Per approfondire
Per quanto riguarda Noi e tutti voi, certamente, finché siamo in vita faremo sì che non vengano mai meno in questo combattimento la Nostra autorità, il Nostro consiglio e la Nostra opera. E non c’è dubbio che sia al gregge, sia ai pastori, non mancherà il particolare aiuto di Dio, finché il nemico non sarà vinto.”- Autore:
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Sapientiae Christianae fu un’Enciclica che Papa Leone XIII scrisse nel 1890 e che dedicò ai principali doveri del fedele cristiano, sia verso la Chiesa sia verso lo Stato di appartenenza. Il XIX secolo stava infatti volgendo al termine dopo aver impresso nei popoli un radicale cambiamento di stili di vita, di convivenza civile e del modo di pensare.
Lo Stato moderno, laico e accentratore, aveva trionfato e si era elevato a modello standard per quanto riguardava l’organizzazione delle comunità politica e civile: verso questa consolidata realtà il Pontefice volle fornire ai cittadini cattolici le giuste indicazioni per essere buoni cittadini e, al tempo stesso, rimanere coerenti con i precetti evangelici.
Papa Pecci iniziò il documento evidenziando proprio questo aspetto:
“Richiamarsi ai precetti della sapienza cristiana e conformare profondamente ad essi la vita, i costumi e le istituzioni dei popoli è cosa che ogni giorno appare sempre più necessaria. Avendoli messi da parte, ne sono derivati mali così grandi che nessun uomo saggio può sopportare la presente situazione senza una grave preoccupazione, né guardare al futuro senza timore.”
Il progresso tecnologico, letteralmente esploso con la Seconda rivoluzione industriale, aveva messo a disposizione per gli uomini e le donne tanti beni materiali utili per rendere l’esistenza quotidiana meno dura e più piacevole ma questa situazione poteva far correre il rischio di sviare le persone verso la cura dell’anima e verso il vero fine dell’umanità che è conoscere Dio e tendere verso di Lui.
“Ma non si va a Dio con le tendenze e le esigenze del corpo, bensì con la conoscenza e l’affetto che sono atti dell’anima. È Dio, infatti, la prima e suprema verità, e la nostra mente non si pasce che di verità: alla santità perfetta e al sommo bene può aspirare e accedere soltanto la nostra volontà sotto la guida della virtù.”
Nella famiglia e nella società civile l’essere umano deve trovare gli strumenti adatti per conseguire la propria perfezione spirituale. Se una società fonda la propria essenza nel mero appagamento dei bisogni esteriori, perseguendo unicamente le comodità materiali e ignorando Dio e la legge morale, non può che diventare una falsa parodia di sé stessa.
Lo Stato moderno, se non si conforma agli insegnamenti di Cristo e non plasma una società cristiana, viene meno ai suoi doveri di tutela nei confronti della religione e dei suoi stessi cittadini che, abbagliati dalle grandiose conquiste tecnologiche del progresso, tendono a dimenticarsi di Dio e non ambire più alla salvezza eterna. Questo processo nel medio e lungo termine, oltre a produrre danni alle persone, va a minare la tenuta stessa dell’organizzazione civile.
“Quei beni spirituali che – come abbiamo già detto – si ritrovano soprattutto nel culto della vera religione e nella costante osservanza dei precetti cristiani, li vediamo oscurarsi ogni giorno per dimenticanza o per fastidio degli uomini, cosicché quanto più grandi sono i progressi che riguardano la vita corporale, tanto maggiore è il tramonto dei valori che riguardano l’anima. Indizio significativo della diminuita e indebolita fede cristiana si trova nelle stesse ingiurie che vengono rivolte troppo spesso contro il nome cristiano, in piena luce e sotto gli occhi di tutti; in altri tempi, una società rispettosa della religione non l’avrebbe mai tollerato. Per queste cause è incredibile a dirsi quale grande numero di uomini si trovi in pericolo di perdere l’eterna salvezza. Ma le stesse città e gli Stati non possono restarne indenni a lungo, perché crollando gli ordinamenti e i costumi cristiani, inevitabilmente crollano anche le fondamenta della società umana.”Uno Stato che abbandona la religione cristiana cattolica va a perdere anche nei confronti della popolazione il suo senso ontologico e la sua legittimità, dovendosi dunque basare per mantenere l’ordine e la pace pubblica esclusivamente sulla sua forza militare e poliziesca con la conseguenza di causare una deriva autoritaria e di schiavitù al posto del rispetto pacifico e concorde dell’assetto politico e sociale.
Per questo motivo Papa Leone XIII, facendo un richiamo alle gravi vicende del proprio secolo, fece nella sua Enciclica un appello al popolo cristiano e primariamente alla gerarchia ecclesiastica, per
“cercare i rimedi, cioè ripristinare in tutte le componenti della vita sociale il modo cristiano di pensare e di agire della vita privata: questo è l’unico sicuro mezzo per eliminare i mali che ci affliggono e impedire i pericoli che ci sovrastano.
A questo, Venerabili Fratelli, è necessario che ci dedichiamo; a questo dobbiamo portare ogni nostro sforzo con il massimo impegno: per questa ragione, sebbene abbiamo già altrove trattato queste cose, quando Ci fu data la possibilità, Ci sembra tuttavia molto utile descrivere i doveri dei cattolici più chiaramente in questa Lettera: questi doveri, se osservati con ogni cura, saranno di grande utilità per la salvezza dei beni sociali.
Incorriamo quasi ogni giorno in grandi contrasti sui massimi problemi: ed è molto difficile non restare vittime di inganni, di errori e di vedere molti perdersi d’animo e soccombere. È nostro dovere, Venerabili Fratelli, ammonire, insegnare, esortare a suo tempo affinché nessuno abbandoni la via della verità.”
Il Romano Pontefice proseguì il suo scritto ricordando i doveri dei Cristiani: imparare e credere nel Vangelo, ubbidire alla Chiesa partecipando attivamente ad essa, riconoscendo il Papa come il Vicario di Gesù sulla Terra.
