare nel 1463 da Tommaso Benci, viene stampata nel 1471; nel 1463 inizia la traduzione latina dei dialoghi platonici, conclusa forse nel 1468, e vi aggiunge nel tempo i suoi commenti: intorno al 1474 quelli al Filebo, al Fedro e al Convivio (tradotto anche in italiano), nel 1484 al Timeo, e nel 1494 al Parmenide.

Teologia platonica e altri lavori
Dal 1469 al 1474 stende l'opera più importante, i diciotto libri della Theologia platonica de immortalitate animarum, dedicata a Lorenzo de' Medici. Dopo aver preso i voti sacerdotali il 18 dicembre 1473, compone la Religione cristiana, in italiano, di cui darà poi la versione latina nella De christiana religione. Dal 1475 al 1476 scrive la Disputatio contra iudicium astrologorum e nel 1481 viene dato alle stampe il suo Consiglio contro la pestilenza, dopo il flagello dell'epidemia del 1478.
Nel 1484 inizia la traduzione delle Enneadi di Plotino e dal 1488 al 1493 traduce le opere di Giamblico, Proclo, Prisciano, Porfirio, Sinesio, Teofrasto, Michele Psello, la Mistica teologia e i Nomi divini dello Pseudo-Dionigi, e i frammenti di Atenagora di Atene: con questo ampio corpus platonico il Ficino persegue la sua teorizzazione della continuità della tradizione teologica da Ermete ai platonici prolungatasi attraverso Dionigi Areopagita, Agostino, Apuleio, Boezio, Macrobio, Avicebron, Al-Farabi, Avicenna, Duns Scoto, Bessarione e il Cusano.
I tre libri del De vita, usciti nel 1489, gli procurano accuse di magia dalle quali si difende con un’Apologia; nel 1495 pubblica dodici libri di Epistulae che comprendono anche opuscoli scritti dal 1476 al 1491, come il De furore divino, la Laus philosophiae, il De raptu Pauli, le Quinque claves Platonicae sapientiae, il De vita Platonis, i De laudibus philosophiae, l’Orphica comparatio Solis ad Deum, la Concordia Mosis et Platonis, gli Apologi de voluptate quattuor.
Lascia incompiuto un Commento a San Paolo per la morte sopraggiunta a sessantasei anni, nel 1499. È sepolto nel duomo di Santa Maria del Fiore, dove un monumento lo celebra come il maggior filosofo fiorentino.

La dottrina
È noto come Aristotele concepisca l'essere umano come sinolo, insieme indissolubile di materia e forma, di corpo e anima, cosicché il suo principale commentatore dell’antichità Alessandro di Afrodisia poteva ben dedurne esplicitamente la mortalità dell’anima contemporanea a quella del corpo. Al contrario, Platone aveva già distinto le due sostanze, concedendo all’anima una vita separata e indipendente dal destino del corpo.
A questa concezione aderisce Ficino, che in polemica contro Aristotele esalta la dottrina platonica, al punto da interpretarla come una forma di religiosità propedeutica alla fede cristiana. La sua Theologia platonica o De immortalitate animarum si apre dunque con un
«Liberiamoci in fretta, spiriti celesti desiderosi della patria celeste, dai lacci delle cose terrene, per volare con ali platoniche e con la guida di Dio, alla sede celeste dove contempleremo beati l’eccellenza del genere nostro.»
Per comprendere la sostanza dell’anima è necessario comprendere la struttura dell’universo alla cui base, ossia al grado inferiore, è la materia, concepita, seguendo Averroè, come pura quantità: «la materia non ha di per sé nessuna forza che possa produrre le forme», diversamente da chi, come Avicebron, la concepisce come «sostanza produttrice di forme, fonte piuttosto che soggetto delle forme».
È la qualità il principio formale che dà sostanza alle realtà corporee, grazie a «una sostanza incorporea che penetra attraverso i corpi, della quale sono strumento le qualità corporee»: questa sostanza incorporea è l’anima «che genera la vita e il senso della vita anche dal fango non vivente».
Al di sopra delle anime sono gli angeli: «Sopra quelli intelletti che alli corpi s’accostano, cioè l’anime ragionevoli, non è dubbio che sono assai menti, dal commercio dei corpi al tutto divise»; e se l’intelletto dell’anima «è mobile e parte interrotto e dubbio», l’intelletto angelico è «stabile tutto, continuo e certissimo».
Al di sopra del tutto è Dio, che è unità, bontà e verità assoluta, fonte di ogni verità e di ogni vita, è atto e vita assoluta: «Dove un continuo atto e una continua vita dura, quivi è un immenso lume d’una assolatissima intelligenza» che è luce per gli uomini perché si riflette in tutte le cose. Attraverso Dio «tutte le cose son fatte, e però Iddio si trova in tutte le cose e tutte le cose si veggono in lui... Iddio è principio, perché da lui ogni cosa procede; Iddio è fine, perché a lui ogni cosa ritorna, Iddio è vita e intelligenza, perché per lui vivono le anime e le menti intendono».
Dio e materia rappresentano i due estremi della natura, e la funzione dell'anima, che è, diversamente da Aristotele e da Tommaso, realtà in sé e non solamente forma del corpo, è quella di incarnarsi per riunire lo spirito e la corporeità:

«[L'anima] … è tale da cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori... per istinto naturale, sale in alto e scende in basso. E quando sale, non lascia ciò che sta in basso e quando scende, non abbandona le cose sublimi; infatti, se abbandonasse un estremo, scivolerebbe verso l'altro e non sarebbe più la copula del mondo.»

