«Se la tromba emette un suono confuso, chi si prepara al combattimento?»

«Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi»: nel nostro combattimento abbiamo bisogno della chiarezza dei giudizi...
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CulturaCattolica.it ©
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Ringrazio l’avvocato Peppino Zola per questa citazione di San Paolo, riportata nel libro di Don Giussani, La rivoluzione di sé, perché sembra proprio indicare la questione fondamentale del nostro tempo (e forse anche suggerire una soluzione, se così possiamo dire e sperare).
Certamente San Paolo, nella lettera ai Corinti, aveva in mente la situazione della comunità a cui si rivolgeva, raccomandando di saper riconoscere le voci e il linguaggio adatti per edificare la comunità cristiana. E questo riferimento potrebbe anche suggerire ai cristiani stessi di riconoscere una voce chiara per impegnarsi nel cammino della vita. Del resto don Giussani, nel riportare questo brano, ricorda che lo stesso San Paolo «sembra che abbia descritto 2000 anni prima la situazione di tanta parte della Chiesa di adesso. Ma è una analogia, che ognuno di noi … riscontra facilmente nella sua vita».
Mi chiedo, però, ma non è questa anche la situazione nella quale tutti noi ci troviamo?
E qui ricordo quanto sta accadendo nel nostro contesto, nella speranza di ritrovare quel suono chiaro che indichi la via di quella «buona battaglia» che è il compito dell’uomo, della politica e della educazione.

Tra poco inizierà la scuola e speriamo di non trovarci più di fronte a «questionari» che, sotto il pretesto di educare alla affettività, propongono ai giovani (si parla di quindicenni) domande inopportune, pruriginose e suggerimento di comportamenti assolutamente contrari non solo a una sana moralità, ma a un corretto rapporto tra esseri umani aperti alla scoperta della bellezza della vita e dell’amore. Non sarà certo un «suono confuso» a suggerire la bellezza dei rapporti affettivi tra i giovani, preparazione dell’avventura dell’amore e della vita.

E che dire del grave problema di quello che si è chiamato «inverno demografico» ma che ha forse il sapore della catastrofe umanitaria, a cui sembra sempre più necessaria una risposta adeguata, un impegno culturale di valorizzazione e rispetto della vita umana (e non possiamo nasconderci che il pensiero che ha introdotto con tenacia l’aborto in Repubblica ha la sua responsabilità, certamente, ma non è l’unico): e qui non possiamo condividere il pensiero di chi cerca soluzioni che non vanno alla radice del problema, perché non basta che l’immigrazione porti maggiore benessere, come ci ha recentemente ricordato il Presidente del Comites San Marino Alessandro Amadei: «anche a San Marino qualche riflessione sulle nuove politiche da adottare in merito alle residenze, alla cittadinanza ed ai soggiorni sarà necessaria, anche per trovare il modo di attirare sempre più persone da fuori confine disposte a mettere a disposizione la loro forza lavoro a favore del sistema produttivo, ad investire e credere nel futuro di San Marino. L’immigrazione, se gestita in quest’ottica, può dare respiro al welfare ed al sistema pensionistico sammarinese, determinando un aumento del numero dei lavoratori, i quali con le imposte ed i contributi versati sostengono la previdenza sociale e salvaguardano l’equilibrio dei conti pubblici, evitando allo Stato di ricorrere ad un ulteriore indebitamento. Anche in questo modo si possono mitigare gli effetti negativi dell’inverno demografico che riduce la competitività di ogni paese ed è la causa principale del suo declino». Anche questo «suono confuso» non ci può sostenere nella battaglia per difendere la vita e risolvere il grave problema della natalità in Repubblica, soprattutto perché riguarda il nostro popolo e non la sostituzione del popolo stesso sammarinese con forze comunque estranee .

Certamente un altro tema su cui riflettere e per il quale è necessaria una voce chiara riguarda lo stato dell’informazione come servizio al bene comune. Non è la prima volta che ricordo che la comunicazione deve essere capace di dare voce alla realtà, evitando quelli che la liturgia di domenica scorsa chiamava «favoritismi personali». Ho letto e consigliato il libro di Shoshana Zuboff Il capitalismo della sorveglianza e ritengo che sia giunto il momento di avere una chiara idea di quello che significa il mondo della comunicazione. Non bastano artigiani né ideologi. Non possiamo fare finta di niente. Non dobbiamo arrestarci di fronte agli errori, tanti, purtroppo, del passato anche recente. Non ci può spaventare il grave impatto economico che ci attende (se vale quanto affermato da Libertas: «E’ da fine marzo scorso che la televisione di stato è senza Direttore generale dopo che Andrea Vianello ha rassegnato le proprie dimissioni irrevocabili e dopo che, soprattutto, è emerso il buco da 1,9 milioni di euro nel bilancio dell’emittente di stato). Se siamo di fronte alla battaglia della verità e del rispetto, di una democrazia sostanziale e di un impegno educativo improcrastinabile, allora non possiamo tacere di fronte al «suono confuso» che rimbomba accanto a noi. Ci possono aiutare queste parole:
«Quando parlo ai miei figli o a un pubblico giovane, cerco di renderli consapevoli che la “cosa che ci domina” ha una natura storicamente contingente, ricordando loro quali erano i valori e le aspettative comuni prima che il capitalismo della sorveglianza cominciasse a obnubilarci. “Non è giusto doversi nascondere nella propria vita; non è normale” dico loro…
Dico loro che un tempo la parola “ricerca” significava avventura alla scoperta di sé stessi, e non era una risposta preimpostata e a portata di dito; che “amicizia” rimandava a un mistero incarnato che poteva nascere solo faccia a faccia; e che il “riconoscimento” è quella sensazione di familiarità che proviamo con i nostri cari, e non un “riconoscimento facciale”. Dico loro che non è giusto che la nostra voglia di connessione, empatia e informazione venga sfruttata secondo un do ut des draconiano che si appropria delle nostre vite.
… Se nei decenni a venire dovremo ridare forza alla democrazia, dovremo anche ritrovare l’indignazione e il senso di lutto per quel che ci stanno rubando… È in gioco l’interiorità che ci dà la volontà di volere e gli spazi pubblici nei quali utilizzarla. È in gioco il principio dominante dell’ordine sociale in una civiltà dell’informazione e il nostro diritto di rispondere come cittadini e società alle solite domande: Chi sa? Chi decide? Chi decide chi decide? … Il futuro potrà anche essere digitale, ma dovrà per prima cosa essere umano.
Rifiuto l’inevitabilità… Siamo all’inizio di questa storia, non alla fine. Se affrontiamo subito le vecchie domande, siamo ancora in tempo per riprendere le redini e dirigerci verso un futuro umano che possa chiamarsi casa…
Hannah Arendt, parlando del proprio lavoro sulle origini del totalitarismo, scrisse che “è naturale reagire a certe condizioni che vanno contro la dignità umana con rabbia e indignazione…”.
Lo stesso vale per me e forse anche per voi… Il futuro di questa storia dipenderà… soprattutto da giovani che si rendono conto che l’autonomia è indispensabile, che accettare delle regole in modo forzato non equivale a un contratto sociale, che un alveare senza uscita non può essere una casa, che l’esperienza senza il santuario rimane solo un’ombra, che una vita nella quale ci dobbiamo nascondere è indegna, che toccare senza sentire niente non ci offrirà alcuna verità, e che essere liberi dal dubbio non è vera libertà». (Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, p. 535-536)

Se vogliamo combattere, questo mi pare il suono giusto. E quello che di seguito afferma san Paolo, sempre nella stessa lettera, ci potrà sostenere: «Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi».