Pecore o pastori?

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Il presidente Hollande, prima di uscire definitivamente di scena, vuole effettuare l’ultimo colpo da maestro, colpo veramente demoniaco. In discussione, domani primo dicembre, all’Assemblea nazionale una legge che chiuderebbe i siti internet di ascolto e sostegno alle donne incerte sull’aborto.
La questione è talmente grave che mons. Pontier, presidente dei vescovi francesi, decide di scrivere una lettera a Hollande. Finalmente una voce forte, chiara e potente, direte voi. Invece, purtroppo, ne è uscito il timido belato di un pastore trasformatosi in pecora. Scrive:

“L’interruzione volontaria di gravidanza, piaccia o no, rimane un atto pesante e grave che interroga profondamente la coscienza. In situazioni difficili, sono numerose le donne che non sanno se portare a termine o meno la gravidanza e avvertono il bisogno di parlarne con qualcuno, cercare un consiglio”. Tolta anche la pausa di riflessione, ora “le donne non trovano più alcun sostegno ufficiale al loro interrogativi di coscienza”.


Caspita! Pontier si dichiara “molto preoccupato”! Preoccupato per limitazione alla libertà di parola! Leggete che coraggio:

Questo disegno di legge mette in discussione i fondamenti della nostra libertà e soprattutto la libertà di espressione

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A questo sussulto d’orgoglio transalpino, fa eco la grande risonanza ottenuta sull’ Osservatore Romano (occhio al titolo) (QUI):

Per riflettere sull’aborto


Lettera del presidente dell’episcopato francese al capo dello Stato ·
Parigi, 29 novembre 2016. Ha scritto direttamente al presidente della Repubblica François Hollande l’arcivescovo di Marsiglia, Georges Pontier, presidente della Conferenza episcopale francese. Il motivo della lettera — datata 22 novembre — è la preoccupazione suscitata dall’iniziativa di un gruppo di deputati della maggioranza parlamentare che, il 12 ottobre scorso, hanno depositato una proposta di legge «relativa all’estensione del délit d’entrave all’interruzione volontaria di gravidanza». Tale proposta è tesa a condannare alcuni siti internet accusati di «indurre deliberatamente in errore, intimidire ed esercitare pressioni psicologiche o morali al fine di dissuadere dal ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza». In pratica tali siti creerebbero un ostacolo (entrave) alla libera scelta individuale. Il Governo ha stabilito la procedura accelerata per l’esame del provvedimento che dovrebbe essere discusso all’Assemblea nazionale il 1° dicembre.



Tutta qui la riflessione sull’aborto proposta dall’Osservatore Romano? Oggi, papa Francesco ha ricevuto in udienza dei politici francesi, un gruppo di eletti nella regione Rhone-Alpes, accompagnati dal cardinale Barbarin. Gliene avrà cantate quattro, come si usa dire! Leggiamo (QUI):

«Così vorrei, insieme con i Vescovi di Francia, sottolineare la necessità in un mondo che cambia, (di) ritrovare il senso della politica». I Vescovi «hanno fatto questo documento adesso, e io mi ricordo di quello di vent’anni fa, “Réhabiliter la politique”, che fece tanto bene. E adesso quest’altro, che pure farà bene. Innegabilmente, la società francese è ricca di potenzialità, di diversità che sono chiamate a diventare opportunità, a condizione che i valori repubblicani di libertà, uguaglianza e fraternità non siano solamente sbandierati in maniera illusoria, ma siano approfonditi e compresi in relazione al loro vero fondamento, che è trascendente. È pienamente in gioco un vero dibattito su valori e orientamenti riconosciuti comuni a tutti. A tale dibattito i cristiani sono chiamati a partecipare con i credenti di ogni religione e tutti gli uomini di buona volontà, anche non credenti, in ordine a promuovere la crescita di un mondo migliore. In questo senso, la ricerca del bene comune che vi anima vi conduca ad ascoltare con particolare attenzione tutte le persone in condizione di precarietà, senza dimenticare i migranti che sono fuggiti dai loro Paesi a causa della guerra, della miseria, della violenza. Così, nell’esercizio delle vostre responsabilità, potrete contribuire all’edificazione di una società più giusta e più umana, di una società accogliente e fraterna. Affidando il vostro percorso a Cristo, sorgente della nostra speranza e del nostro impegno al servizio del bene comune, invoco su di voi, sulle vostre famiglie, sul vostro Paese, come pure sui Vescovi che vi accompagnano, la benedizione del Signore». 