La "copula mundi" è l'anima razionale che «ha sede nella terza essenza, possiede la regione mediana della natura» (obtinet naturae mediam regionem) «e tutto connette in unità». La sua opera unificatrice è resa possibile dall'amore, inteso come movimento circolare attraverso il quale Dio si disperde nel mondo a causa della sua bontà infinita, per poi produrre nuovamente negli uomini il desiderio di ricongiungersi a Lui. L'amore di cui parla Ficino è l'eros di Platone, che per l'antico filosofo greco svolgeva appunto la funzione di tramite fra il mondo sensibile e quello intellegibile, ma Ficino lo intende anche in un senso cristiano perché, a differenza di quello platonico, l'amore per lui non è solo attributo dell'uomo ma anche di Dio.
Lo stesso Platone viene interpretato in una chiave di lettura che oggi definiamo piuttosto neoplatonica, sebbene Ficino non faccia distinzione tra platonismo e neoplatonismo. Per lui esiste una sola filosofia, che consiste nella riflessione su quelle verità eterne, le Idee, che in quanto tali restano inalterate nel tempo e trascendono la storia. Congiungendo tutti i campi del reale secondo una concezione propria peraltro dell'astrologia e della magia, a cui Ficino rivolge notevoli interessi in virtù dell'unione vitale del mondo da essi presupposta, filosofia e religione si fondono così in una visione d'insieme di reciproca complementarietà, sottolineata anche nell'accostamento di termini come «pia philosophia», o «teologia platonica». Strumento dell'amore nel suo farsi portavoce dell'Uno è principalmente la Bellezza.

* 1684 - Pierre Corneille (Rouen, 6 giugno 1606 – Parigi, 1º ottobre 1684) è stato un drammaturgo e scrittore francese, uno dei tre maggiori del XVII secolo, insieme con Molière e Racine.
Nasce a Rouen da una ricca famiglia borghese. Da giovane studia presso il collegio gesuita di Rouen e si appassiona subito allo studio degli stoici latini, mostrando spiccato interesse per Seneca.
Ottiene la laurea in diritto e diviene avvocato presso il parlamento di Rouen, ma la sua risaputa timidezza lo porta ben presto a preferire la letteratura e il teatro. Fino al 1650 porta comunque avanti entrambi i mestieri.

Gli esordi (la commedia)
Gli inizi della carriera teatrale sono caratterizzati da un esclusivo impegno nella commedia, in particolare nella cosiddetta "commedia eroica". Nel 1629, il primo e il più intricato dei suoi drammi, Mélite, è rappresentato a Parigi con successo. Seguono la tragedia Clitandre (stagione 1630-1631), La vedova (stagione 1631-1632, La galleria del palazzo, (stagione 1632-1633), La serva (stagione 1633-1634) e La Place Royale (stagione 1633-1634), quasi tutti scritti per la compagnia del celeberrimo attore Montdory.

Le tragedie
La stagione 1634-1635 segna anche un grande cambiamento nel teatro francese, con la rappresentazione della Sophonisbe di Jean Mairet, che incontra un successo trionfale e rilancia il genere tragico sulle scene francesi. Sicché anche Corneille, dopo essere stato inserito (1635) dal cardinale di Richelieu nella società dei cinque autori incaricati di fornire opere teatrali su commissione, esordisce nel genere tragico con Medea, dello stesso anno; non tralascia però la commedia, nella quale si prova nuovamente con L'illusione comica (stagione 1635-1636), uno dei suoi capolavori.

Il "Cid"
Le Cid, rappresentato all'inizio del 1637, ritenuto tuttora il suo capolavoro assoluto, lo consacra maggior poeta di teatro del suo tempo, prestigio in cui durerà, con intermittenze, non oltre il 1670, anno in cui comincia l'ascesa di Racine. Il re Luigi XIII lo premia con un titolo nobiliare.
Ma il successo non è affatto incontrastato: le novità dell'opera dispiacciono, e scoppia una polemica (La querelle du Cid), nel corso della quale Georges de Scudéry, uno dei suoi rivali più titolati, lo accusa di plagio e d'inverosimiglianza («Non è per nulla verosimile che una fanciulla sposi l'assassino di suo padre»), mentre lo stesso Mairet gli si scaglia contro con diversi libelli, in cui in particolare lo accusa di non aver rispettato le tre unità di Aristotele. Corneille risponde a propria volta con diversi libelli, tra cui l'Avvertimento al besanzonese Mairet (Advertissement au Besançonnois Mairet, 1637).
Per intervento del cardinale di Richelieu, l'Académie Française, istituita nel 1635, si pronuncia con un Giudizio (Jugement, dicembre 1637), nel quale tuttavia si dà sostanzialmente torto a Corneille, che risente fortemente del colpo.
Negli anni a venire la sua produzione continua, copiosa e spesso coronata da successo. In campo tragico sono da citare Orazio, ispirato alla storia romana (1640), Cinna (probabilmente nella stagione 1640-1641) e la tragedia cristiana Poliuto (stagione 1641-1642): con il Cid formano una sorta di "tetralogia", nella quale è esaltata la volontà, incarnata dall'eroe che non arretra di fronte al sacrificio di sé, come valore massimo.
La sua carriera drammatica lo vede impegnato in diversi generi: commedia, commedia eroica e tragedia; nel tempo cerca anche di rinnovarsi, ma il suo teatro rimane come diviso tra una produzione eroica fortemente tragica, in cui è invariabilmente esaltato il libero arbitrio e in cui anche i personaggi negativi, purché diano prova di energia, sono visti con simpatia, e una produzione comica in cui possono esprimersi più liberamente le tendenze centrifughe, sperimentali, stravaganti della sua arte, che in àmbito comico ha moltissimi punti di contatto con il Barocco letterario europeo. Nel suo trattato intitolato Discours (1660), spiega la sua innovativa concezione del tragico: se per gli autori classici il dramma consiste, prevalentemente, nel conflitto tra l'uomo e le divinità, per Corneille deve essere collocato all'interno dell'individuo e quindi del personaggio che lo rappresenta, tormentato dal contrasto fra la coscienza e la volontà. Quindi il teatro di Corneille trascura parzialmente sia l'intreccio sia il testo a favore dell'azione dell'uomo visto come un eroe, spesso vincente. Corneille presenta l'uomo come dovrebbe essere, ossia attivo, propositivo, energico e teso a perseguire ciò che è da lui considerato moralmente il bene.
Nel 1640 si sposa e decide di stabilirsi nella natia Rouen pur facendo numerosi soggiorni a Parigi. La sua carriera di drammaturgo intanto continua e, nel 1647, viene ammesso all'Académie française.
Una delle sue migliori commedie, Le Menteur (Il bugiardo), scritta nel 1643, influenzerà Goldoni e Molière. Seguono molte tragedie, tra cui Rodoguna (1644) e Nicomede (1650), entrambe coronate da successo; mentre il pur pregevole Bertarido (1651-1652), evidentemente troppo inatteso, cade.

