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Esisterebbe una scuola senza Religione cattolica?

Fonte:
CulturaCattolica.it
Ho letto sul Foglio l'articolo di Matteo Righetto sull'insegnamento della religione nelle scuole italiane, mi è parso interessante, «discutibile», proprio nel senso di riaprire un dialogo-discussione sull'argomento. Ho subito mandato le mie riflessioni al Direttore del Foglio, senza riceverne alcuna risposta.
Le offro ai lettori di CulturaCattolica.it, sperando in un serio confronto, come tra noi è sempre accaduto

Interessante l’articolo del Foglio a firma di Matteo Righetto «ESISTEREBBE PROUST SENZA SODOMA E GOMORRA?» a proposito dell’insegnamento della religione nella scuola e anche nelle università. E purtroppo non gli si può dire che quello che chiede è quello che accade già.
Non so se la soluzione di studiare la Bibbia sia un autentico toccasana, perché ritengo che il problema sia più in generale la questione globale della scuola italiana e degli insegnanti, ma soprattutto della concezione culturale nella quale siamo immersi.

Comincio a dire che l’ignoranza cui Righetto si riferisce è un dato macroscopico.
Riconosco che un certo numero di insegnanti non è adeguato al compito.
Mi pare che la «religione cattolica» come materia scolastica sia tenuta in scarsa considerazione dalla scuola stessa e dai colleghi delle altre materie.

Però mi chiedo, sollecitato dalla giusta preoccupazione di Matteo Righetto:
1. Che ne abbiamo fatto della motivazione per cui il Concordato (e quindi lo Stato italiano) «assicura» l’insegnamento della religione cattolica nella scuola? Dovremmo leggere con attenzione il famoso articolo 9.2 che così recita: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado».
2. Il principio della laicità dello Stato (e quindi della scuola) mi pare solitamente invocato in senso inverso al suo significato originario, che dovrebbe garantire la libertà del pensiero e la non intromissione dello stato stesso nelle questioni che non lo riguardano. Oggi purtroppo tale principio impedisce (e non sono esenti da colpa anche tanti cosiddetti laici cattolici) un serio approfondimento culturale nel riconoscimento di un autentico pluralismo, che non significa esclusione del «religioso» né tanto meno delle identità, bensì una feconda collaborazione tra soggetti portatori di significato. Qui forse bisognerebbe approfondire il tema della libertà di educazione e di pluralismo (nella scuola e delle scuole) per realizzare in Italia una scuola del popolo (e non contro il popolo a favore delle ideologie e del potere). Ricordiamo tutti il detto: «Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani» con lo strascico che ha avuto.
3. Quando si invoca l’insegnamento «delle religioni» ci si dimentica che ogni materia in qualche modo «umanistica» dovrebbe trattare la dimensione religiosa come parte essenziale del proprio insegnamento. Cosa sarebbero la storia e la filosofia, come pure la stessa geografia, tanto per esemplificare, senza riferimenti alle varie esperienze ed espressioni religiose?
4. Non posso che ricordare le chiare parole del Card. Martini a proposito dell’insegnamento della religione nella scuola. Già nel 1984 affermava: «Perché e come entra l’insegnamento della religione “nel quadro delle finalità della scuola”? Entra per svolgere un servizio alla scuola e alle sue finalità. Abbiamo visto che una finalità della scuola è quella di porre il problema del rapporto dei dati scientifici e storici con il significato che essi hanno per la coscienza e la libertà. Orbene la coscienza e la libertà chiamano in causa i beni ultimi, universali, fondamentali dell’esistenza. Quello che, poi, la coscienza e la libertà decideranno circa questi beni, è un compito delle singole persone. Ma è compito della scuola porre correttamente il problema. L’insegnamento della religione, che riguarda appunto le questioni decisive, i fini ultimi della vita, aiuta la scuola a svolgere questo compito. L’aiuta entrando in dialogo con le altre materie di insegnamento, ma conservando una propria specificità, che non può essere confusa con gli scopi delle altre materie… È … difficile immaginare un insegnamento della religione gestito autonomamente dallo Stato, senza riferimento a concrete comunità di credenti, come la Chiesa cattolica o altre comunità religiose, nelle quali la religione non è solo un problema teorico, ma un fatto di vita.»

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