La persona cristiana deve infatti amare la Chiesa e seguirla, come fa un figlio con la propria madre, anche più della stessa patria terrena poiché è in essa che si ottengono quei beni spirituali utili per conseguire il Paradiso. Lo spirito è del resto maggiore del corpo e i doveri che i fedeli hanno verso Dio sono più importanti di quelli verso gli uomini e la società.
“Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16). Ma l’uomo quando ha abbracciato la fede cristiana – come è suo dovere – deve perciò stesso sottomettersi alla Chiesa come figlio suo, e diventa partecipe di questa grandissima e santissima società, sulla quale spetta esercitare il sommo potere al romano Pontefice, sottoposto al capo invisibile Gesù Cristo.
Ora, pertanto, se siamo obbligati per legge di natura ad amare e difendere particolarmente quella città nella quale siamo nati e cresciuti in questa luce, fino al punto che un buon cittadino non può dubitare di dover dare anche la vita per la patria, è molto più doveroso per i cristiani amare sempre la Chiesa. La Chiesa è infatti la città santa del Dio vivente, nata da Dio stesso e costituita dallo stesso Autore: è pellegrina qui sulla terra, ma sempre intenta a chiamare gli uomini per istruirli e condurli all’eterna felicità del cielo. Pertanto si deve amare la patria dalla quale abbiamo ricevuto il dono di una vita mortale: ma è necessario anteporle nell’amore la Chiesa, alla quale dobbiamo una vita che durerà in perpetuo: perché bisogna anteporre i beni dell’anima a quelli del corpo; i nostri doveri verso Dio sono molto più santi che non quelli verso gli uomini.”
Papa Leone XIII specificò comunque che amare la Chiesa e amare la propria patria non è una contraddizione dal momento che la fonte originaria di ambedue le istituzioni rimane sempre la Santissima Trinità.
“D’altra parte, se si vuole giudicare rettamente, l’amore soprannaturale per la Chiesa e l’amore naturale per la patria sono entrambi figli della stessa sempiterna fonte, poiché hanno come causa e autore Dio stesso, dal che consegue che un dovere non può essere in contraddizione con l’altro. Possiamo e dobbiamo dunque amare l’una e l’altra: amare noi stessi; essere benevoli con il prossimo; amare lo Stato e il potere che vi presiede, e nello stesso tempo venerare la Chiesa come nostra madre, e con il massimo amore possibile tendere a Dio.”
Questo sentimento può essere tuttavia sviato o distorto e l’autorità temporale di uno Stato può arrivare ad estromettere completamente la Chiesa o sottometterla al potere politico oppure richiedere agli stessi cittadini comportamenti che possono essere contrari ai precetti cristiani.
E’ proprio in questi frangenti che si vede la vera tempra degli uomini e delle donne che amano Cristo e lo seguono senza scendere a compromessi con altre forze, interessi o beni.
“D’altra parte, se si vuole giudicare rettamente, l’amore soprannaturale per la Chiesa e l’amore naturale per la patria sono entrambi figli della stessa sempiterna fonte, poiché hanno come causa e autore Dio stesso, dal che consegue che un dovere non può essere in contraddizione con l’altro. Possiamo e dobbiamo dunque amare l’una e l’altra: amare noi stessi; essere benevoli con il prossimo; amare lo Stato e il potere che vi presiede, e nello stesso tempo venerare la Chiesa come nostra madre, e con il massimo amore possibile tendere a Dio.”
Questo atto di amore e fiducia che il Cristiano compie verso la Trinità Divina e che può portare alle estreme conseguenze della persecuzione e del martirio, come accadde a San Pietro e agli Apostoli, distingue il cittadino cristiano dal cittadino qualunque. Di conseguenza l’autorità politica, legislativa e giudiziaria non possono giustificare una legge che impone una violazione del diritto naturale e divino, stigmatizzando l’obiettore di coscienza come un sedizioso: sono le norme che si devono conformare a Dio e al vero bene di una comunità, il resto è un arbitrio, un abuso e un esercizio illegittimo del potere pubblico.
“È ciò che Pietro e gli altri Apostoli risposero alle autorità che imponevano cose ingiuste; è ciò che si deve sempre ripetere senza esitazioni in casi simili. Nessun cittadino, sia in pace sia in guerra, è migliore di un vero cristiano, memore del proprio dovere; ma questi deve essere pronto a sopportare tutto, anche la morte piuttosto che abbandonare la causa di Dio e della Chiesa. Perciò non hanno considerato adeguatamente la forza e la natura delle leggi coloro che riprovano questa decisione nella scelta dei doveri, e affermano che questa è sedizione. Parliamo di cose note al popolo e da Noi altre volte spiegate. La legge non è che un comando della retta ragione, promulgata per il bene comune da colui che ha un legittimo potere.
Ma non c’è nessun vero e legittimo potere se non parte da Dio, sommo sovrano e padrone di tutte le cose, che solo può concedere ad un uomo il potere su altri uomini; e non deve essere ritenuta retta una ragione che dissenta dalla verità e dalla ragione divina: né vi è un vero bene se è contrario al sommo e immutabile bene o che allontani e svii dall’amore a Dio le volontà degli uomini.”
I cittadini cristiani non disconoscono a prescindere e in modo ideologico l’autorità pubblica poiché in essa riconoscono un riflesso della Somma autorità di Dio, che ha creato e regge l’Universo, ma possono opporsi e resistere a imposizioni contrarie a Dio e alla Sua Chiesa.
“È ciò che Pietro e gli altri Apostoli risposero alle autorità che imponevano cose ingiuste; è ciò che si deve sempre ripetere senza esitazioni in casi simili. Nessun cittadino, sia in pace sia in guerra, è migliore di un vero cristiano, memore del proprio dovere; ma questi deve essere pronto a sopportare tutto, anche la morte piuttosto che abbandonare la causa di Dio e della Chiesa. Perciò non hanno considerato adeguatamente la forza e la natura delle leggi coloro che riprovano questa decisione nella scelta dei doveri, e affermano che questa è sedizione. Parliamo di cose note al popolo e da Noi altre volte spiegate. La legge non è che un comando della retta ragione, promulgata per il bene comune da colui che ha un legittimo potere.