Gli ultimi anni: declino e morte
Comincia il lento declino delle sue fortune presso la corte; sono anche gli anni duri e inquieti della Fronda. Abbandona momentaneamente il teatro e si consacra alla riflessione sulla sua arte e sul sistema teatrale, dando vita a tre Discorsi. Una sua traduzione dell'Imitazione di Cristo ha grande successo.
La sua vecchiaia è triste e si ritrova in difficoltà economiche nonostante Luigi XIV faccia rappresentare molto spesso i suoi drammi più famosi.
Proprio in quegli anni si impongono i lavori di Molière, inizialmente non graditi a Corneille, che si spinse in una dura polemica denominata querelle de l'Ecole des femmes. Col passare degli anni i due artisti instaurano un buon rapporto amichevole, culminato con la collaborazione a tre, assieme a Philippe Quinault, per un pregevole opera come risulta difatti Psyché.
Nel 1659 il ministro delle Finanze, Nicolas Fouquet, lo sovviene economicamente esortandolo a tornare al teatro. Corneille obbedisce, con forze ed entusiasmo disperato, con Edipo (1659), che segna l'inizio della sua ultima maniera, caratterizzata da un'eloquenza sempre più pomposa, da una messinscena sempre più macchinosa, e da un'amara considerazione della vita; gli eroi dell'ultima decina di tragedie che dà alle scene, tra cui Sertorio (1662) e Surena (1674), sono attempati e spesso angosciati di fronte al destino avverso.
Nel 1670 si trova a confrontarsi direttamente con il giovane Racine, la cui Berenice oscura il suo Tito e Berenice. La frustrazione e la rabbia con cui vede ascendere l'astro del classicismo francese, il sempre minor prestigio di cui godono le sue opere, appesantite da una retorica elaborata e sfarzosa, dalle immagini spesso tirate, a differenza di quella pura e perfettamente decantata del giovane rivale, gli avvelenano gli ultimi anni di vita.
Muore a Parigi il 1º ottobre 1684.
Se durante il XVIII secolo Corneille viene un po' trascurato, messo in ombra da Racine, i romantici lo rivalutano per una maggiore affinità.

* 1911 - Wilhelm Dilthey (Wiesbaden nel sobborgo di Biebrich, 19 novembre 1833 – Siusi allo Sciliar, 1 ottobre 1911) è stato un filosofo e psicologo tedesco, rappresentante principale di un indirizzo filosofico post-hegeliano della seconda metà del XIX e inizio del XX secolo, che cerca di adoperare le categorie trascendentali di Kant nei campi delle scienze dello spirito, ossia delle scienze umane, Geisteswissenschaften, nonché delle scienze storiche compiendo una Critica della ragione storica, aprendo anche la strada di una «filosofia delle visioni del mondo» Weltanschauungsphilosophie, cioè una critica storica della ragione.

Pensiero e opere
È stato il fondatore dello storicismo tedesco. Nella sua prima opera "Introduzione alle scienze dello spirito" delineò le differenze dell'oggetto di indagine delle scienze dello spirito rispetto a quello delle scienze naturali.
Riafferma l'importanza della storicità nella scoperta dell'influenza delle cause sociali sulla formazione dell'uomo e del mondo, e sostiene il primato e l'autonomia dei fatti nella storia.
Diversamente dalle scienze naturali, che tendono a rivelare le uniformità del mondo grazie al loro oggetto che è esterno all'uomo e viene compreso attraverso la spiegazione di un fenomeno, le scienze dello spirito tendono a vedere l'universale nel particolare indagando all'interno dell'uomo, esse comprendono un fenomeno.
Nell'opera "Il contributo allo studio dell'individualità", Dilthey definisce che l'oggetto del comprendere è l'individualità, che viene studiata attraverso l'utilizzo dei tipi e delle loro relazioni interne.
Negli "Studi per la fondazione delle scienze dello spirito" e nella "Costruzione del mondo storico" lo stesso Dilthey afferma:
«Il comprendere è il ritrovamento dell'io nel tu; lo spirito si trova in gradi sempre superiori di connessione; questa identità dello spirito nell'io, nel tu, in ogni soggetto di una comunità, in ogni sistema di cultura e infine nella totalità dello spirito e nella storia universale, rende possibile la collaborazione delle diverse operazioni nelle scienze dello spirito. Il soggetto del sapere è qui identico al suo oggetto e questo è il medesimo in tutti i gradi della sua oggettivazione»(Costruzione del mondo storico p.191)
I pilastri della ragione storica sono la vita del singolo individuo rapportata con gli altri soggetti, la connessione dinamica o strutturale (istituzioni, civiltà, epoche), l'autocentralità di ogni struttura.
Nella "Essenza della filosofia" l'autore sostiene che la filosofia deve affrontare i misteri del mondo e della vita oltreché arrivare a conclusioni universali. La filosofia si può definire una intuizione del mondo, avente alcune basi in comune con l'arte e con la religione; quando la sua validità è universale, allora si può definire metafisica. Tre sono i modelli di intuizione del mondo: il primo è il realismo, di cui fa parte il positivismo, il secondo è l'idealismo oggettivo, il terzo è l'idealismo della libertà. La funzione universale della filosofia è quella di fissare la condizione dell'uomo di fronte al mondo e di interpretare le cause delle limitatezze umane.
Le opere e il pensiero dello storico tedesco furono diffuse in Francia dal suo più fedele interprete, il filosofo e storico naturalizzato francese Bernard Groethuysen.

