Ognissanti e Commemorazione dei Defunti: riaddomesticare la morte
Nella favola di La Fontaine (Libro I, XVI) dal titolo La Morte e il Boscaiolo (La Mort et le Bûcheron) leggiamo: Piuttosto soffrire che morire, questo è il motto degli uomini. L’esatto opposto del credo dell’occidentale contemporaneo.- Autore:
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La morte ci spaventa (eccome!), inutile negarlo.
Ma la paura non è certo un buon motivo per accelerare a occhi chiusi verso l’approvazione di sconsiderate leggi sull’eutanasia, ormai pronte per il gran varietà legislativo del 2026, tanto in Italia quanto qui in Francia.
Davvero ha senso coltivare l’illusione di poter controllare l’ora della propria morte per evitare di soffrire?
Nella favola di La Fontaine (Libro I, XVI) dal titolo La Morte e il Boscaiolo (La Mort et le Bûcheron) leggiamo: Piuttosto soffrire che morire, questo è il motto degli uomini. L’esatto opposto del credo dell’occidentale contemporaneo.
La morte resta uno scandalo, qualcosa che non fa parte del piano di Dio, e la nostra civiltà cristiana aveva imparato a farci i conti con questo scandalo, l’aveva addomesticato, perché non ci desse più le vertigini. La morte di uno dei suoi membri era questione che toccava non solo la famiglia del defunto bensì l’intera società.
Oggi che la società si è sgretolata (essendosi sgretolata la Chiesa, che era, e ancora dovrebbe essere, la società) la morte è stata ridotta a un fatto privato, da gestire entro le mura della propria casa o, ancor più arduo, della propria solitudine fisica e morale. E allora diventa insopportabile. Innominabile: se n’è andato, si è spento, è partito.
Il nero diventa viola, poi fucsia, circolare, non c’è nulla da vedere.
Eppure, eppure, nella censura e nell’edulcorazione generale, si fa largo in maniera sempre più prepotente… Halloween. La festa più brutta mai inventata (festa di cosa poi?). Una festa senza cuore, senza cervello, senza bellezza. Ragnatele, scheletri, teschi, scampanellate notturne, processioni di mentecatti che accompagnano orde di bambini sovreccitati gonfi di zuccheri, minacce (dolcetto o scherzetto? Ma vaff…).
Ogni anno è peggio. Halloween è ormai un obbligo orwelliano. Ennesimo capitolo della subordinazione della nostra cultura all’orrore nichilista a stelle e strisce.
Come riconquistare il terreno perduto? Con i Santi.
Con la festa di Ognissanti. Soprattutto riflettendo alla morte dei Santi. Come diceva il Curato d’Ars: i Santi non hanno sempre ben cominciato, ma hanno tutti sempre ben finito.
Cosa possono insegnarci i Santi tra Ognissanti e Giorno dei Morti sull’Arte di Morire?
Beh, per esempio che il tempo della sofferenza non è da sottovalutare, e nemmeno da abbreviare. Sant’Elisabetta della Trinità in agonia:
“Com’è solenne questo momento, quel che provo è un sentimento indescrivibile, un assaggio della giustizia e della santità di Dio”.
Santa Thérèse de Lisieux:
“Credo di aver fatto più atti di fede in questi ultimi istanti che in tutta la mia vita. A ogni occasione di lotta, quando il nemico viene a provocarmi, faccio prova di coraggio. Non mi batto in duello, ma volto le spalle al mio avversario, senza guardarlo in faccia. Preferisco guardare Gesù. A Gesù dico di essere pronta a versare fino all’ultima goccia di sangue pur di testimoniare fino alla fine che il Cielo ci attende. Per offrire l’eternità a ogni povero incredulo”.
Che grande mistero quello della comunione dei Santi. Che legame sublime quello tra Ognissanti e la Commemorazione dei Defunti.
In questi giorni, la Chiesa militante (noi) e la Chiesa Trionfante in Cielo (i Santi) si danno la mano, si uniscono nell’intercessione per le anime del Purgatorio.
Portare fede, fiducia, forza e coraggio a chi soffre.
Questa è la grandezza della civiltà cristiana.
Non l’eutanasia. E nemmeno Halloween.
Luca Costa
