«La famiglia ha bisogno del tempo che merita»
Perché quello che accade non sia come una goccia d’acqua su una roccia che rimane impermeabile. E qui si apre tutto il compito di una società e di una politica che voglia ritornare ad essere casa dell’uomo. «La famiglia ha bisogno del tempo che merita» e delle soluzioni adeguate- Autore:
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«Esaminate ogni cosa…»: la vita ci pone ogni istante di fronte ad avvenimenti, a giudizi, a esperienze, a situazioni che in qualche modo ci provocano a esprimere qualche nostra considerazione. E molte volte sembra che solo il silenzio possa aiutare a quella vicinanza, o empatia, o dolore che proprio i fatti ci richiedono.
Così, di fronte alla morte di quella piccola dimenticata sull’auto dal papà, come restare indifferenti, o pensare che sia una delle tante tristi notizie… per dire poi la nostra, e continuare come prima?
Non seguo molto i commenti dei social in genere su quello che accade, ma a volte non si può non dare spazio al dolore, allo sgomento, alle domande poste da quanto accade, dalle tragedie della vita, dal dolore di chi ne è coinvolto.
E a volte si scoprono parole che sono come una medicina che stemperano il dolore e aprono a una speranza inaspettata. E sei grato per chi le ha dette o scritte, e ti rimandano, a volte, a ricordare anche i volti che hai conosciuto e che hanno detto cose che ti sono state conforto e consolazione, per la verità comunicata.
È accaduto così, di fronte alla tragedia della piccola Agnese, leggendo quanto Giulia Bovassi ha scritto in un post su Facebook: «La famiglia ha bisogno del tempo che merita.
Ottenere politiche soddisfacenti è secondario alla premessa di una rinnovata cultura della famiglia, partendo dalla scala gerarchica di valori esistenziali, a seguire la trasposizione nella prassi. Ad esempio, provocare il pensiero critico sull'idea di benessere, autorealizzazione, concezione del valore-lavoro diffusa oggi. Provocare il pensiero critico sulle diverse necessità di padri e madri, di uomini e donne, seppur uguali in sostanza, diversi nella loro specificità. Comprendere cosa significa accogliere la vita, l'evento della nascita, i primi anni, ogni fase di crescita dei figli e quali esigenze portano con sé. Significa, in definitiva, avere il coraggio di anteporre alle politiche il fattore persona, nelle relazioni, nella famiglia, in se stesso. Comprendere che la famiglia non è un peso, al contrario il maggior interesse sociale e darne testimonianza in senso positivo è un compito nel quale occorre credere davvero.»
Rimane il dolore, rimane la domanda su come sia possibile quanto accaduto, rimane la compassione per un padre che si porta nel cuore una ferità che nulla potrà guarire (se non una autentica parola di misericordia, ma non è nelle nostre possibilità «solo un Dio potrà salvarci» scrisse tempo fa un filosofo).
Ma rimane la certezza di quelle parole di Giulia Bovassi: «La famiglia ha bisogno del tempo che merita». Questo è il tempo di riscoprire la bellezza e il compito della famiglia, quella quasi cantata da Paolo VI ricordando la famiglia di Nazaret: «Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo… Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine…».
Così ritroviamo le parole semplici e vere di Giulia che conclude la sua bella riflessione con questo invito: «Decido di imparare qualcosa, di fare qualcosa. Siamo anche noi una famiglia di quest’epoca, sono una madre di quest’epoca, siamo vittime e protagonisti della società della prestazione, quella in cui una donna suggerisce ad un’altra di rientrare a lavoro a due mesi dal parto oppure quella società incapace di comprendere che lo stesso traguardo, per una madre e un padre, viene raggiunto con i tempi che un figlio richiede e che questo dovrebbe essere un riconoscimento garantito, non un buco nel CV!
Tempi che gli spettano di diritto.
Tempi dove accudire significa amare e l'amore, a conti fatti, è tutto ciò che ci appartiene davvero.
Riposa in pace, piccola Agnese.»
Perché è vero, «lo stesso traguardo, per una madre e un padre, viene raggiunto con i tempi che un figlio richiede», e quindi bisogna ritornare a una società che non dimentichi questo essenziale aspetto della vita umana, la diversità complementare tra padre e madre, la consapevolezza che il bene dell’uomo sta nella bellezza della famiglia, che non si tratta di creare strutture di supporto (penso all’insistenza nel proporre gli asili, il tempo pieno, le attività extra scolastiche o addirittura all’educazione sessuale di stato) ma di permettere, anche con adeguati sussidi, alle famiglie di essere tali, «seminarium civitatis» diceva Cicerone.
Perché quello che accade non sia come una goccia d’acqua su una roccia che rimane impermeabile. E qui si apre tutto il compito di una società e di una politica che voglia ritornare ad essere casa dell’uomo. «La famiglia ha bisogno del tempo che merita» e delle soluzioni adeguate.
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