* 1959 - Enrico de Nicola (Napoli, 9 novembre 1877 – Torre del Greco, 1º ottobre 1959) è stato un politico e avvocato italiano, primo Presidente della Repubblica Italiana.
Fu eletto Capo provvisorio dello Stato dall'Assemblea Costituente e dal 1º gennaio 1948, a norma della prima disposizione transitoria della Costituzione, assunse titolo ed attribuzioni del Presidente della Repubblica. Precedentemente era stato Presidente della Camera dei deputati dal 26 giugno 1920 al 25 gennaio 1924.
De Nicola, inoltre, è l'unico ad aver ricoperto sia la carica di Presidente del Senato sia quella di Presidente della Camera dei deputati. Nella sua vita ricoprì anche la carica di Presidente della Repubblica e Presidente della Corte Costituzionale, trovandosi così ad esser stato a capo di 4 delle 5 cariche dello Stato.

* 1968 - Romano Guardini (Verona, 17 febbraio 1885 – Monaco di Baviera, 1º ottobre 1968) è stato un presbitero, teologo e scrittore italiano naturalizzato tedesco, cattolico.

Profilo di Romano Guardini
di Fabrizio Gualco - 1 giugno 2000

Guardini, uno dei pensatori più importanti del Novecento, attinge dal Cristianesimo energie preziose, che diventano l'humus costante della sua vita e della sue opere. La sua ricerca abbraccia l'ambito della teologia, della filosofia, della letteratura e persino dell'estetica. I suoi scritti hanno come comune denominatore la meditazione del Mistero di Dio e la figura di Gesù Cristo come vera ed unica essenza del Cristianesimo: la teologia di Guardini, parafrasando H. U. von Balthasar, si potrebbe dire che l'opera complessiva di Guardini non è uncorpus di studi redatto a "tavolino", bensì "in ginocchio", al cui interno gli intenti storico-filologici tanto cari a studiosi come Bultmann, passano in secondo piano rispetto a quelli mistici, metafisici, morali e pedagogici.
Come scrittore, Guardini adotta uno stile chiaro, dal ritmo per così dire "colloquiale": la parola che egli propone non cade mai nel semplicismo o nell'approssimazione, così come la ricchezza tematica a lui propria mai si impiglia in forme retorica stancante: come pochi, egli possiede il talento di esprimere in forma semplice - e mai riduttiva - le cose più difficili. Usa gli elementi dottrinali con estrema maestria: in tal modo, dalla sua penna, l'argomentazione più circostanziata e precisa sgorga libera e si sviluppa senza alcuna pesantezza. Michele Federico Sciacca, grande estimatore delle tesi guardiniane, nelle pagine de La Chiesa e la civiltà moderna (Milano, Marzorati 1969) lo descrive come «un dotto che non "mostra" la sua dottrina, ma sa scioglierla nella dinamica del pensiero in modo che la frase, densa di contenuto e nello stesso tempo cristallina e scorrevole, ne conservi il sapore senza paludamenti eruditi».
Nato a Verona il 17 febbraio 1885, l'anno seguente - il padre opera nel commercio internazionale -si trasferisce con la famiglia a Magonza. Italiano di nascita ma tedesco di adozione, le sue teorie, la sua visione del mondo e il suo pluridecennale impegno come docente nascono, crescono, convivono in un ambiente anche protestante. Dopo studi ginnasiali, conseguita la maturità classica e consumato un iniziale entusiasmo per le scienze naturali (nel 1903 si iscrive alla facoltà di Chimica dell'università di Tubinga, che abbandona dopo due semestri di studio) l'anno seguente, in autunno, si trasferisce a Monaco per studiare Scienze Politiche.
Il 1905 rappresenta un anno fondamentale nella sua storia personale. Sorge in lui il pressante problema di dare un senso e una direzione concreta alla sua vita. Anche i rapporti interpersonali con gli amici ed i compagni universitari gli indicano, seppur in modo indiretto, che la via corrispondente alla sua personale vocazione deve essere ancora intrapresa. Non senza inquietudine, si riavvicina in modo graduale - ma irreversibile - alla fede cristiana, così come gradualmente, in passato, se ne era allontanato seppur in modo parziale. Una domenica, partecipando alla messa in una chiesa in Oldenburger-Strasse, comprende una volta per sempre che il suo destino vocazionale è di natura ecclesiale e coincide con lo stato sacerdotale.
Hanno inizio così gli studi teologici a Friburgo (1906), a Tubinga (fino al 1908), quindi nel Seminario maggiore di Magonza, dove viene ordinato sacerdote nel maggio 1910. Emergono e prendo forma le prime sue feconde intuizioni teologiche e filosofiche, nonché un profondo interesse per la liturgia nella sua unità salvifica di verità e bellezza, alla quale fu introdotto dall'amico J. Weiger. Nell'agosto 1911 ottiene la cittadinanza tedesca, indispensabile per l'insegnamento nelle scuole ecclesiastiche, e comincia a svolgere i suoi primi incarichi pastorali.
Allo scoppio della prima guerra mondiale Guardini, a differenza dei suoi famigliari, decide di rimanere in Germania. E' il periodo in cui a Friburgo si laurea in Teologia con una tesi su San Bonaventura L'anno seguente presta servizio come infermiere presso l'ospedale di Magonza. Nel 1919 pubblica un piccolo testo che ha un grande impatto sul mondo ecclesiastico tedesco ed in generale europeo: si tratta di Vom Geist der Liturgie (trad. it. Lo spirito della liturgia, Morcelliana, Brescia 1996) Nello stesso anno fonda, insieme all'amico Richard Knies, la casa editrice Matthias Grünewald, attraverso cui pubblicherà i suoi primi lavori.
La prima metà degli anni Venti coincidono con l'inizio dell'attività di docente universitario: prima come libero docente a Bonn, poi a Berlino, dove l'università locale - ambiente in cui predomina il protestantesimo e il laicismo - lo chiama ad insegnare alla cattedra di Filosofia della religione e Weltanshauung cattolica, istituita appositamente per lui a partire dal 11 aprile 1923. Dalle prime lezioni nasce lo scritto Vom Wesen Katholischer Weltanschauung (trad. it. La visione cattolica del mondo, Morcelliana, Brescia, 1994).
Nel 1925 pubblica Der Gegensatz. Versuche einer Philosophie des Lebendig-Konkreten (trad. it. L'opposizione polare. Saggio di una filosofia del concreto- vivente, in Scritti filosofici, Milano 1964). In questo stesso anno viene nominato a presiedere il Quikborn, l'organizzazione che attraverso la sua azione diretta si trasforma da movimento giovanile in movimento ecclesiale con una spiccata passione culturale unita alla volontà di rinnovamento religioso. C'è da osservare che dai tempi della riforma di Lutero il cattolicesimo in Germania viveva in una condizione di inferiorità.
L'opera di Guardini si inserisce in un contesto spirituale e sociale in cui si respira un senso di disorientamento, un'atmosfera segnata dalla mancanza di un'identità. Il crollo dello stato prussiano ed i problemi sociali e politici del dopoguerra aggravano ulteriormente la situazione ed implicano una risoluzione costruttiva non solo sul piano pratico ma anche dal punto di vista interiore: vi era l'esigenza urgente, ed anzi impellente, di porsi a contatto con i problemi scottanti e potenzialmente pericolosi che gravavano sulle menti e sui cuori della gente, e soprattutto su quelli delle nuove generazioni. Guardini, come nota Franz Heinrich, «quale docente e predicatore universitario gli spetta il merito, unico nel suo genere, di aver dato sostegno spirituale e un solido orientamento di vita, al di là di tutte le delimitazioni confessionali, alle generazioni studentesche postbelliche, che avevano smarrito una mèta per la loro interiorità» (cfr. la sua Premessa, in Etica, Morcelliana, Brescia 2001) In questo contesto, oltre a quello di Guardini, nomi come Przywara, Lippert, Adam diventano noti non solo noti in madrepatria ma oltrepassano i confini della nazione.
Da questo momento in poi, parallelamente ai suoi impegni "pratici", continua i suoi studi e le ricerche improntate allo sviluppo sia del "distintivo" cristiano, raccogliendo materiale sia sulla figura di Gesù Cristo e la Rivelazione cristiana raccogliendo trattazioni di taglio teologico filosofico, pedagogico, antropologico ed etico finalizzate alla delineazione della concezione religiosa dell'uomo e del suo compito nel mondo. In tal contesto è del '29 la pubblicazione di Das Wesen des Christentums (trad It.L'essenza del Cristianesimo, Brescia, Morcelliana 1989): piccolo ma importantissimo saggio teologico in cui Guardini dimostra come l'essenza del Cristianesimo consiste nella persona divinoumana di Cristo stesso, che nella sua unicità storica e nella sue Gloria eterna costituisce la categoria che fonda e definisce l'essere, l'operare nonché la garanzia teorica di tutto ciò che è cristiano: «Il Cristianesimo non è una teoria della verità o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino».
Dal 1935 al 1939 pubblica importanti lavori monografici ed ermeneutici su pensatori come Pascal Agostino e Dostojevskij (cfr. Pascal, Morcelliana, Brescia 1980 e Pensatori religiosi, Morcelliana, Brescia), . Inoltre raccoglie in volume quattro anni di meditazioni tenute alla Messa domenicale per gli studenti universitari con il titolo Der Herr (trad. it. Il Signore. Riflessioni sulla persona e la vita di Gesù Cristo, Vita e Pensiero, Milano 1943): opera che, insieme al saggio sul poeta Hölderlin, che il teologo considerarla la sua più cara.
Con l'inizio della seconda guerra mondiale la cattedra berlinese di Guardini viene soppressa. Guardini è posto in congedo. Dopo due anni gli si proibirà addirittura di parlare in pubblico. La sua situazione in città ed i suoi rapporti con l'autoritarismo nazista si fanno sempre più problematici, così dal 43 al 45 Guardini è costretto a lasciare Berlino alla volta di un piccolo villaggio situato nel'Allgäu svevo. Questo ritiro forzato dall'insegnamento e dalla vita ecclesiale e culturale berlinese coincide con un periodo di sostanziale solitudine, in cui redige note e appunti autobiografici che verranno pubblicati postumi (cfr. Appunti per un'autobiografia, Morcelliana, Brescia 1986). Terminata la guerra viene reintegrato nell'insegnamento universitario all'Università di Tubinga, che lascia dopo tre anni per l'università di Monaco di Baviera.
Negli anni cinquanta ottiene il Premio per la Pace istituito dai librai tedeschi a Francoforte, e pubblica testi importanti come Das Ende der Neuzeit e Die Macht del '51 (cfr. La fine dell'epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 1993). Nel 1956 Verona gli conferisce la cittadinanza onoraria.
Nel 1961 viene nominato membro della Commissione liturgica preparatoria del Concilio Vaticano II. L'anno seguente il principe Bernardo d'Olanda gli conferisce il premio Erasmo. I proventi economici che derivano da tale riconoscimento vengono da Guardini volontariamente devoluti all'Editrice Morcelliana affinché si dia inizio alla stampa dell'Opera Omnia, curata dal Centro Studi Filosofici di Gallarate. Nel 1965 declina l'invito di Paolo Vi che vorrebbe nominarlo Cardinale. Nello stesso anno pubblica il testo di meditazioni sulla realtà ecclesiastica che costituisce una sorta di testamento spirituale: Die Kierke des Hernn («La chiesa del Signore»). Muore l'1 di ottobre del 1968 a Monaco. La salma viene deposta presso la chiesa di San Lorenzo. Nel 1993 viene dato alle stampe il poderoso volume Ethik, Vorlesungen au der Universität München (trad. it. Etica, Morcelliana, Brescia 2001). Questo libro raccoglie le lezioni tenute da Guardini all'università di Monaco dal 1950 al 1962, anno finale dell'attività di Guardini come docente universitario.

* 1971 - Gioacchino Volpe (Paganica, 16 febbraio 1876 – Santarcangelo di Romagna, 1º ottobre 1971) è stato uno storico e politico italiano.
Finite le scuole elementari, si trasferì a L'Aquila, per continuare gli studi, e poi a Santarcangelo di Romagna con tutta la famiglia. Conseguita la maturità, nel 1895 si iscrisse all'Università di Pisa, presso la Scuola Normale, e fu allievo di Amedeo Crivellucci, con cui discusse la tesi di laurea e sulla cui rivista Studi storici pubblicò i suoi primi lavori dedicati alla storia di Pisa medievale. A Pisa conobbe Giovanni Gentile, anch'egli allievo del Crivellucci.
Dal 1906 fu professore di storia moderna nell'Accademia scientifico-letteraria di Milano e poi nell'università di Roma dal 1924 al 1940.
Aveva preso parte come ufficiale alla prima guerra mondiale, ricevendo una medaglia d'argento al valore. Di orientamento nazionalista e monarchico, nel dopoguerra si avvicinò al fascismo, per il quale fu deputato al Parlamento nella XXVII legislatura (1924 - 1929), e nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali fascisti.
Durante il Regime svolse un ruolo importante. Fra l'altro si adoperò presso Mussolini per raccomandare la liberazione dal confino e la concessione del passaporto a Nello Rosselli, suo vecchio allievo; ad alcuni amici dei Rosselli, tra cui Piero Calamandrei, la sollecitudine nel concedere il passaporto parve sospetta e motivata dal fine di arrivare, attraverso Nello, al rifugio di Carlo.
Diresse fino al 1943 la Scuola di storia moderna e contemporanea e fu direttore della sezione Storia medievale e moderna della Enciclopedia Italiana dal 1925 al 1937. Fu segretario generale dell'Accademia d'Italia dal 1929 al 1934 e socio nazionale dell'Accademia dei Lincei dal 1935 al 1946.
Alla fine della guerra fu allontanato dall'insegnamento e si dedicò completamente agli studi storici. Commemorando la sua figura nel 1976, in occasione del centenario della nascita, Luigi Volpicelli affermò: "Il fascismo settario della provincia italiana, quello prepotente e interessato della piccola borghesia, il fascismo corruttore e irresponsabile degli affari del capitalismo, l'altro antisemita dei razzisti, nulla ebbero mai a vedere con Lui". Per i suoi meriti scientifici Umberto II (dall'esilio) lo insignì dell'Ordine civile di Savoia, la più alta onorificenza sabauda, successivamente il Sovrano gli attribuì anche il titolo nobiliare di conte. Il figlio primogenito Giovanni fu un noto editore.

* 1989 - Carlo Dapporto (Sanremo, 26 giugno 1911 – Roma, 1 ottobre 1989) è stato un attore italiano di varietà.