Ma non c’è nessun vero e legittimo potere se non parte da Dio, sommo sovrano e padrone di tutte le cose, che solo può concedere ad un uomo il potere su altri uomini; e non deve essere ritenuta retta una ragione che dissenta dalla verità e dalla ragione divina: né vi è un vero bene se è contrario al sommo e immutabile bene o che allontani e svii dall’amore a Dio le volontà degli uomini.”
Leone XIII nell’enunciare questi concetti riprese gli insegnamenti di San Paolo Apostolo, il quale raccomandava
“i cristiani di stare soggetti ai principi e ai governanti e obbedire ai loro ordini” e “Se è giusto al cospetto di Dio ascoltare voi piuttosto che Dio, giudicatelo voi stessi: non possiamo infatti non parlare di quelle cose che abbiamo visto e udito”.
Chi è Cristiano deve quindi amare e rispettare sia la sua futura patria celeste sia la sua presente patria terrena, facendo attenzione a non invertire questa gerarchia poiché è dalla conoscenza e corrispondenza di questo ordine concettuale e morale che dipendono la sua vita e la sua libertà.
“È dunque grande dovere dei cristiani amare le due patrie, quella di natura e l’altra della città celeste, purché sia prevalente l’amore di quest’ultima sulla prima, e non si antepongano mai i diritti umani a quelli divini, e si consideri la città celeste come fonte dalla quale sgorgano tutti gli altri doveri. (…) Tutta la vita e la libertà del cristiano stanno nella conoscenza di questa verità, che è il massimo della perfezione della mente, e nell’amore a Dio che pure rende perfetta la volontà. E la Chiesa conserva e difende con continuo impegno e vigilanza questo nobilissimo patrimonio – cioè della verità e della carità – affidatole da Gesù Cristo.”
L’errore che viene commesso, denunciò il Papa, è che il progresso scientifico e tecnologico, con le sue strabilianti scoperte ed invenzioni, possa deviare l’attenzione degli uomini da Dio Creatore alla natura, che è creatura al pari dell’essere umano. E’ su questo che i nemici di Cristo e della Chiesa insistono per creare disaffezione e divisione: se gli uomini e le donne pongono la natura al massimo grado allora è Dio ad essere posto in secondo piano, la sua legge a non essere più seguita e la Chiesa Cattolica a venire ignorata ed osteggiata.
“Tutto quello che capita alla ragione umana di scoprire con l’investigazione scientifica su realtà finora sconosciute e gelosamente nascoste dalla natura, e di convertire le scoperte in uso per la vita, dà agli uomini l’ardire di sentirsi dei e di poter allontanare dalla vita comune l’autorità di Dio. Ingannati da questo errore, trasferiscono alla natura umana il dominio strappato a Dio, e sostengono che si deve ricercare nella natura il principio e la norma di ogni verità: da essa emanano e ad essa dovrebbero essere ricondotti tutti i doveri religiosi. Pertanto, niente è stato rivelato da Dio: non si deve obbedire alla Chiesa e alla disciplina dei costumi cristiani; la Chiesa non ha nessun potere e nessun diritto di legiferare; anzi, è necessario non lasciare alla Chiesa spazio alcuno nelle istituzioni dello Stato. Esigono, e con ogni sforzo operano per giungere al potere e al governo negli Stati per potere più agevolmente indirizzare le leggi secondo queste dottrine, e creare nuovi costumi fra i popoli. E così si aggredisce ovunque la cattolicità, o apertamente o la si combatte occultamente: permettendo la libertà ad ogni perverso errore, viene spesso limitata e ristretta con molti vincoli la professione della verità cristiana.”
Di fronte a questi pericoli il fedele cristiano deve primariamente rimanere lucido e saldo nella propria Fede, facendo attenzione alle sottili insidie filosofiche e culturali proposte dal pensiero ateo moderno. L’arma più efficace contro queste derive ideologiche è lo studio delle Sacre Scritture e della Dottrina sociale della Chiesa, che ovviamente deve essere attuato da ciascuno secondo le proprie possibilità e capacità.
In parallelo a questa azione di lettura ed approfondimento Leone XIII prescrisse la preghiera, sempre utile ed opportuna per curare l’anima e chiedere a Dio la grazia di crescere nella Fede cristiana.
“In questa triste condizione, ciascuno prima di tutto deve rientrare in se stesso per custodire e difendere la fede altamente radicata nell’animo, evitando i pericoli, sempre armato contro le varie insidie dei sofismi. A tutela di questa virtù è molto utile, e consentaneo ai nostri tempi, lo studio diligente, secondo le personali capacità, della dottrina cristiana e di quelle cose che riguardano la religione e che possono essere comprese col lume della ragione, e di esse arricchirsi la mente. E poiché non basta conservare incorrotta la fede nell’anima, ma è necessario aumentarla con assiduo studio, si deve ricorrere a Dio con la reiterata e umile preghiera degli Apostoli: “Aumenta in noi la fede!” (Lc 18,5). Per la verità in questa materia che riguarda la fede cristiana ci sono altri doveri che, se fu sempre importante osservare accuratamente e religiosamente per la salvezza, è più che mai necessario osservare ai nostri tempi.”
Un altro dovere essenziale per chi vive questi tempi della Modernità è quello di essere difensore della Verità e di diffonderla tra le genti per salvare le anime, un compito che è proprio dei religiosi ma che non esclude l’impegno dei laici i quali non possono chiamarsi fuori da una tale responsabilità.
