Lettera aperta a Fazio e Saviano
Pubblico questo intervento di Massimo Pandolfi, un giornalista che fa della sua professione testimonianza alla verità, e sostegno agli uomini, senza schemi né ideologie- Autore:
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Caro Fabio Fazio,
caro Roberto Saviano,
la trasmissione che avete mandato in onda lunedì sera non ha rappresentato una ‘pagina di libertà’, come i vostri fans e forse voi stessi orgogliosamente sostenete. Magari non ve ne siete neppure resi conto, o magari sì, ma parlando di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby avete offeso e umiliato centinaia di migliaia di italiani. Caro Saviano, su Welby (il malato di distrofia muscolare che anni fa chiese e ottenne che gli venisse staccato il respiratore artificiale) lei ha detto che ‘quella non era più vita’. E allora le faccio un invito: ripeta queste cose lunedì prossimo a tutti quegli italiani che resistono e soprattutto esistono, attaccati a un respiratore. Se vuole, gliene porterò una bella rappresentanza in studio a ‘Vieni via con me’. Dica loro: ‘La vostra non è vita’. Ma non si limiti a guardare la telecamera mentre scandirà quelle parole. Guardi in faccia loro - i malati o i disabili - se ne ha la forza. E le loro mogli, i mariti, i figli, i parenti, gli amici. Vedrà, caro Saviano, scoprirà un altro mondo. Perché questa è gente che vive, si arrabbia, di dispera, esulta, gioisce, si ridispera di nuovo: come me, come lei. E chi sta loro a fianco li cura, nella totale gratuità. Curare non significa accanirsi; vuol dire prendersi cura di... Vi riporto, cari Fazio e Saviano, un pensiero via facebook che mi è arrivato da Angelo Carboni, un malato di Sla della Sardegna che è messo più o meno nelle condizioni in cui era Welby: ‘Ho ascoltato il breve monologo del signor Englaro, a quello della signora Mina Welby stavo prendendo sonno. Non mi aspettavo altro da chi ha della vita e dell’amore una concezione così limitata e improntata sul più ottuso relativismo che pretendono di spacciare per laicità. Io, da diversi anni collegato a un respiratore, mi sento poco toccato da questi moderni guitti della “buona morte”, ma li inviterei a dare voce anche al nostro amore per la vita e desiderio di viverla, con intensità, fino in fondo. Giovedì a Pattada presento un mio libro: invito Fazio e Saviano in Sardegna, da me, ad ascoltare chi la pensa diversamente’. Sarebbe bellissimo se Fazio e Saviano andassero. Se facessero esperienza, senza ideologie. E la questione, a proposito di ideologie, non sta tanto nel dire: se uno vuole vivere ok, aiutiamolo, ma se non ce la fa più lasciamolo andare. No, è tremenda questa mentalità! La vita non è la stessa cosa della morte! Proprio perché ci sono tante persone che ce la fanno (e non sono eroi, ma uomini semplici, come ognuno di noi: forse voi, Fazio e Saviano, non siete più uomini o semplici) il compito di una società civile è quello di cercare tutte le strade per dare un senso a un’esistenza. E un senso esiste, sempre, anche se sei immobile, muto, attaccato a un respiratore. Va solo cercato. Non lo dico io, lo urlano silenziosamente chi lo fa. Penso a Gian Piero, Sebastiano, Luca, Angelo, Patrizia, Cesare e tanti tanti altri amici che ho incontrato in questi anni. Caro Fazio, caro Saviano, chiamateli. Conosceteli.
P.S. E lei, caro Fabio Fazio, faccia pure l’ultrà radicale con la faccia del bravo ragazzo. Ma almeno racconti la verità, per piacere. La verità non è un’opinione. E su Eluana Englaro lei ha detto davanti a milioni di italiani una bugia grande come una casa: ha detto che era in coma da 17 anni. No, signor Fazio. Prenda un vocabolario e impari cosa vuol dire la parola coma. Non è un dettaglio, è la deriva. E lei è il capitano buonista di una barca che va alla deriva.
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