Carriera teatrale
Dopo essersi inizialmente esibito come fantasista in un circo (1927) e interprete di canzoni e ballerino, Carlo Dapporto debuttò nel teatro di rivista nei primi anni trenta.
Carlo viene scritturato con Carlo Campanini nella compagnia di avanspettacolo dove assieme reinterpretano le figure di Stanlio & Ollio. Siamo nel 1935.
L'affermazione sulla scena pubblica avvenne nel primo dopoguerra grazie a sfavillanti spettacoli accanto alla soubrette Wanda Osiris. Sono gli anni d'oro del varietà e Carlo, grazie alla sua poliedricità, passando dal canto alle barzellette riesce a diventare l'anima dello spettacolo. E nel 1947 che come capo-comico costituisce una propria compagnia mettendo in scena numerose riviste e commedie musicali.
I suoi personaggi stupiscono il pubblico con un infinito repertorio di doppi sensi, incentrati sul comune senso del pudore. I più famosi sono stati essenzialmente due: quello del "Maliardo", raffigurazione grottesca del viveur dannunziano impomatato e in frac con l'occhio sempre rivolto a Montecarlo, e quello della macchietta regional popolare: l'ingenuo "Agostino", che parla e storpia in piemontese, personaggio che oltre ad aver portato con successo in teatro rese protagonista di alcuni spot televisivi per Carosello.
Durante la sua lunga carriera ha avuto modo di lavorare accanto ai più importanti partner dell'epoca tra cui ricordiamo Isa Barzizza, sua giovane concittadina sanremese; Carlo Campanini, Walter Chiari, Dario Fo, Cosetta Greco, Sophia Loren, Lauretta Masiero, Piero Mazzarella, Sandra Mondaini, Amedeo Nazzari, Ave Ninchi, Silvana Pampanini, Nilla Pizzi, Franca Rame, Renato Rascel, Mario Riva, Delia Scala, Tino Scotti, Nino Taranto, Ugo Tognazzi, Totò, Bice Valori, Raimondo Vianello.
L' 8 agosto del 1945 nasce Massimo, il figlio che seguirà le orme paterne nel mondo dello spettacolo dedicandosi soprattutto al teatro e agli sceneggiati televisivi.

Il cinema
A parte il film di Eduardo De Filippo del 1958 Fortunella, Carlo Dapporto non compare come protagonista nelle molte produzioni cinematografiche. Per lo più Dapporto appare in ruoli di mero supporto in una trentina di film d'evasione, il più famoso dei quali è Polvere di stelle (1973) di e con Alberto Sordi. Negli ultimi anni ottiene grande successo interpretando il ruolo di uno scrittore fallito da anziano (suo figlio Massimo interpreta lo scrittore da giovane) nel drammatico La famiglia (1986), diretto da Ettore Scola, per cui si aggiudica un Nastro d'argento. Va anche ricordato che nel 1958 Dapporto doppiò Fernandel nel film La legge è legge.

* 1990 - John Stewart Bell (Belfast, 28 giugno 1928 – Belfast, 1º ottobre 1990) è stato un fisico irlandese, conosciuto soprattutto per il Teorema di Bell, uno dei più importanti teoremi nell'ambito della fisica quantistica.

Vita e lavoro
Nacque a Belfast, nell'Irlanda del Nord, e si laureò in fisica sperimentale alla Queen's University of Belfast nel 1948. Ottenne poi il dottorato di ricerca alla University of Birmingham, specializzandosi in fisica nucleare e teoria quantistica dei campi. La sua carriera iniziò con l'Atomic Energy Agency, a Malvern, e continuò poi con l'Atomic Energy Research Establishment, presso Harwell. Dopo parecchi anni si spostò in Europa Centrale per la ricerca nucleare, recandosi al CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire).
Qui lavorò quasi esclusivamente sulla fisica delle particelle, dal punto di vista teorico, e sull' acceleratore di particelle, dal punto di vista pratico; ma trovò anche il tempo per dedicarsi ad un'altra più importante occupazione, compiendo alcune ricerche sulle basi della teoria quantistica.
Nel 1964, dopo aver trascorso un anno di congedo dal CERN alla Stanford University, alla University of Wisconsin-Madison e alla Brandeis University, scrisse un articolo intitolato "Sul paradosso Einstein-Podolsky-Rosen"[1]. In esso dimostrò che procedendo con l'analisi dell'EPR si può ricavare la famosa disuguaglianza di Bell. Questa disuguaglianza, derivata da alcune supposizioni filosofiche di base, è infatti in conflitto con le previsioni della meccanica quantistica.
Vi è un certo disaccordo riguardante ciò che la disuguaglianza di Bell potrebbe implicare in unione con il paradosso Einstein-Podolsky-Rosen. Bell sostenne che non solo le variabili locali nascoste, ma tutte quante le spiegazioni teoriche locali dovevano essere in conflitto con la teoria quantistica.

▪ 1992 - Salvatore Valitutti (Bellosguardo, 30 settembre 1907 – Roma, 1º ottobre 1992) è stato un politico italiano e Ministro della Repubblica, esponente del Partito Liberale Italiano nelle cui file è stato eletto sia alla Camera che al Senato.

La giovinezza e gli studi
Salvatore Valitutti nacque nel 1907 a Bellosguardo, piccolo comune dell'entroterra salernitano, da Giuseppe e Amalia Macchiaroli e fu il quinto di una famiglia numerosa, composta da ben dodici figli. Suo padre, oltre a badare alla modesta azienda agricola, esercitava il commercio del vino e dell'olio con criteri manageriali e moderni, inusuali per l'epoca se si pensa agli ostacoli da superare, per l'assoluta mancanza, in zona, di infrastrutture e mezzi per il trasporto. Nei primi anni del ‘900, ebbe il merito insieme ad altri “pionieri”, di far conoscere ed apprezzare, su alcuni mercati nazionali ed esteri, i prodotti tipici della zona.
Quando il padre, per motivi di salute, dovette limitare la sua attività, la madre ed i figli più grandi, tra questi Antonio ed anche Salvatore, furono chiamati a sostituirlo.
Compì gli studi secondari a Salerno, dove frequentò l'antico Istituto Tecnico e fu allievo prediletto di Giovanni Cuomo, che come afferma, gli «aveva insegnato a leggere Orazio». A Salerno abitò a casa del fratello Antonio (nell'attuale piazza Salvatore Valitutti), che nel frattempo aveva rilevato l'azienda paterna ampliandola grandemente. Qui fece i primi passi nella politica e manifestò simpatie per il partito repubblicano. Erano i primi anni del fascismo, all’epoca forse del delitto Matteotti, ed è probabile che in questo periodo abbia avuto delle noie con la Questura, poiché raccomandò il fratello Michele di nascondere alcuni libri che custodiva a Bellosguardo.
Alla fine degli studi secondari, lasciò Salerno per intraprendere, come lui stesso dice, il lungo viaggio «nella diletta patria italiana»: si trasferisce a Roma, dove, nel 1930, si laureerà all’Università di Scienze Politiche.

