A proposito del Sinodo: DOCUMENTO DI SINTESI DEL CAMMINO SINODALE DELLE CHIESE CHE SONO IN ITALIA
Spunti di lettura su «LIEVITO DI PACE E DI SPERANZA. DOCUMENTO DI SINTESI DEL CAMMINO SINODALE DELLE CHIESE CHE SONO IN ITALIA» Roma • 25 ottobre 2025Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni! – esclamò Frodo.
Anch’io – annuì Gandalf – come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato.
- Autore:
- Fonte:

• Premessa
Nella pagina iniziale (Sigle e abbreviazioni) si ritrovano i testi di riferimento:
1. Concilio Vaticano II
2. Documenti CEI
3. Papa Francesco
4. Papa Paolo VI (Un solo documento: Ecclesiam suam)
5. Codice di Diritto Canonico
6. Nessun riferimento – neppure nel documento intero – né a s. Giovanni Paolo II né a Benedetto XVI
• L’introduzione di Mons. Castellucci:
1. «Una Chiesa in cammino, in ascolto, senza pretese di superiorità [1], con la sola preoccupazione di accogliere il Vangelo e annunciarlo al mondo».
Quale superiorità? Non quella in senso psicologico, essendo in qualche modo una forma di patologia (vedi in nota). Il cristiano sa di portare un tesoro unico, in vasi di creta, che è la Rivelazione di Dio in Cristo.
2. «Gesù, quando vuole dare un’idea del Regno di Dio, non evoca mai immagini di potenza umana e divina, ma propone quadretti di vita lavorativa e domestica».
Questa riduzione sentimentale e un po’ infantile non corrisponde all’Annuncio del Regno di Dio da parte di Gesù Cristo. Non si tratta di un quadretto con uccellini e fiorellini. Il Catechismo della Chiesa Cattolica accenna alla drammaticità del tempo presente e ci chiede una riflessione realistica e coraggiosa [2]…
3. «La Chiesa di oggi: essere lievito di pace, insieme a cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, che si fanno operatori di pace in un mondo percorso da violenze che si speravano archiviate». Se è vero che il desiderio di pace tocca il cuore di molti contemporanei, rimane pur vero che Gesù (e lo ricordiamo ogni giorno nella ss. Eucaristia) ci ha detto: «Vi lascio la pace, non come la dà il mondo…»
4. «E, per restare nel contesto dei cattolici italiani, la divisione tra chi sogna una riedizione pura e semplice della “cristianità”, ormai definitivamente tramontata, e chi cerca invece una postura ecclesiale adatta alla società di oggi, crea tensioni e incomprensioni dannose per la comunione e la missione».
Da una parte siamo in un mondo scristianizzato, anche tra i cattolici italiani [forse il “fumo di satana” [3] di cui parlava s. Paolo VI e il prevalere di un pensiero “non cattolico” [4] nella Chiesa dovrebbero fare pensare] e dall’altro la divisione pare più fomentata da pastori od esperti che dalla gente comune (si potrebbe rileggere tutto quanto scrive Andrea Grillo [5] per capire chi è veramente divisivo). Questo, come il tema “destra/sinistra” nel contesto ecclesiale, mi pare una riduzione ideologica e inca pace di leggere adeguatamente la realtà della Chiesa, anche in Italia.
• Annotazioni sul testo approvato (e sarebbe interessante avere anche la documentazione dei votanti a favore e contro)
Par. 4: «[1] Permangono nostalgie clericali tra i ministri ordinati e tra i fedeli con la relativa resistenza a una conversione sinodale; c’è ancora ritrosia in ordine all’accesso delle donne a incarichi ecclesiali; individualismi, particolarismi e campanilismi appesantiscono spesso la vita delle comunità; più in generale, si avverte la [2] [3] diminuzione di una rilevanza sociale della voce ecclesiale. Queste difficoltà, insieme all’inevitabile fatica che portano con sé, possono generare stanchezze e disincanto persino nei ministri ordinati, come spesso accade. Solo prendendo [4] concreta coscienza della complessa e difficile situazione delle Chiese locali e assumendo un deciso impegno per il loro rilancio sarà possibile avanzare con realismo in questo cammino.»
- La radice del clericalismo forse nei laici va cercata nella continua affermazione della «ministerialità». Il compito di cristifideles laici ha un’altra dimensione e connotazione. Nel testo si parla in genere in modo non approfondito dell’ambiente, che non è solo una connotazione sociologica. Per il clero la riflessione dovrebbe cercare con più profondità la dimensione sacerdotale.
- La cosiddetta «scelta religiosa», con le conseguenze secolariste dei cattolici «adulti» e la dimenticanza (o la riduzione ideologica) della Dottrina sociale cristiana, forse spiegano l’inincidenza della Chiesa italiana. Basta vedere le scelte di questi ultimi tempi: l’uso sconsiderato dell’8 ‰, l’appoggio a partiti esplicitamente anticattolici, promotori delle unioni civili, delle DAT…
- Manca la riflessione sui movimenti. E qui anche l’ultimo discorso di Papa Leone sui Movimenti Popolari potrebbe essere di aiuto.
- La nuova traduzione del Padre nostro ha raggiunto non solo i fedeli frequentatori della Messa domenicale, ma un numero spropositato di uomini e donne, di qualunque condizione ed estrazione sociale (con la conseguenza che chi poneva questioni era considerato addirittura “contro il Papa”). Ma un impegno analogo per fare conoscere la dottrina cristiana sulla vita, aborto ed eutanasia, per esempio…? E l’IRC che raggiunge l’80% dei giovani italiani come contribuisce a creare una mentalità aperta all’insegnamento cristiano? La famosa «fede che, se non diventa cultura, non è accolta, vissuta e pensata» che posto ha nell’insegnamento scolastico (e non solo della religione cattolica - basterebbe riprendere il documento «Il laico cattolico testimone della fede nella scuola» per prendere «concreta coscienza della complessa e difficile situazione delle Chiese locali».
Par. 5: «In questi anni, dando spazio al racconto delle persone, delle comunità e dei territori – nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nei dialoghi con le istituzioni – si è resa visibile una Chiesa che accoglie e che invita».
L’inevitabile confronto deve misurarsi con il metodo evangelico dell’annuncio. Ritengo necessaria la ripresa dell’enciclica di s. Giovanni Paolo II sulla missione, qui il suggerimento sulla «inculturazione» può essere di aiuto alla chiarezza della posizione: «L’inculturazione nel suo retto processo dev’essere guidata da due principi: «La compatibilità col Vangelo e la comunione con la chiesa universale». Custodi del «deposito della fede», i Vescovi cureranno la fedeltà e, soprattutto, il discernimento, per il quale occorre un profondo equilibrio: c’è, infatti, il rischio di passare acriticamente da una specie di alienazione dalla cultura a una supervalutazione di essa, che è un prodotto dell’uomo, quindi è segnata dal peccato. Anch’essa dev’essere «purificata, elevata e perfezionata». Un tale processo ha bisogno di gradualità, in modo che sia veramente espressione dell’esperienza cristiana della comunità: «Occorrerà un’incubazione del mistero cristiano nel genio del vostro popolo - diceva Paolo VI a Kampala -, perché la sua voce nativa, più limpida e più franca, si innalzi armoniosa nel coro delle voci della chiesa universale». Infine l’inculturazione deve coinvolgere tutto il popolo di Dio, non solo alcuni esperti, poiché è noto che il popolo riflette quel genuino senso della fede che non bisogna mai perdere di vista. Essa va sì guidata e stimolata, ma non forzata, per non suscitare reazioni negative nei cristiani: dev’essere espressione di vita comunitaria, cioè maturare in seno alla comunità, e non frutto esclusivo di ricerche erudite. La salvaguardia dei valori tradizionali è effetto di una fede matura.» (Redemptoris missio, 54)
Par. 13: La sfida di «entrare in uno stato permanente di conversione pastorale e missionaria».