“In tanta pazza confusione di ideologie così vastamente diffuse, è certamente compito della Chiesa assumersi la difesa delle verità e sradicare dagli animi gli errori: questo in ogni tempo e religiosamente, poiché essa deve tutelare l’amore di Dio e la salvezza degli uomini. Ma quando lo richieda la necessità, non solo devono difendere la fede i prelati, ma “ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli”. Cedere all’avversario o tacere, mentre dovunque si alza tanto clamore per opprimere la verità, è proprio dell’inetto oppure di chi dubita che sia vero quello che professa. L’uno e l’altro atteggiamento sono ignobili e ingiuriosi a Dio; l’una cosa e l’altra contrastanti con la salvezza individuale e collettiva: sono soltanto giovevoli ai nemici della fede, perché l’arrendevolezza dei buoni aumenta l’audacia dei malvagi. Per questo è ancor più da condannare l’inerzia dei cristiani perché il più delle volte si possono confutare gli errori e le malvagie affermazioni facendolo spesso con poco sforzo; ma farlo sempre occorre un impegno molto più grande.”
In questa vera e propria guerra contro la Chiesa di Cristo, che è primariamente spirituale ma anche materiale, il Cristiano non può essere inerte perché è grazie alle sue buone opere che si rovinano i piani del nemico. Dio vuole infatti che le persone di buona volontà operino liberamente e fruttuosamente per il bene e la salvezza di tutti.
Questa apparente “inattività divina” non è impotenza bensì la più grande dimostrazione di amore che il Creatore ha verso l’essere umano poiché valorizza il suo libero arbitrio senza porre condizioni o costrizioni.
“Per ultimo, nessuno è dispensato dall’usare quella forza che è propria dei cristiani, perché con essa si spezzano spesso le macchinazioni e i piani degli avversari. Ci sono poi dei cristiani nati per la disputa: quanto più grande è il loro coraggio, tanto più certa è la vittoria con l’aiuto di Dio. “Confidate: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). E nessuno può opporre l’obiezione che il custode e il garante della Chiesa, Gesù Cristo, non ha bisogno certamente dell’opera degli uomini. Ma non è per mancanza di potenza, bensì per la grandezza della sua bontà che egli vuole che qualcosa si faccia pure da noi per l’opera della salvezza che egli ci ha procurato, e per ottenerne frutti sempre maggiori.”
La prima azione che deve compiere il fedele cattolico è quindi quella di professare la propria Fede e di insegnarla e di predicarla pubblicamente, anche se non si è né Pontefici né Vescovi né sacerdoti.
“Gl’impegni più importanti di questo dovere sono di professare la dottrina cattolica a viso aperto e con costanza, e di propagarla come ciascuno può. Infatti, come è stato affermato tante volte e con verità, niente è così dannoso per la dottrina cristiana che il non essere conosciuta. Basta da sola a dissipare gli errori quando è appresa rettamente; se la mente con semplicità e non vincolata da falsi pregiudizi la comprende, la ragione dichiara di dovere assentire. Per vero, la virtù della fede è un grande dono della grazia e della bontà divina. Ma i mezzi con i quali si raggiunge la fede non sono generalmente altri che l’ascolto (…) La fede dipende dunque dalla predicazione, e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo.
Poiché dunque la fede è necessaria per la salvezza, ne consegue che si deve assolutamente predicare la parola di Cristo. Certamente il ministero di predicare, cioè di insegnare, per diritto divino spetta a quei maestri che lo “Spirito Santo ha costituito Vescovi per reggere la Chiesa di Cristo” (At 20,28) e specialmente al Pontefice romano, Vicario di Gesù Cristo, messo a capo di tutta la Chiesa con il supremo potere, maestro di quanto si deve credere e praticare. Ma nessuno creda che sia proibito ai privati di dare la propria attività in questo compito, specialmente per coloro ai quali Dio ha dato profondità di ingegno, e il desiderio di rendersi meritevoli per il bene comune. Costoro, quando sia necessario, possono convenientemente assumersi non la parte del dottore della Chiesa, ma quella di trasmettere agli altri ciò che essi hanno appreso, facendo risuonare la voce dei maestri come fossero la loro immagine.”.
I capaci ed i meritevoli devono dunque impegnarsi:
“Per le viscere di Gesù Cristo noi supplichiamo tutti i fedeli, specialmente coloro che sono costituiti in autorità o che hanno il compito d’insegnare, e ordiniamo loro in nome di Dio e del nostro Salvatore affinché impegnino la loro opera e le loro forze nel respingere ed eliminare dalla Santa Chiesa tutti questi errori e nel diffondere la luce della purissima fede.
Del resto ognuno ricordi che può e deve diffondere la fede cattolica con l’autorità dell’esempio, e predicarla con la costante professione. Fra i doveri che ci uniscono a Dio e alla Chiesa questo più di tutti bisogna ricordare, che cioè ciascuno, con tutte le capacità possibili, lavori per propagare la verità cristiana e per confutare gli errori.”
Al fine di portare a termine con successo questi compiti, Gesù Cristo riunì i propri discepoli in una solida e coesa comunità che è la Chiesa Cattolica, una società perfetta e superiore a qualsiasi altra organizzazione umana perché concepita, nutrita e protetta dal Salvatore.
“Per questo non volle soltanto avere seguaci della sua dottrina, ma unirli strettamente in una comunità e in un solo corpo, “che è la Chiesa” (Col 1,24), di cui egli fosse il capo. La vita di Gesù Cristo permea e si diffonde in tutto il corpo nella sua compagine; alimenta e sostiene le singole membra, e così unite e composte le dirige allo stesso fine, anche se l’azione di ciascun membro non è la stessa. Per questa ragione la Chiesa non solo è una società perfetta e molto superiore ad ogni altra società, ma è stato ordinato dal suo Autore che essa debba combattere per la salvezza del genere umano “come esercito schierato sul campo” (Ct 6,9).”
