Politici nuovi?
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«So bene che Maria è nel vostro cuore. Dopo cent’anni vogliamo quest’oggi ringraziarLa per la sua protezione e rinnovarLe la nostra fiducia, riconoscendo in Lei la “Stella della nuova evangelizzazione”, alla cui scuola imparare come recare Cristo Salvatore agli uomini e alle donne contemporanei. Maria vi aiuti a portare Cristo alle famiglie, piccole chiese domestiche e cellule della società, oggi più che mai bisognose di fiducia e di sostegno sia sul piano spirituale che su quello sociale. Vi aiuti a trovare le opportune strategie pastorali per far sì che Cristo sia incontrato dai giovani, portatori per loro natura di nuovo slancio, ma spesso vittime di nichilismo diffuso, assetati di verità e di ideali proprio quando sembrano negarli. Vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morali soluzioni di sviluppo sostenibile. In tutti questi aspetti dell’impegno cristiano potete sempre contare sulla guida e sul sostegno della Vergine Santa. Affidiamoci pertanto alla sua materna protezione» [Benedetto XVI, Omelia, Cagliari 7 settembre 2008].
Il mondo della politica “necessita:
- di una nuova generazione
- di cristiani impegnati,
- capaci di cercare con competenza e rigore morale
- soluzioni allo sviluppo sostenibile” cioè che non dimentichi mai ogni uomo e la sua dignità, che non dimentichi i più deboli, che sia rispettoso dell’ambiente;
- fiducia e sostegno alle famiglie, senza che “si usi il termine famiglia per unioni che in realtà famiglia non sono”.
La politica necessita di una nuova generazione
La Chiesa non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia. E quando la società rispetta e promuove la dimensione religiosa cioè il senso della vita di ogni suo membro, essa riceve in cambio i beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua volontà di bene di ogni essere umano. La permanente carica rivoluzionaria del Vangelo non è mai identificabile in un messianismo ideologico di destra o di sinistra, né in una riforma stanca e impossibile, potremo dire un semplice e tiepido aggiornamento di centro. La vera rivoluzione permanente del Vangelo è che il Figlio di Dio incarnandosi si è unito in qualche modo ad ogni uomo in relazione nel proprio e altrui essere dono del Donatore divino, come dell’universo che lo circonda, sempre in relazione con se stesso, con Dio e con tutto cioè persona. Platone dice: centro è il mondo e tutte le ideologie che alla tradizione platonica idealista e non realista si rifanno, senza una conoscenza avvenimento che si rifà all’origine la fondamento dicono che centro è la storia universale, lo stato, la nazione, la classe, la razza, gli interessi corporativi; il cristianesimo dice il contrario: centro sei tu, ogni uomo nel suo essere dono di Dio in relazione con il Donatore divino, con se stesso con gli altri cui tutto finalizzare. Ogni persona è protagonista, il primo affluente della storia universale cui è finalizzata la comunità, il popolo di appartenenza, lo stato, l’apparato politico e legislativo. La sua vita quotidiana fatta di gioie, di speranze e dolori; di lavoro e famiglia o comunità; di affetti e di rapporti…non è mai una storia individuale. E’ sempre anche storia di tutti perché nessuno vive solo. Negare questo è chiudere gli occhi all’evidenza in nome di una esasperazione tale dell’individuo, come nell’attuale liberalismo esasperato, che dissolve l’essere stesso di ogni persona in una solitudine infernale. La conoscenza di ogni io umano è sempre un avvenimento perché giunge all’origine, all’essere dono del Donatore divino nel proprio e altrui essere e di tutto il mondo circostante, crea o rompe legami e situazioni che coinvolgono poco o tanto; alimenta o contrasta la mentalità dominante, il sentire condiviso, comune; crea istituzioni e opere, genera uno stile di vita frutto di un ethos profondo. In sintesi rende trasparente una certa visione d’uomo e di mondo condivisa, una certa visione della vita. Questa è la radice dell’umanesimo del quale l’Europa, l’Umanesimo, il Rinascimento, la Modernità nei suoi inizi è in debito con le radici cristiane. Un umanesimo non nominalistico ma integrale, concreto e fondato in modo trascendente. Non tutti gli umanesimi, infatti, sono equivalenti sotto il profilo morale. Non solo per gli aspetti religiosi fondanti, ma anche per quelli etico – sociali. A seconda della visione d’uomo che si adotta, infatti, si hanno conseguenze diverse per la convivenza civile. Se per esempio, si concepisce l’uomo, secondo una tendenza oggi diffusa dopo la crisi delle ideologie borghesi e marxiste, collettiviste e statiste, in modo individualistico, come giustificare lo sforzo per la costruzione di una comunità giusta e solidale, di una economia sociale a livello globale? La politica necessita di una nuova generazione con questa visione universale, con questa Weltanshauung.