La riflessione sulla pastorale (che non può essere sganciata dalla dottrina) ci chiede un approfondimento serio e impegnativo, senza scorciatoie. La ripresa dell’enciclica sulla missione di s. Giovanni Paolo II suggerisce metodo e contenuti.
Par. 15: «…abitare il mondo con coraggio e audacia evangelica».
Nella lettera agli Ebrei (Ebr. 13, 14) si afferma: «Perché questo mondo non è la nostra casa, ma siamo in attesa della nostra casa eterna in cielo» [6]. Sarebbe meglio evitare affermazioni «poetiche» e riconoscere il posto e il compito dei cristiani in questo mondo. Forse la rilettura della Lettera a Diogneto [7] consentirebbe un giudizio più chiaro.
Par. 27 a: «Le Chiese locali… si impegnino a sostenere con gesti concreti le aspirazioni dei movimenti e delle organizzazioni popolari impegnati nel dar vita ad alternative concrete alla logica dello scarto, che si esprime ad esempio in politiche discriminatorie nei confronti di migranti e carcerati».
Qui basta il rimando al Discorso di Papa Leone ai PARTECIPANTI ALL’INCONTRO MONDIALE DEI MOVIMENTI POPOLARI
(PARTECIPANTI ALL’INCONTRO MONDIALE DEI MOVIMENTI POPOLARI).
Par. 30: L’attenzione di tutto il mondo della comunicazione è rivolta a questo articolo, per cui basta leggere i più svariati commenti. Certo è che pubblicare questa parte senza rendersi conto che sarebbe stata l’unica chiave di lettura del documento intero è forse segno di ingenuità o, speriamo non sia così, di calcolo cinico. Rimando a questo articolo e alle riflessioni di Mons. Paccosi citate alla fine del mio scritto [8].
Par. 31 b: «…anche tenendo conto dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere».
Qui basterebbe ricordare l’insegnamento chiaro di Papa Benedetto XVI (e tra l’altro anche nella sua capacità di confronto con l’ebraismo, in questo contesto in cui ci si preoccupa giustamente del dialogo ecumenico e interreligioso): «Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini. Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne naît pas femme, on le devient”). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo.»
[Papa Benedetto XVI - Auguri alla Curia 2012]
Par. 31 c: «…non avvengano forme di abuso psicologico, spirituale e di coscienza, anche nell’ambito dell’orientamento sessuale».
È forse questa la condanna di coloro che pensano alle cosiddette «teorie riparative»? Non possiamo sottovalutare il problema, e non cedere alle ideologie legate a un certo modo di intendere il lavoro psicologico e psichiatrico. Rimane certo che ogni approccio a questa problematica deve saper fare i conti con il cammino personale di ciascuno. [9]
Par. 33: «…elaborare un piano integrato di comunicazione».
Riflettiamo su quanto i mezzi di comunicazione hanno riportato proprio a proposito delle conclusioni del Sinodo. Dall’ANSA a Famiglia cristiana a Repubblica al Corriere, insomma tutte le maggiori testate hanno dato rilievo alle aperture alla comunità LGBTQ+ e ai gay: ci sarà pure un motivo, oppure sarà la colpa di Libero (cfr. Castellucci) se è accaduto così? [10]
Par. 36: «La comunità che celebra».
La riflessione sulla liturgia deve potere tenere conto sia del Concilio Vaticano II sia delle indicazioni di Benedetto XVI, perché si evitino abusi e/o schematismi. Del resto, l’«equilibrio tra quanto prevede il rito e quanto è da costruire» dovrebbe consentire una maggiore attenzione alle varie esigenze [11], senza censurare le domande di coloro che chiedono – anche attraverso il Vetus ordo – una maggiore attenzione alla dimensione misterica della celebrazione eucaristica.