La natura della Chiesa, le sue finalità e la sua conformazione non possono dunque essere modificati in base alla sensibilità della ragione umana perché
“a nessuno è lecito vivere secondo il proprio arbitrio, né seguire nella lotta la tattica che gli pare, perché non raccoglie ma disperde chi non raccoglie con Cristo e con la Chiesa, e certamente combattono contro Dio coloro che non combattono con Lui e con la Chiesa.
(…)“Pertanto vi scongiuro, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a dire tutti la stessa cosa, e che non esistano divisioni fra voi: siate uniti nello stesso spirito e nello stesso sentimento” (1Cor 1,10). (…) Poiché dunque una è la Chiesa, uno Gesù Cristo, una deve essere la dottrina di tutti i cristiani in tutto il mondo.
Ma, come comanda l’Apostolo Paolo, bisogna che l’unanimità sia perfetta. Poiché la fede cristiana non si basa sulla ragione umana ma sull’autorità della mente divina, noi crediamo che le cose che abbiamo ricevuto da Dio siano “vere non per l’intrinseca verità delle cose viste con il naturale lume della ragione, ma per l’autorità dello stesso Dio rivelante che non può ingannarsi né può ingannare”. Ne consegue che qualunque cosa certamente rivelata da Dio deve essere accettata con pieno ed uguale assenso: negare fede ad una sola di queste, significa rifiutarle tutte.”
Il baluardo contro le diversità di opinioni anche interne alla stessa comunità di fedeli, le quali possono innescare pericolose devianze dottrinali e vere e proprie eresie, è rappresentato dalla Chiesa docente in qualità di custode delle verità divinamente rivelate, il cui sommo maestro è il Romano Pontefice.
“Sovvertono il fondamento stesso della fede coloro che negano che Dio abbia parlato agli uomini, o che dubitano della sua infinita verità e sapienza. Spetta alla Chiesa docente stabilire quali sono le verità divinamente affidate alla Chiesa stessa, alla quale Dio demandò anche la custodia e l’interpretazione della propria parola. Il sommo maestro nella Chiesa è il Pontefice romano. E come la concordia degli animi richiede un perfetto consenso in una stessa fede, così richiede che le volontà siano perfettamente soggette e obbedienti alla Chiesa e al romano Pontefice, come a Dio.”L’obbedienza deve essere perfetta perché è richiesta dalla Fede stessa e non può essere separata da essa, come venne spiegato da San Tommaso d’Aquino:
“L’oggetto formale della fede è la prima verità, come ci viene rivelato nella Sacra Scrittura e nella dottrina della Chiesa, che procede dalla prima verità. Perciò chiunque non aderisce alla dottrina della Chiesa come a regola infallibile e divina che promana dalla verità prima manifestata nelle Sacre Scritture, non ha la proprietà della fede, ma considera le verità della fede in modo diverso dalla fede. È pertanto manifesto che chi aderisce alla dottrina della Chiesa come a regola infallibile, accetta tutto ciò che la Chiesa insegna; invece, se dei suoi insegnamenti egli ritiene quello che vuole e rigetta quello che non vuole, egli non aderisce come norma infallibile alla dottrina della Chiesa, ma unicamente alla propria volontà.
Nel determinare i limiti dell’obbedienza nessuno creda di dover obbedire all’autorità dei sacri Pastori, e specialmente del romano Pontefice, solamente in ciò che riguarda il dogma, il cui ostinato ripudio non può essere disgiunto dal peccato di eresia. Anzi, non basta neppure accettare con sincera e ferma approvazione quelle dottrine che, quantunque non definite da un solenne giudizio, vengono tuttavia proposte dalla Chiesa alla credenza dei fedeli come divinamente rivelate al magistero ordinario ed universale, e si devono credere come “di fede cattolica e divina” secondo il decreto del Concilio Vaticano. Ma resta ancora l’obbligo dei cristiani, che devono lasciarsi guidare e governare dal potere e dal consiglio dei Vescovi, e in primo luogo dalla Sede Apostolica. Quanto ciò sia ragionevole è evidente. Infatti, delle verità contenute nella Rivelazione, alcune riguardano Dio, altre l’uomo stesso e le cose necessarie alla salvezza eterna dell’uomo.
Ora, questo doppio ordine di verità, cioè quello che si deve credere e quello che si deve operare, appartiene per diritto divino, come abbiamo detto, alla Chiesa e al Sommo Pontefice.”
Spetta quindi solo al Papa, in qualità di Vicario di Cristo e a cui Gesù stesso conferì il munus ed il ministerium, discernere e decidere sulle cose riguardanti il Credo e su tutto ciò che riguarda la Chiesa, nel rispetto della Divina Rivelazione.
“Per tali motivi il Pontefice deve poter giudicare con la sua autorità quali siano le cose contenute nella parola di Dio, quali dottrine sono ad esse conformi, e quali no. Allo stesso modo deve indicare ciò che è onesto o turpe; ciò che si deve fare e cosa fuggire per raggiungere la salvezza; altrimenti non sarebbe più il sicuro interprete della parola di Dio, né guida sicura all’uomo nell’agire.”
Il dovere di obbedienza del Cristiano è dunque bipartito: verso la Chiesa Cattolica che è
“una società costituita con eccellente ordinamento di Dio stesso, con il fine diretto e naturale di portare la pace e la santità nelle anime; e poiché essa sola ha da Dio i mezzi a ciò necessari, ha le sue leggi ben determinate, determinati doveri, e segue nel governo dei popoli cristiani metodi e vie conformi alla sua natura.” e anche verso il rispettivo Stato di appartenenza dal momento che “La Chiesa guida popoli sparsi su tutta la terra, differenti per razze e costumi, i quali, vivendo nei singoli Stati secondo le proprie leggi, devono obbedire contemporaneamente al potere civile e a quello ecclesiastico”.
Questi due doveri sono congiunti nella stessa persona ma non sono né contrastanti né confusi perché è chiaro il confine tra il potere spirituale e quello temporale ed è ragionevole comprendere come ambedue gli istituti concorrono alla stabilità ed al perfezionamento dell’essere umano.