La politica necessita di fedeli cristiani impegnati
Il compito immediato di agire nell’ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come tale, ma attraverso dei fedeli laici che operano come cittadini sotto la propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici, i giovani sono chiamati a dedicarsi con generosità e coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo. “Voi ragazzi e ragazze – ha detto Benedetto XVI ai giovani in piazza Yenne – costituite il futuro pieno di speranza di questa Regione, nonostante le difficoltà che conosciamo tutti. Conosco il vostro entusiasmo, i desideri che nutrite e l’impegno che ponete per realizzarli. E non ignoro le difficoltà e i problemi che incontrate. Penso, ad esempio – e abbiamo sentito di questo – penso alla piaga della disoccupazione e della precarietà del lavoro, che mettono a rischio i vostri progetti; penso all’emigrazione, all’esodo delle forze più fresche ed intraprendenti, con il connesso sradicamento dall’ambiente, che talvolta comporta danni psicologici e morali., prima ancora che sociali. Cosa dire poi del fatto che nell’attuale società consumistica, il guadagno e il successo sono diventati i nuovi idoli di fronte ai quali tanti si prostrano? La conseguenza è che si portati a dar valore solo a chi – come si suol dire – ‘ha fatto fortuna’ ed ha una sua ‘notorietà’, non certo a chi con la vita deve focosamente combattere ogni giorno. Il possesso di beni materiali e l’applauso della gente hanno sostituito quel lavorio su se stessi che serve a stemperare lo spirito e a formare una personalità autentica (nel privato e nel pubblico, nell’economia e nella politica). Si rischia di essere superficiali, di percorrere pericolose scorciatoie alla ricerca del successo, consegnando così la vita ad esperienze che suscitano soddisfazioni immediate, ma sono in se stesse precarie e fallaci. Cresce la tendenza all’individualismo, e quando ci si concentra solo su se stessi si diventa inevitabilmente fragili; viene meno la pazienza dell’ascolto, fase indispensabile per capire l’altro e lavorare insieme” non solo a livello locale, nazionale, ma anche internazionale di fronte alle grandi sfide nelle quali vaste porzioni della famiglia umana sono maggiormente in pericolo: le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, alcune terribili epidemie. Ma occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di politiche che contraddicono fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura di ogni essere umano, in particolare riguardo alla tutela di ogni vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale. La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime preferenze per l’una o per l’altra parte istituzionale o costituzionale, che si rispettosa dell’autentica democrazia. Ma ciò non ha nulla a che fare con una “diaspora” culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea e visione del mondo compatibili con la fede o anche con una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa e del suo Compendio. “Urge – ha ricordato Benedetto XVI ai giovani di Sardegna – la seria formazione intellettuale e morale, indispensabile per progettare e costruire il vostro futuro e quello della società. Chi su questo vi fa degli “sconti” non vuole il vostro bene. Come si potrebbe infatti progettare seriamente il domani, se si trascura il naturale desiderio che è in voi di sperare e di confrontarvi? La crisi di una società inizia quando essa non sa più tramandare il suo patrimonio culturale e i suoi valori fondamentali alle nuove generazioni (emergenza educativa). Non mi riferisco solo e semplicemente al sistema scolastico. La questione è più ampia. C’è, lo sappiamo, un’emergenza educativa, che per essere affrontata richiede genitori e formatori capaci di condividere quanto di buono e di vero essi hanno sperimentato e approfondito in prima persona. Richiede giovani interiormente aperti, curiosi di imparare e di riportare tutto alle originarie esigenze ed evidenze del cuore. Siate davvero liberi, ossia appassionati della verità. Il Signore ha detto: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32). Il nichilismo moderno invece predica l’opposto, che cioè è la libertà a rendervi veri. C’è anche chi sostiene che non esiste nessuna verità, aprendo così la strada alla svuotamento dei concetti di bene e di male e rendendoli addirittura intercambiabili. Mi hanno detto che nella cultura sarda c’è questo proverbio: “Meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia”. Un uomo in effetti può sopportare e superare i morsi della fame, ma non può vivere laddove la giustizia e verità sono bandite. Il pane materiale non basta, non è sufficiente per vivere umanamente in modo pieno; occorre un altro cibo del quale essere sempre affamati, del quale nutrirsi per la propria crescita personale e per quella della famiglia e della società”.