Par. 39: «Le Chiese locali, tramite gli Organismi competenti, rilancino la pastorale d’ambiente». Forse un serio ripensamento sull’esperienza dei movimenti potrebbe suggerire dei modelli pastorali corrispondenti all’esigenza della «nuova evangelizzazione» (termine non presente nel documento – solo evangelizzazione, in 6 pagine).
Par. 53: «Le Chiese locali investano energie nel suscitare nuove vocazioni educative in tutti i campi, compreso l’insegnamento della religione cattolica nella scuola, presentandolo come una prospettiva professionale e culturale che realizza l’alleanza educativa tra Chiesa, scuola, famiglia e alunni».
Condivido pienamente – in attesa della annunciata Lettera sulla Educazione di Papa Leone – l’urgenza delle «vocazioni educative», in particolare l’IRC. Raggiungiamo la quasi totalità dei giovani e siamo una risorsa indispensabile per la creazione di una cultura della vita, non della morte né dello scarto. Qui il lavoro è immenso e la correzione di alcune derive secolarizzanti è indispensabile. Va ripensata tutta l’attività scolastica, la presenza dei docenti cattolici, l’attività delle associazioni di categoria, lo studio dei programmi. Non credo che il cosiddetto «insegnamento delle religioni» o la storia delle religioni sia una prospettiva utile né tantomeno percorribile.
Par. 59: «Per il rinnovamento della formazione ecclesiale in senso sinodale e missionario [12]».
Forse, senza la continua ripetizione del tema come un mantra si dovrebbero riprendere nel loro significato le Note della Chiesa: UNA, SANTA, CATTOLICA ed APOSTOLICA come espresse dal Catechismo della Chiesa Cattolica.
Par. 61: Istituire «una commissione per verificare e studiare l’efficacia formativa dell’attuale forma e struttura dei Seminari».
Il problema di tanti abbandoni anche di giovani sacerdoti chiede una seria riflessione sull’itinerario formativo dei seminari e in seguito una riflessione sull’accompagnamento dei giovani sacerdoti nell’inizio del loro ministero.
• Concludendo
Sono solo alcuni spunti di riflessione e di domanda per raccogliere la sfida e portare un contributo di valutazione, se è vero che il Sinodo vuole essere un punto di partenza per tutta la Chiesa in Italia.
• Aggiungo alcune riflessioni del Vescovo Mons. Giovanni Paccosi che ha partecipato al Sinodo:
«Il documento sinodale
Il documento che ieri abbiamo votato ne è un frutto, ma un frutto ancora embrionale. Ho sentito in più punti la forzatura di far diventare richiesta di tutti ciò che era solo di pochi e la difficoltà di chi doveva votare, senza ormai poter più far distinzioni, articoli in cui c’erano, tutte insieme, proposte non omogenee e – è una mia valutazione – tendenziose. Il Cammino Sinodale ci ha rilanciato nella missione e nella vicinanza a «tutti, tutti, tutti», come ci diceva Papa Francesco. Ma l’apertura senza limiti (cattolica) non era per Papa Francesco senza criteri chiari. Invece nel nostro documento sinodale ci sono alcune espressioni che ritengo ambigue: proprio quelle che adesso sono sulla bocca di tutti. Sul punto controverso dell’accoglienza delle persone omosessuali, per esempio, si aggiunge all’accoglienza auspicata il «riconoscimento». Ma «riconoscere» non è sinonimo di «accogliere»: ho ascoltato io, come tanti con me (lo disse per esempio a noi nuovi vescovi nel settembre 2023 dove parlava proprio di questo tema) Papa Francesco affermare che la Chiesa accoglie tutti, ma non accetta che si portino “bandiere”, altrimenti si scade in una rivendicazione ideologica.