Senza dimenticare i bimbi/e abortiti e le mamme abbandonate a se stesse, aggiungo io! Domani, in Francia, faranno una legge che aggiunge crimine a crimine e non una parola?
Prima di ritrovare il senso della politica, BISOGNA RITROVARE IL SENSO DI DIO e poi quello delle parole: l’aborto NON è un’interruzione di gravidanza, atto pesante e grave. L’ABORTO È UN DELITTO ABOMINEVOLE!
Nei Paesi che contemplano per legge questa vera e propria strage di Stato, la democrazia è solamente una parola vuota (*)!
Cari Pastori, ve ne accorgete soltanto ora?

Sant’Andrea apostolo, prega per noi

(*) Evangelium vitae n. 70. Comune radice di tutte queste tendenze è il relativismo etico che contraddistingue tanta parte della cultura contemporanea. Non manca chi ritiene che tale relativismo sia una condizione della democrazia, in quanto solo esso garantirebbe tolleranza, rispetto reciproco tra le persone, e adesione alle decisioni della maggioranza, mentre le norme morali, considerate oggettive e vincolanti, porterebbero all’autoritarismo e all’intolleranza.
Ma è proprio la problematica del rispetto della vita a mostrare quali equivoci e contraddizioni, accompagnati da terribili esiti pratici, si celino in questa posizione.
È vero che la storia registra casi in cui si sono commessi dei crimini in nome della «verità». Ma crimini non meno gravi e radicali negazioni della libertà si sono commessi e si commettono anche in nome del «relativismo etico». Quando una maggioranza parlamentare o sociale decreta la legittimità della soppressione, pur a certe condizioni, della vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione «tirannica» nei confronti dell’essere umano più debole e indifeso? La coscienza universale giustamente reagisce nei confronti dei crimini contro l’umanità di cui il nostro secolo ha fatto così tristi esperienze. Forse che questi crimini cesserebbero di essere tali se, invece di essere commessi da tiranni senza scrupoli, fossero legittimati dal consenso popolare?
In realtà, la democrazia non può essere mitizzata fino a farne un surrogato della moralità o un toccasana dell’immoralità. Fondamentalmente, essa è un «ordinamento» e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere «morale» non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. Se oggi si registra un consenso pressoché universale sul valore della democrazia, ciò va considerato un positivo «segno dei tempi», come anche il Magistero della Chiesa ha più volte rilevato. Ma il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili, nonché l’assunzione del «bene comune» come fine e criterio regolativo della vita politica.
Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli «maggioranze» di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto «legge naturale» iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione empirica dei diversi e contrapposti interessi.89
Qualcuno potrebbe pensare che anche una tale funzione, in mancanza di meglio, sia da apprezzare ai fini della pace sociale. Pur riconoscendo un qualche aspetto di verità in una tale valutazione, è difficile non vedere che, senza un ancoraggio morale obiettivo, neppure la democrazia può assicurare una pace stabile, tanto più che la pace non misurata sui valori della dignità di ogni uomo e della solidarietà tra tutti gli uomini è non di rado illusoria. Negli stessi regimi partecipativi, infatti, la regolazione degli interessi avviene spesso a vantaggio dei più forti, essendo essi i più capaci di manovrare non soltanto le leve del potere, ma anche la formazione del consenso. In una tale situazione, la democrazia diventa facilmente una parola vuota.