Chi governa è dunque libero di amministrare la cosa pubblica, senza entrare necessariamente in contrasto con la Chiesa, mentre quest’ultima deve
“governare gli uomini tutelando “il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33), dedicandosi totalmente a realizzarlo. Nessuno può dubitare, salva la fede, che alla sola Chiesa sia stato assegnato questo particolare governo delle anime in modo che non è rimasto spazio alcuno alla potestà civile; infatti Gesù Cristo ha affidato le chiavi del regno dei cieli non a Cesare ma a Pietro.”
La Chiesa Cattolica è inoltre un istituto originale e autonomo rispetto a qualsiasi altra forma di organizzazione politico-istituzionale umana: essa non può e non deve adeguarsi alle mutabili esigenze della vita civile ma parallelamente rispetta il diritto delle altre società umane e non impone ad esse una particolare forma di governo né condanna a prescindere talune.
Sulla base di questo ragionevole contegno, che non è estremista e tiene conto del rispetto della religione e della morale, si devono ispirare i cittadini cristiani.
Papa Leone XIII scisse infatti nell’Enciclica che
“Non v’ha dubbio che sia lecita in politica una giusta lotta, naturalmente quando si combatte secondo verità e giustizia, affinché prevalgano quelle opinioni che appaiono più conformi delle altre al bene comune. Ma trascinare la Chiesa a partecipare all’attività di qualche partito, oppure pretendere di averla come aiuto per superare gli avversari è di coloro che vogliono abusare smoderatamente della religione. Al contrario la religione deve essere santa e inviolata per tutti.
Nella politica stessa, che non può prescindere dalle leggi morali e dai doveri della religione, si deve precipuamente e sempre cercare ciò che è più conforme al nome cristiano. Se talora appare che questo è in pericolo ad opera degli avversari, allora deve cessare ogni divergenza, e con intendimento concorde degli animi si deve prendere la difesa della religione, che è il massimo bene comune a cui devono rapportarsi tutti gli altri.”
Il potere spirituale e quello temporale, anche se possiedono una propria autonomia e sovranità, non sono comunque scissi e divergenti ma ciascuno coopera per il bene dei popoli, uniformandosi all’Autorità Divina. A tale riguardo la Chiesa, in particolare, non può disinteressarsi alle norme emanate dagli Stati e alla tutela della morale pubblica, né può appoggiare governi o principi che abusano della propria autorità, cadendo in errore.
“Per questo l’uomo chiede alla tranquillità dell’ordine pubblico, che la società civile si propone come fine prossimo, di poter vivere bene, ma soprattutto chiede sempre maggior aiuto per perfezionare i costumi; e questa perfezione non consiste altro che nel conoscere e praticare la virtù. Contemporaneamente l’uomo vuole doverosamente trovare nella Chiesa gli aiuti dei quali possa fruire per la sua perfezione religiosa, la quale si trova nella conoscenza e nella pratica della vera religione che è la regina delle virtù, appunto perché, ordinandole a Dio, le compie e le perfeziona tutte.
Nel sancire le leggi e le istituzioni si deve aver riguardo alla natura morale e religiosa dell’uomo, e si deve curare la sua perfezione, ma rettamente e con ordine: non si deve comandare o vietare alcunché, senza tener conto di quello che spetta alla società civile e di quello che spetta alla società religiosa. Per questa ragione la Chiesa non può disinteressarsi delle leggi che hanno valore nello Stato, non in quanto tali, ma perché, uscendo dai limiti del proprio ambito, talvolta invadono il diritto della Chiesa. Anzi, per essa è un dovere impostole da Dio di resistere ogni volta in cui la legislazione dello Stato danneggi la religione, e di impegnarsi attivamente affinché lo spirito del Vangelo arrivi a permeare le leggi e le istituzioni dei popoli.
(…) la Chiesa non può favorire e appoggiare coloro dai quali si sente contestata: cioè coloro che apertamente ricusano di rispettare i suoi diritti e che vogliono separare due cose connesse per la loro natura, la religione e la vita civile. Al contrario essa favorisce, come è suo dovere, coloro che avendo un giusto concetto dello Stato e della società cristiana, vogliono operare concordi per il bene comune.”
In questi precetti è contenuta la norma che ogni Cattolico deve seguire nell’esercizio della vita pubblica. Il fedele può così partecipare alla politica, impegnandosi per l’unità della Chiesa, evitando quei falsi maestri “che promettono agli altri la libertà, mentre essi stessi sono schiavi della corruzione” e favorendo quegli uomini che si distinguono per la propria condotta e integrità morale. La Chiesa, a sua volta, fornisce loro quella necessaria potenza e virtù spirituale utile per “vincere con la saggezza le insidie, e con il coraggio la violenza”.
L’attivista politico cristiano deve poi avere l’accortezza di evitare due difetti: l’ascoltare quella falsa prudenza di chi dice che non bisogna opporsi apertamente all’iniquità per non esasperare gli animi e la temerarietà di certi individui che al posto di favorire la Chiesa la danneggia.
“Quanto poi a coloro che parteciperanno alla politica dovranno evitare due difetti, dei quali uno usurpa il falso nome di prudenza, l’altro è la temerarietà. Alcuni affermano che non conviene opporsi apertamente alla potente e imperante iniquità, perché la lotta non esasperi l’animo degli avversari. Non si sa se costoro stiano pro o contro la Chiesa, in quanto affermano di professare la dottrina cattolica ma poi vorrebbero che la Chiesa permettesse di propagare impunemente le teorie che le sono contrarie. Si lamentano dello scadimento della fede e anche della corruzione dei costumi, ma non fanno nulla per rimediarvi, anzi talvolta con l’eccessiva indulgenza o con una dannosa simulazione aggravano il male. Costoro vogliono che nessuno abbia dubbi sulla loro devozione alla Sede Apostolica, ma hanno sempre qualcosa da rimproverare al Papa. La prudenza di queste persone è di quel genere che l’Apostolo Paolo chiama “sapienza della carne e morte dell’anima”, dato che non è né può essere subordinata alla legge divina. Nulla è meno utile per chi voglia diminuire questi mali. I nemici lo dichiarano apertamente, e se ne gloriano: hanno il fermo proposito di abbattere fin dalle fondamenta, se fosse possibile, l’unica vera religione, quella cattolica. Con tale obiettivo tutto osano: comprendono infatti che quanto più si indebolirà il coraggio degli altri, tanto maggiore libertà avranno per compiere le loro malefatte.
Pertanto coloro che seguono la “prudenza della carne” e fingono di ignorare che ognuno deve essere un buon soldato di Cristo, coloro che vogliono conseguire il premio dovuto ai vincitori attraverso una via addolcita e senza combattere, invece di troncare la via dei malvagi arrivano a favorirla.
Alcuni, mossi da intenti fallaci o, quel che è peggio, un po’ agendo e un po’ dissimulando, non si assumono le loro responsabilità. Vorrebbero che la Chiesa si reggesse secondo il loro giudizio e parere, fino ad accettare di malavoglia o con ripugnanza ciò che si fa altrimenti. Costoro contestano con vane parole e sono da rimproverare non meno degli altri. Questo significa non voler seguire la legittima potestà, ma prevenirla; è un voler trasferire ai privati l’ufficio dei magistrati, con grande sconvolgimento di quell’ordine che Dio ha stabilito nella sua Chiesa, da osservarsi in perpetuo, e che non permette sia violato impunemente da chicchessia.”
Chi sceglie di porsi a servizio della comunità e scendere nell’agone politico deve invece agire ogni volta che è necessario senza tirarsi indietro, nella consapevolezza che una eventuale persecuzione ingiusta avrà sempre un termine. Il fine massimo, secondo il Pontefice, è quello di difendere la religione cristiana, soprattutto “contro quella setta audacissima, nata per far guerra al cristianesimo, che non cessa di perseguitare il Sommo Pontefice nei suoi poteri” forse riferendosi alla massoneria, pur nel rispetto della gerarchia e dell’obbedienza per non commettere l’errore della temerarietà.
Leone XIII raccomandò infatti a tutti i Cristiani ciò che San Paolo chiamava “la prudenza dello spirito” la quale “nel moderare le azioni umane, segue l’aurea regola del giusto mezzo, facendo sì che l’uomo non si disperi per paura, o troppo presuma per temerarietà.”.
Il Papa, proseguendo l’Enciclica, fece poi una distinzione tra la prudenza politica, che riguarda il bene comune, e la prudenza inerente al bene personale di ciascuno, che è privata e segue i dettami della retta ragione nel governo della propria persona.
La prudenza politica è nello specifico rivolta ai governanti, tra cui lo stesso Romano Pontefice, il quale deve sia reggere la Chiesa sia regolare le azioni dei cittadini cristiani nel mondo, i Vescovi, che nella gerarchia ecclesiastica sono veri e propri principi, ed i sacerdoti.
Chi dirige le Nazioni ha quindi la responsabilità e il compito di mantenere la concordia di pensiero e di opere, conformandosi alle disposizioni della Chiesa, anche se può capitare che i suoi rappresentanti non rispecchino in pieno il modello di santità tracciato da Cristo.
“A questa struttura della Chiesa che nessun mortale può cambiare, bisogna adattare l’azione della vita. E come è necessaria per i Vescovi l’unione con la Sede Apostolica, così i chierici e i laici devono vivere e operare in perfetta unione con i Vescovi. Può accadere di trovare qualcosa di poco lodevole in qualche Vescovo, sia nei costumi, sia nelle opinioni: ma nessun privato deve arrogarsi la funzione di giudice, perché questo potere Cristo Signore lo diede soltanto a colui cui affidò gli agnelli e le pecore. Tenga ben presente ciascuno le sapientissime parole di Gregorio Magno: “I sudditi devono essere ammoniti a non giudicare temerariamente la vita dei loro superiori, anche se forse vedono in loro qualcosa di riprovevole, affinché mentre giustamente riprovano il male, essi per orgoglio non cadano più in basso di loro. Devono essere ammoniti che, considerando le colpe dei loro superiori, non diventino arroganti contro di essi, ma se le loro colpe sono molto grandi, le giudichino entro se stessi, in modo che per l’impulso del timore di Dio non ricusino il dovere della obbedienza... Le azioni dei superiori non devono essere ferite con la spada della lingua, anche quando sono giustamente da condannare”.
Papa Pecci ammonì poi i fedeli del fatto che tutte le considerazioni e i consigli precedenti nulla valgono se ciascuna persona non decide di conformare la propria vita alla morale cristiana, fornendo l’esempio del popolo ebraico:
“Ma tutti questi sforzi giovano poco se non viene intrapresa una condotta di vita conforme alla morale cristiana. È della Sacra Scrittura quella sentenza sul popolo ebreo: “Finché non peccarono al cospetto del loro Dio avevano molti beni, perché Dio odia la loro iniquità. Quando abbandonarono la strada che Dio aveva loro insegnato perché in essa camminassero, furono sterminati in battaglia da molti popoli” (Gdt 5,21-22). La nazione Giudaica portava in sé la figura del popolo cristiano: nelle sue antiche vicende c’era il preannuncio di realtà future; sennonché avendoci la bontà divina arricchiti e ornati di molti e maggiori benefici, la colpa dell’ingratitudine rende ancor più gravi le colpe dei cristiani.”
In questo passo è contenuto il monito e il presagio che Papa Leone XIII fece per il mondo moderno: se la Chiesa non può essere abbandonata da Dio perché su di essa le porte degli inferi non prevarranno, tuttavia le società umane quando degenerano e non seguono più i precetti evangelici sono destinate alla rovina.