Il cammino della Chiesa
Scrivo queste righe perché il Cammino Sinodale mi sta a cuore e perché credo fermamente che la sinodalità sia la strada della Chiesa, come del resto Papa Leone ha ripetuto varie volte in questi mesi e in questi giorni. Non possiamo ridurlo alle controversie su questi punti particolari che non sono pacifici, e che inoltre che non scaldano granché la vita quotidiana delle comunità che conosco. Esse si rianimano quando si fa esperienza non di documenti o di programmi pastorali, ma della presenza misteriosa e concreta di Cristo. Allora rinasce la comunione, la corresponsabilità, l’accoglienza. Il rischio è che si perda la cosa fondamentale che il Cammino di questi anni ci ha insegnato: ad ascoltare lo Spirito nell’ascolto dell’altro, a condividere le responsabilità, a metterci in gioco personalmente nella testimonianza e nella costruzione della Chiesa.» (Mons. Giovanni Paccosi dopo l'Assemblea sinodale)
NOTE
1 Sui social così viene descritto il «Complesso di superiorità»
Definizione
L’espressione “complesso di superiorità” indica un’eccessiva autostima e una percezione di sé come superiore agli altri. Questa condizione si manifesta in vari contesti e situazioni. Può riguardare un determinato ambito (come lo sport, il lavoro, l’attrattiva fisica, l’intelligenza) oppure essere trasversale a diverse aree della vita.
In entrambi i casi si tratta di processi di pensiero che vengono messi in atto in maniera inconsapevole, e che guidano, come diretta conseguenza, alla pratica di comportamenti coerenti con le proprie credenze. [https://www.serenis.it/articoli/il-complesso-di-superiorita-la-storia-di-unautostima-fragile/]
2 Così il Catechismo della Chiesa cattolica:
L’ultima prova della Chiesa
675 Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne.
676 Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può essere portata a compimento se non al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato «intrinsecamente perverso».
677 La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima Pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell’ultimo giudizio dopo l’ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa.
3 «… Si direbbe che da qualche misteriosa, no, non è misteriosa, da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, c’è l’incertezza, c’è la problematica, c’è l’inquietudine, c’è l’insoddisfazione, c’è il confronto».
«Non ci si fida più della Chiesa. Ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale. Per rincorrerlo e per chiedere a lui se ha la formula per la vera vita. È entrato, ripeto, il dubbio nella nostra coscienza. Ed è entrato per finestre che dovevano essere aperte alla luce: la scienza!»
4 «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: “Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?”. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia»
5 Come è possibile che un giovane beato possa comunicare una teologia eucaristica così vecchia, così pesante, ossessiva, concentrata sull’inessenziale e tanto trascurata invece sulle cose decisive? Come è possibile che tutto il cammino che la Chiesa ha fatto negli ultimi 70 anni, sul piano della comprensione del valore ecclesiale della eucaristia e della sua celebrazione, sia stato comunicato, in modo così distorto al giovane ardente comunicatore, tanto da suggerirgli una comprensione tanto lacunosa, tanto difettosa, tanto unilaterale? Chi lo ha assecondato in questo interesse per i “miracoli”, trascurando il vero miracolo? (https://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-giovane-carlo-acutis-e-la-maleducazione-eucaristica/)
6 Persino l’AI chiarisce il concetto: La frase “la nostra abitazione non è di questo mondo” è un’espressione di fede che si trova comunemente nella Bibbia e che indica che i credenti hanno una speranza e un’appartenenza in cielo, non in questo mondo terreno. È un concetto che si lega all’idea di essere “nel mondo ma non del mondo” e di aspettare una casa eterna, come afferma la lettera agli Ebrei.
• Riferimento biblico: Il versetto biblico Ebrei 13:14-16 dice: “Perché questo mondo non è la nostra casa, ma siamo in attesa della nostra casa eterna in cielo”.
• Significato teologico: Questo significa che i credenti, pur vivendo nel mondo, hanno un’identità e un’appartenenza che vanno oltre la dimensione terrena. Non si conformano ai valori di questo mondo perché hanno una speranza che è spirituale e divina.
• “Essere nel mondo ma non del mondo”: Questa espressione, anche presente nel Nuovo Testamento (Romani 12,2), riassume il concetto. Si vive nel mondo, ma non si è parte di esso, nel senso che si è distaccati dai suoi valori e dalle sue influenze negative (come quelle che provengono dal “maligno”).
• Una casa eterna: La frase sottolinea l’aspettativa di una vita futura in cielo, che è considerata la vera e definitiva “abitazione” per i credenti.
7 «A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. La carne odia l’anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri. L’anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano. L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L’anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l’incorruttibilità nei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l’anima si raffina; anche i cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare.»
8 LA SVOLTA PRO GAY DIVIDE I VESCOVI ITALIANI
L’assemblea della Cei approva i “paragrafi gender”, ma il 30% vota contro. Il Papa: “Sinodalità, non uniformità”
di Andrea Morigi
Più che attraverso la sinodalità, è per un colpo di grazia che la Chiesa cattolica in Italia si ritrova a dover fare i conti con la realtà. L’avevano invocata in molti, su queste pagine e soprattutto sui social, una correzione ai “paragrafi gender” del documento di sintesi dell’Assemblea Sinodale. Su quelle affermazioni controverse, ieri, i 185 voti contrari (contro 637 sì), si sono rivelati sufficienti a creare una “minoranza di blocco” del 29%.
Abbastanza per affermare che manca l’unanimità sui punti 30 e 31, il cui testo auspicava «nuovi percorsi di formazione alle relazioni e alla corporeità-affettività-sessualità - anche tenendo conto dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere - soprattutto di preadolescenti, adolescenti e giovani e dei loro educatori» e «a promuovere il riconoscimento e l’accompagnamento delle persone omoaffettive e transgender, così come dei loro genitori», oltre all’invito alla Conferenza episcopale italiana affinché «sostenga con la preghiera e la riflessione le “giornate” promosse dalla società civile per contrastare ogni forma di violenza e manifestare prossimità verso chi è ferito e discriminato (Giornate contro la violenza e discriminazione di genere, la pedofilia, il bullismo, il femminicidio, l’omofobia e transfobia, etc.)». Rispetto all’approvazione del documento finale, che ha ottenuto 781 placet su 809 votanti (3,4% contrari), la differenza è notevole.
E comunque, osserva la scrittrice e giornalista Costanza Miriano, «il Vangelo parla di sale, lievito, un pizzico dentro una massa, quindi quando cominciamo a essere maggioranza ci dobbiamo iniziare a preoccupare».
Per un rigurgito di clericalismo, la responsabilità viene attribuita a Libero. Monsignor Erio Castellucci, presidente del Comitato nazionale del cammino sinodale, obietta che la proposta è stata «fraintesa a causa di interpretazioni circolate che parlavano di “sostegno dei vescovi ai gay-pride”». Insomma, chi rifiuta l’ambiguità di quelle formule o non le ha capite oppure «lavora a dividere la Chiesa», scriveva sul suo profilo Facebook Francesco Ognibene, redattore capo di Avvenire, quotidiano della Cei.
I dissenzienti, invece, hanno esercitato proprio la sinodalità, con una lezione che le gerarchie ecclesiastiche e le frange progressiste non dimenticheranno. In quattro anni di “cammino” non erano riusciti a costruire il consenso e ora, invece di farsi l’esame di coscienza sulla fedeltà al Magistero, vedono nemici dappertutto. «Ho sentito che siamo stati definiti, noi che non approviamo il documento sinodale, “marginali”. Credo che non sia un criterio evangelico. Anche Gesù è stato parecchio marginale», commenta Miriano. E ricorda che «il criterio è solo la Verità. Io nella Chiesa cerco una guida per la mia vita e non qualcuno che mi accompagni per la via larga, quella riesco a prenderla anche da sola».