Capaci di competenza e rigore morale
Oggi, come in altri periodi della storia, si vuole che la Chiesa rimanga in Chiesa e si punta ad estromettere la religione dal dibattito politico pubblico, in modo antidemocratico. Ma oggi, però, il popolo di Dio, è chiamato a partecipare alla storia umana anche con la difesa della ragione, capovolgendo la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso, alla necessità. L’immagine proposta dai mezzi di comunicazione sociale è sempre modulata da almeno tre elementi: il tipo di tecnologia, la necessità del profitto e la tendenza politica dell’organizzazione. Urge allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni e mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio senza cui è impossibile uscire dall’attuale e drammatica emergenza educativa. Il relativismo che il Papa richiama come un tarlo della società e della storia occidentale, richiede la luce della ragione intesa come facoltà del vero, del bene, del bello. Affermare l’efficacia della ragione non è “totalmente altro” dall’annuncio evangelico, non significa diminuire pastoralmente il Vangelo per impicciarsi di argomenti, di competenze altrui. L’essere ricercato dai filosofi per cogliere il senso della vita, della storia e dell’universo è l’Essere intervenuto nella storia di Israele e ha assunto il volto umano in Gesù, che risorto permane sacramentalmente nella Sua Chiesa per tutti e quindi fede e ragione si richiamano a vicenda, sono implicati reciprocamente nell’unità di ogni persona, “ragione e fede hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione” (Spe salvi 23), sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità.
Si potrebbe pensare che nell’epoca del pluralismo culturale sia arrogante giudicare gli eventi della storia con la verità del Vangelo, con le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana, che sia un atteggiamento di intellettuale “fondamentalismo cristiano”, così disprezzato dai mezzi di comunicazione sociale. Ci si chiede se la Chiesa possa pretendere di dirigere lo Stato, se la verità morale, legata ad una scelta religiosa, possa ispirare l’ordinamento civile valido per tutti, credenti e non credenti, religiosi e atei, agnostici. E’ una questione giusta e delicata, una preoccupazione vera. Ma se è gravemente ingiusto tradurre in termini di ordinamento pubblico certe scelte etico – religiose, confessionali, è pure scorretto ridurre oggi la posizione assunta dai credenti come cittadini tutta a scelta “confessionale”, e quindi totalmente individuale e privata. Un vero pluralismo ha bisogno di un sano confronto fra idee diverse. In questo senso, il modo migliore per far morire una democrazia è costringere la gente a tenere separate le convinzioni religiose e morali dalle decisioni politiche. Se la gente crede veramente in qualcosa e ne dà ragione, agirà anche nel compromesso sempre mantenendo quello come punto di coscienza. Certi valori – come nel campo della vita umana e della famiglia, della concezione della persona, della libertà e dello Stato – anche se sono illuminati dalla fede, pienamente pensati divengono cultura e bagaglio della ragione comprensibile da tutti. Nel Messaggio per la 40° Giornata Mondiale della Pace (1 gennaio 2008), il Santo Padre ha ricordato anche i sessant’anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU, e ha scritto: “ I diritti enunciati dalla Carta sono espressione ed esplicitazione della legge naturale, iscritta nel cuore di ogni essere umano e a lui manifestata dalla ragione… La ragione umana, peraltro, è capace di discernerla, almeno nelle sue esigenze fondamentali, risalendo così alla Ragione creatrice di Dio (…).Pur con perplessità e incertezze, (ogni uomo è filosofo) e può giungere a scoprire, almeno nelle linee essenziali, questa legge morale comune, che, al di là delle differenze culturali, permette agli esseri umani di capirsi tra loro circa gli aspetti più importanti del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto”.
Soluzioni allo sviluppo sostenibile cioè non dimenticare mai ogni uomo e la sua dignità, i più deboli e un rispetto per l’ambiente
Cosa possiamo fare per portare maggiormente nella vita delle comunità cristiane il senso di responsabilità nei riguardi del creato, nell’uso delle risorse per tutti, la grande questione sociale oggi mondiale?