“La Chiesa in nessun tempo e in nessun modo viene abbandonata da Dio: per questo non ha nulla da temere dalla malvagità degli uomini; ma le nazioni, degenerando dalla virtù cristiana, non possono avere la stessa sicurezza. “Infatti il peccato rende miseri i popoli” (Pr 14,34). E se ogni età anteriore ha sperimentato la forza e la verità di questa sentenza, per quale motivo non dovrebbe sperimentarla la nostra? Anzi, molti già affermano che il castigo è imminente e la condizione stessa degli Stati moderni lo conferma: infatti ne vediamo parecchi per nulla sicuri e tranquilli a causa delle discordie intestine. E se le fazioni dei malvagi continueranno spavaldamente per questa strada: se accadrà che coloro che già procedono sulla via del malaffare e dei peggiori proponimenti aumentino di potere e di mezzi, c’è da temere che demoliscano tutto l’edificio sociale fin dalle fondamenta poste dalla natura. E non è possibile che tanti pericoli possano essere allontanati con la sola opera degli uomini, soprattutto perché molta gente, abbandonata la fede cristiana, giustamente paga il fio della propria superbia; accecata dalle passioni, inutilmente cerca la verità; abbraccia come vero ciò che è falso, e crede di essere saggia “quando chiama bene il male e male il bene” e chiama “luce le tenebre e tenebre la luce” (Is 5,20).”
Per evitare che i mali si possano abbattere sulla società occorre adoperarsi per chiedere l’intervento salvifico di Dio attraverso la preghiera e la cura delle virtù cristiane.
E’ necessario poi far risorgere e difendere la carità, che è il fondamento della vita cristiana senza la quale le altre virtù sono vane e che secondo Papa Pecci, citando sempre San Paolo, è
“certamente il vincolo della perfezione, perché congiunge intimamente con Dio coloro che la praticano, per cui ottengono da Dio la vita dell’anima, agiscono in unione con Dio e tutto riferiscono a Dio. L’amore per Dio deve però essere unito all’amore per il prossimo, perché gli uomini partecipano della infinita bontà di Dio e portano espressa in se stessi la sua immagine e somiglianza. Il divino legislatore di questo comandamento della carità lo chiamò “nuovo” non perché qualche altra legge o la stessa natura non avessero già comandato di amare il prossimo, ma perché questo modo cristiano di amare era affatto nuovo, e a memoria d’uomo inaudito. Infatti Gesù Cristo domandò ai suoi discepoli e seguaci quell’amore con il quale Egli è amato dal Padre ed Egli stesso ama gli uomini, affinché essi potessero essere in Lui un cuore solo e un’anima sola, come Egli e il Padre sono per natura una cosa sola. Nessuno ignora come la potenza di questo precetto sia profondamente penetrata fin dall’inizio nel cuore dei cristiani, e quali frutti di concordia, di benevolenza reciproca, di pietà e di pazienza abbia procurato.
I nostri tempi ci stimolano vivamente alla carità. Mentre gli empi rinfocolano il loro odio contro Gesù Cristo, i cristiani devono rinvigorire la loro pietà e rinnovare quella carità che è fonte di grandi imprese. Cessino dunque gli eventuali dissensi; tacciano quelle contese che diminuiscono le forze dei combattenti e in nessun modo giovano alla religione: con l’unione delle menti nella stessa fede, con la carità sollecitatrice delle volontà, vivano tutti, come è giusto, nell’amore di Dio e dell’umanità.”
Sulla carità si devono primariamente fondare le famiglie, che sono la base di ogni consorzio umano, dove i padri e le madri giocano il ruolo cruciale di educare in modo cristiano la prole, avendo cura di evitare quei maestri e quelle scuole che possano corrompere i figli. Il Papa elogiò a tal fine i genitori che con grandi sacrifici riuscirono a creare scuole cristiane, consapevoli che l’educazione passa prima dalla famiglia ed è una prerogativa spettante in primo luogo ai padri e alle madri.
“L’occasione Ci porta ad ammonire specialmente i padri di famiglia affinché sappiano governare la loro casa con questi precetti ed educare bene i figli. La famiglia è il germe della società civile, e le sorti della società si formano in gran parte fra le pareti domestiche. Pertanto, coloro che vogliono strappare la società dal cristianesimo, partono dalle radici e si affrettano a corrompere la famiglia. Da questa decisione e da questo crimine non li trattiene il pensiero di non poterlo fare senza recare una gravissima ingiuria ai genitori: infatti i genitori hanno dalla natura il diritto di educare coloro che hanno procreato, con il conseguente dovere che la loro educazione corrisponda alla grazia di avere avuto dei figli in dono da Dio. È dunque necessario che i genitori, reagendo, si sforzino di respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e rivendichino il diritto di educare come conviene i figli nel costume cristiano, specialmente tenendoli lontani da quelle scuole nelle quali corrono il pericolo di assorbire il veleno dell’empietà. (…) In questo sono veramente degni di ogni ammirazione quei cattolici di varie nazioni, che per l’educazione dei loro figli hanno organizzato scuole con grandi spese e maggiore costanza. Bisogna che questi salutari esempi siano imitati dovunque i tempi lo esigono: ma si convinca ognuno che prima di tutto nell’anima dei fanciulli molto può l’educazione domestica. Se l’adolescenza avrà trovato in casa una retta regola di vita, come una palestra di cristiane virtù, la salvezza della società sarà in gran parte assicurata.”
Tutto questo rappresenta la missione e la sapienza cristiana che ognuno deve applicare nella società in cui vive e nel proprio quotidiano, specie al giorno d’oggi, per portare avanti la buona battaglia per la salvezza della sua anima e di quella del prossimo.
“Per quanto riguarda Noi e tutti voi, certamente, finché siamo in vita faremo sì che non vengano mai meno in questo combattimento la Nostra autorità, il Nostro consiglio e la Nostra opera. E non c’è dubbio che sia al gregge, sia ai pastori, non mancherà il particolare aiuto di Dio, finché il nemico non sarà vinto.”