Proveranno a far finta che non sia successo nulla? Il risultato non soddisfa a pieno Mario Adinolfi, che nei giorni scorsi aveva tuonato contro la deriva omosessualista del clero. A parere del presidente dell’associazione Cristo Regna, «la Cei ha scelto la piattaforma politica del Pd di Elly Schlein e su questo altare ha sacrificato la Chiesa italiana».
Rimane uno spiraglio per la speranza: «Mi auguro che Papa Leone saprà porre rimedio al grave errore compiuto dal cardinale Zuppi e dai suoi vicepresidenti, uno dei quali ha detto chiaramente che bisogna riconoscere anche il diritto degli omosessuali a unirsi carnalmente. Per fare questo però bisogna cambiare il Catechismo della Chiesa Cattolica che invece descrive gli atti tra omosessuali come intrinsecamente disordinati e contrari alla natura».
Lo potrebbero confortare le parole pronunciate venerdì dal Pontefice, nell’Aula Paolo VI: «La sinodalità è un modo di essere Chiesa, per imparare ad ascoltarci a vicenda. Per ascoltarci tra di noi, anche tra chi non sarà mai membro della Chiesa ma è alla ricerca». Si rivolgeva proprio alle équipe sinodali in occasione del loro Giubileo, indicando loro la strada: «Non stiamo cercando un modello uniforme ma uno spirito di essere missionari per costruire la famiglia di Dio, per promuovere la pace e la cura del creato». Ai vescovi non rimane che abbassare le orecchie, con un messaggio indirizzato al Santo Padre: «Affidiamo i frutti del nostro “camminare insieme” al discernimento dei Pastori, perché preparino le prospettive pastorali che accompagneranno le Chiese in Italia nei prossimi anni».
(LA SVOLTA PRO GAY DIVIDE I VESCOVI ITALIANI)
9 VOLER “GUARIRE” LA NATURA: LE TERAPIE RIPARATIVE, A cura di Luna Carpinelli
Il percorso di depatologizzazione dell’orientamento omosessuale, a forte impronta ideologica ed eterosessista, si inserisce nel quadro dell’emancipazione progressiva dai modelli psicoanalitici e psichiatrici di inizio ’900 che, a partire dai rispettivi riferimenti eziologici, determinavano il trattamento di riorientamento su base psicologica o su base somatica.
In risposta al riemergere, nel corso degli anni ‘90, di propugnatori di terapie cosiddette “riparative” o “di conversione”, l’American Psychiatric Association (1998) elabora un proprio documento nel quale si legge: “L’APA si oppone ad ogni trattamento psichiatrico, come le terapie riparative o di conversione, basato sull’assunto che l’omosessualità sia di per sé un disturbo mentale o basato sull’assunto aprioristico che il paziente debba modificare il proprio orientamento sessuale”.
Nel marzo del 2000, sempre l’American Psychiatric Association, elabora una nuova risoluzione, il “Position Statement” sulle terapie mirate al tentativo di modificare l’orientamento sessuale, in cui si afferma: “[...] Le modalità psicoterapeutiche per convertire o “riparare” l’omosessualità sono basati su teorie dello sviluppo la cui validità scientifica è dubbia [...] L’APA raccomanda che i professionisti etici si astengano dal tentare di cambiare l’orientamento sessuale dell’individuo, tenendo presente la massima medica: “Primo, non nuocere”. [...] La letteratura inerente le terapie “riparative” [...] non solo ignora l’impatto dello stigma sociale [...] ma è una letteratura che attivamente stigmatizza l’omosessualità [...]. Nel 2009, l’APA pubblica il report sulle “Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation”.
Nel 2008, l’Ordine Nazionale degli Psicologi si è espresso in merito, dichiarando che “lo psicologo non può prestarsi a nessuna terapia riparativa dell’orientamento sessuale”. In assenza, tuttavia, di chiare linee guida (di cui si è dotato soltanto l’Ordine degli Psicologi della Campania) tale dichiarazione ha determinato l’emergere sulla scena italiana di approcci che potremmo definire “post-riparativi” (Graglia, 2009): non essendo più possibile sostenere che l’omosessualità sia una malattia, tali approcci mirano al cambiamento dell’orientamento sessuale aggirando la questione legittimando le terapie di conversione dei pazienti (e terapeuti) credenti, a dispetto di quanto indicato inequivocabilmente nel Position Statement dell’APA del 2000, facendo appello ai concetti di “identità religiosa” e del “principio di autodeterminazione” dei pazienti.