Negli ultimi decenni, purtroppo la dottrina e quindi la catechesi della creazione nell’educazione cristiana era quasi scomparsa, era quasi impercettibile. Ed ora ci accorgiamo dei danni che ne derivano. L’intera realtà che ci circonda è idea dello Spirito Creatore e Redentore che ha preso forma e parla al nostro spirito dello Spirito di Dio. Perciò il rispetto del creato è un’esigenza della nostra fede: la creazione non ci è stata affidata perché la sfruttassimo, bensì affinché con rispetto la custodissimo e la sviluppassimo come il giardino di Dio, in cui gli uomini possono vivere secondo umanità. Nuovi terribili metodi di distruzione della Terra sono divenuti possibili sotto il segno del materialismo e della negazione dello Spirito Creatore. Consideriamo l’intero creato alla stregua di un prodotto materiale da smontare e rimontare secondo i nostri bisogni – e, persino l’uomo, anch’esso destinato a diventare un prodotto, affinché come un prodotto si possa manipolarlo per i nostri scopi, coltivarlo, sfruttarlo e finanche ucciderlo. Fino a quando la terra è stata considerata creazione di Dio, il compito di “soggiogarla” non è mai stato inteso come un ordine per renderla schiava, ma piuttosto come compito di essere custodi della creazione e di svilupparne i doni; di collaborare noi stessi in modo attivo all’opera di Dio, all’evoluzione che Egli ha posto nel mondo, così che i doni della creazione siano valorizzati e non calpestati e distrutti.
Il consumo brutale della creazione inizia dove non c’è una conoscenza della realtà come avvenimento che ci rimanda all’origine, a Dio Creatore, dove la materia è ormai soltanto proprietà nostra e la consumiamo solo egoisticamente per noi stessi, dimenticando la questione sociale mondiale di tanti che muoiono di fame. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi; inizia dove non esiste più alcuna dimensione della vita al di là della morte, dove in questa vita dobbiamo accappararci il tutto e possedere la vita nella massima intensità possibile, dove posiamo possedere tutto ciò che è possibile possedere.
Istanze vere ed efficienti contro lo spreco e la distruzione del creato possono essere realizzate e sviluppate, comprese e vissute soltanto là dove la creazione è considerata a partire da Dio; dove la vita è considerata a partire da Dio e ha dimensioni maggiori – nella responsabilità davanti a Dio – e un giorno ci sarà donata da Dio in pienezza e mai tolta: donando la vita, noi la riceviamo. E così, data l’attuale sensibilità ecologica, dobbiamo tentare con tutti mezzi di presentare la fede in pubblico, in modo visibile, specialmente là dove riguardo alla natura c’è già sensibilità. La sensazione che il mondo ci stia scivolando via – perché siamo noi stessi a cacciarlo via – e il sentirci oppressi dai problemi ecologici, proprio questo ci dà l’occasione adatta in cui la nostra fede può parlare pubblicamente e può farsi valere come istanza propositiva. Infatti politicamente, non si tratta soltanto di trovare tecniche che prevengono i danni, anche se è importante trovare energie alternative ed altro. Ma tutto questo non sarà sufficiente se noi stessi non troveremo un nuovo stile di vita, una disciplina fatta anche di rinunce, una disciplina di riconoscimento degli altri a livello mondiale, ai quali il creato appartiene tanto quanto a noi che più facilmente posiamo disporne; una disciplina della responsabilità nei riguardi del futuro degli altri e quindi del nostro stesso futuro, perché è responsabilità davanti a Colui che è nostro Giudice e in quanto Giudice Redentore, ma appunto perché veramente nostro Giudice. Per essere ascoltati dobbiamo contemporaneamente di mostrare il nostro stesso esempio, con il nostro stile di vita, che stiamo parlando di un messaggio in cui noi stessi crediamo e secondo il quale è possibile vivere e vivere bene.
Fiducia e sostegno alle famiglie, senza che “si usi il termine famiglia per unioni che in realtà famiglia non sono”
Culturalmente i fedeli laici non possono non essere uniti, pur differenziati politicamente, nella promozione della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale. La testimonianza aperta e coraggiosa che la Chiesa e i cattolici italiani hanno dato e stanno dando a questo riguardo sono un servizio prezioso all’Italia, utile e stimolante anche per molte Nazioni d’Europa e del mondo occidentale. Questo impegno e questa testimonianza fanno certamente parte di quel grande ‘sì’ che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio, all’amore autentico.