I primi lavori
Dopo il conseguimento della laurea, assolti gli obblighi del servizio di leva, nel 1933 si iscrisse al Partito Fascista e riuscì ad ottenere un posto di lavoro presso l'Istituto Nazionale Fascista di Cultura, dove restò per alcuni anni.
Nel 1938 conseguì la libera docenza in storia delle dottrine politiche e nello stesso anno, poco più che trentenne, gli fu conferita la nomina di Provveditore agli Studi di Mantova.
Mantenne comunque le sue frequentazioni del paese e della famiglia d'origine, con la sola eccezione del periodo bellico, che lo vide bloccato a Perugia, al cui Provveditorato agli Studi era stato frattempo trasferito.
A Perugia, nel dopoguerra, avrebbe ricoperto inoltre la carica di Rettore dell'Università per Stranieri.

Dopo la guerra
Alla fine della guerra, Valitutti fu chiamato al Ministero della Pubblica Istruzione da Guido Gonella, che ne fece il suo collaboratore. Nel 1953, sempre alla Pubblica Istruzione, fu Capo di gabinetto del Ministro Martino, periodo questo, segnato da significativi e importanti traguardi (Leggi sull’edilizia scolastica, sulle borse di studio ai capaci e meritevoli, sulla stampa giovanile e i giornali studenteschi, ecc.).
Poco dopo pubblicava la sua opera più significativa “La Rivoluzione Giovanile”, considerata una vera introduzione all'analisi della società emergente e una previsione dei moti studenteschi del 1968. Sempre nel 1953, fu sottoposto ad autorevoli sollecitazioni affinché accettasse la candidatura alla Camera dei deputati, nella lista della Democrazia Cristiana come indipendente, in qualsiasi collegio desiderasse. Ma rifiutò, per la sua ferma convinzione Liberale.
Questa scelta e la sua convinzione di candidarsi nella sua terra, anziché in collegi dove era più conosciuto ritardarono la sua elezione al Parlamento, dove arrivò solo nel 1963.
Nel 1968 però, a dimostrazione dell'estrema fragilità e inconsistenza organizzativa del Partito Liberale in provincia di Salerno, Valitutti non venne rieletto.
Nel 1972 fu Senatore nel Collegio di Eboli e fu nominato Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, dal ministro Oscar Luigi Scalfaro, nel governo Andreotti-Malagodi.
Nel 1979, privo di incarichi parlamentari, fu nominato ministro della Pubblica Istruzione nel I Governo Cossiga. Pur rimanendovi pochi mesi (dall’agosto del 1979 all'aprile successivo), riuscì a riordinare il sistema universitario e avviò la revisione dei cosiddetti decreti delegati. Nel febbraio del 1980, indisse a Roma la prima Conferenza Nazionale della Scuola su Finalità, problemi e organi della partecipazione scolastica in un ordinamento democratico che vide all'opera docenti, dirigenti amministrativi, presidi, studenti, forze politiche e sindacali.
Nel 1983, infine, fu eletto Senatore nel primo Collegio di Roma-Parioli e fu nominato Presidente della VII Commissione per l’Istruzione del Senato, carica che ricoprì fino al 1987.

Gli ultimi incarichi
Alla scadenza del terzo mandato parlamentare, sebbene Presidente nazionale del P.L.I. e, dal 1991, Presidente onorario, cominciò gradualmente ad allontanarsi dalla politica attiva e ad appartarsi, dedicandosi prevalentemente alla lettura e alla scrittura.
In questo periodo prestò la sua autorevole collaborazione a quasi tutti i più prestigiosi quotidiani nazionali (La Nazione, La Stampa, Il Resto del Carlino, Il Messaggero, Il Giornale, Il Tempo, ecc.), oltre a dirigere la rivista Nuovi Studi Politici, da lui fondata.
Afflitto dagli acciacchi della vecchiaia, spesso amava ripetere un detto appartenuto a Benedetto Croce, cioè che la vecchiaia aggredisce o dalle gambe, o dalla testa: poi, aggiungeva polemicamente che ad altri aveva preso dalla testa... e a lui dalle gambe.
In quest'ultimo periodo dedicò la sua attività in manifestazioni culturali ed umanitarie di grande rilievo, sia come Presidente nazionale ed internazionale della Società Dante Alighieri, sia come Vice-Presidente dell'Opera Nazionale Montessori, sia come Presidente del Movimento di Collaborazione Civica, per l’educazione democratica dei giovani e sia, soprattutto, come Presidente dell'Unione Nazionale per la Lotta all'Analfabetismo.
La morte lo colse, forse nel sonno, nella sua casa romana, al compimento del suo ottantacinquesimo compleanno, nella notte tra il 30 settembre ed il 1º ottobre del 1992.
È sepolto nel piccolo cimitero sulla collina del suo paese, nella cappella gentilizia da lui fatta costruire, accanto alla fedelissima compagna della sua vita, Maria Bianca Pignatari, di nobili origini calabresi, ai genitori, ai fratelli e alle sorelle.