Il terapeuta finisce col colludere col paziente nel disprezzare questo elemento identitario in quanto incompatibile con un credo religioso (il quale, al contrario, non viene mai sottoposto ad una verifica di compatibilità col sistema ecologico complessivo del paziente stesso (Graglia, 2009).
Parlando inoltre di “identità religiosa” e di apparente conflitto con l’identità sessuale (Cantelmi e Lambiase, 2010), questi terapeuti sostengono la legittimità terapeutica di un intervento mirato al condizionamento sessuale del soggetto per vivere secondo il proprio credo.
Parlare dunque di apparente conflitto tra identità sessuale e religiosa significa portare il soggetto ad internalizzare un conflitto che interno non è, incrementando il proprio vissuto di inadeguatezza ed il proprio senso di colpa e ad incoraggiare un atteggiamento dissociativo della coscienza, nella distinzione - antropologicamente insostenibile - tra “orientamento omosessuale” e “comportamento omosessuale”.
L’aderire, per quanto in maniera stringente, da parte di un individuo omosessuale ad una confessione religiosa che condanna un aspetto imprescindibile della propria identità sessuale, non può essere considerato costitutivamente “identitario” per il soggetto stesso, a prezzo di chiamare “identità religiosa” l’adesione del soggetto a valori e norme eterofondate per il (legittimo) bisogno di appartenere e sentirsi integrato all’interno della propria comunità di riferimento, negando o sottovalutando la pressione psicologica che tale bisogno può determinare sul soggetto che si percepisce diverso rispetto alle prescrizioni normative della morale sessuale comunitaria. Tutto ciò è stato dimostrato anche da Saverio Tommasi, nel suo video inchiesta “Psicologi e guaritori d’omosessuali” condotta su 100 psicologi di Toscana e Lazio.
L’attore, nei panni di un cliente omosessuale, si rivolge telefonicamente a 100 psicologi richiedendo una terapia ‘per guarire dall’omosessualità’: tra i professionisti consultati quasi il 50% affermano di poter soddisfare la richiesta del paziente, quasi il 20% afferma esplicitamente di praticare terapie riparative o simili, e soltanto il 30% circa sostiene che l’omosessualità non sia una patologia da curare.
Appare evidente, quindi, la necessità di intervenire a tutela della salute della popolazione omo e bisessuale e dei loro famigliari e del loro diritto all’accesso a trattamenti psicoterapeutici prima di tutto non lesivi, come indicato nella risoluzione dell’APA del 2000 in cui si rammenta, al punto b) la massima medica: “Primo, non nuocere”.
(VOLER “GUARIRE” LA NATURA: LE TERAPIE RIPARATIVE)
10 Cercando su Google le notizie sul Sinodo (26 ottobre 2025)
11 «Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente.» (Lettera di Benedetto XVI ai vescovi di tutto il mondo per presentare il motu proprio sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970
https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/letters/2007/documents/hf_ben-xvi_let_20070707_lettera-vescovi.html)
12 Con una ricerca approssimativa il termine “sinodale e missionario” è presente in 14 pagine con 21 citazioni; “sinodalità” in 16 pagine con 23 citazioni; “missione” in 26 pagine con 42 citazioni.
- DOCUMENTO DI SINTESI DEL CAMMINO SINODALE DELLE CHIESE CHE SONO IN ITALIA: ANNOTAZIONI 4 MDOCUMENTO DI SINTESI DEL CAMMINO SINODALE DELLE CHIESE CHE SONO IN ITALIA: ANNOTAZIONI