Rifacendosi alla visita del 20 ottobre 1985 di Giovanni Paolo II Benedetto XVI ha ricordato tre valori importanti per costruire una società fraterna e solidale. “Sono indicazioni quanto mai attuali, che oggi volentieri riprendo evidenziando in primo luogo il valore della famiglia, da custodire – disse il servo di Dio – come “antica e sacra eredità”. Tutti voi sperimentate l’importanza della famiglia, in quanto figli e fratelli; ma la capacità di formarne una nuova, non può essere data per scontata. Occorre prepararvisi. In passato la società tradizionale aiutava di più a formare e a custodire una famiglia. Oggi non è più così, oppure lo è “sulla carta”, ma nei fatti domina una mentalità diversa. Sono ammesse altre forme di convivenza; a volte viene usato il termine “famiglia” per unioni che, in realtà, famiglia non sono. Soprattutto, nel contesto nostro, si è molto ridotta la capacità dei coniugi di difendere l’unità del nucleo familiare a costo anche di grandi sacrifici. Riappropriatevi, cari giovani, del valore della famiglia; amatela non solo per tradizione, ma per una scelta matura e consapevole: amate la vostra famiglia di origine e preparatevi ad amare anche quella che con l’aiuto di Dio voi stesi formerete. Dico: “preparatevi”, perché l’amore non si improvvisa. L’amore è fatto, oltre che di sentimento, di responsabilità, di costanza, e anche del senso del dovere. Tutto questo lo si impara attraverso l’esercizio prolungato delle virtù cristiane della fiducia, della purezza, dell’abbandono alla Provvidenza, della preghiera. In questo impegno di crescita verso un amore maturo vi sosterrà sempre la Comunità cristiana, perché in essa la famiglia trova la sua più alta dignità. Il Concilio Vaticano II la chiama “piccola Chiesa”, perché il matrimonio è un sacramento, cioè un segno santo ed efficace dell’amore che Dio ci dona in Cristo attraverso la Chiesa”.
Se è vero che per la sua natura e missione temporale ed eterna la Chiesa non è e non intende essere un agente politico, tuttavia essa ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, soprattutto in questo momento storico per l’Europa, per l’Occidente: la Chiesa ricorda di fronte alla nuova ondata di secolarismo e laicismo che pretendere di costruire la storia senza partire da Dio è costruirla contro l’uomo, contro il creato. E ricorda al nostro vecchio e amato continente che rifiuta le sue radici cristiane, attraversato da una ondata di illuminismo e laicismo che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente generando un nuovo costume di vita da imporre al mondo intero, che il resto del mondo guarda ormai con sospetto questa pretesa, la sente come una presunzione innaturale e pericolosa, intuisce che racchiude il germe del disfacimento spirituale e morale, dell’oscuramento dell’anima, che non riguarda solo gli individui, ma la loro stessa possibilità di vivere. Ecco perché urge una nuova generazione di fedeli cattolici, i quali agendo con piena responsabilità e facendo uso del diritto di partecipazione alla vita pubblica, si impegnano con gli altri membri della società a costruire un giusto ordine della società. Nella loro azione, peraltro, essi poggiano sui valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura di ogni essere umano, riconoscibili anche attraverso il retto uso della ragione mai staccata dall’esperienza e dalla storia. Così quando si impegnano con la parola e l’azione a fronteggiare le grandi sfide attuali, rappresentate dal lavoro, dall’economia, dalla politica, dalle guerre, dal terrorismo, dalla fame e dalla sete, dall’estrema e ormai insopportabile povertà di tanti esseri umani (l’attuale questione sociale mondiale), da alcune terribili epidemie, ma anche dalla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e dalla promozione della famiglia fondata sul matrimonio e prima responsabile dell’educazione, non agiscono per un loro interesse peculiare di parte o in nome di principi percepibili unicamente da chi professa un determinato credo religioso: lo fanno, invece, nel contesto e secondo le regole della convivenza democratica, per il bene di tutta la società e in nome di valori che ogni persona di retto sentire può condividere. Ne è prova che gran parte dei valori ricordati sono proclamati dalla Costituzione italiana, che sessant’anni or sono venne elaborata da uomini di diverse posizioni ideali. La nazione italiana avanzando sulla via dell’autentico progresso può offrire alla Comunità internazionale il suo prezioso contributo, promuovendo sempre più quei valori umani e cristiani che sostanziano la sua storia, la sua cultura, il suo patrimonio ideale, giuridico, artistico, e che sono tutt’ora alla base dell’esistenza e dell’impegno dei suoi cittadini. E in questo sforzo non manca certo il leale e generoso contributo dato dalla Chiesa cattolica attraverso l’insegnamento dei suoi vescovi e l’azione delle sue comunità parrocchiali, delle sue associazioni e attuali movimenti.