Che cosa renderà buona la «buona scuola»?

Autore:
Bruschi, Franco
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Scriveva Alexia, una studentessa di quinta liceo, a proposito della riforma “La buona scuola”.
“Professori scelti e qualificati con stipendi in base al merito, niente più supplenti, lingue straniere fin dalla scuola elementare, maggiori competenze informatiche, più alternanza scuola lavoro, questo si legge nella proposta di riforma. Cose positive, ma a quando la riforma che tratterà del cuore, delle domande, dei desideri e del destino dei ragazzi?
A quando una riforma che farà di tutto per dare agli studenti dei professori che li “porteranno dentro la propria materia” per scoprire quel centro di bellezza che anni prima ha ricordato agli insegnanti stessi il significato del loro destino e che ha fatto scaturire in loro l’esigenza di trasmettere ai giovani la stessa scoperta? Solo questo aspettiamo! E’ la sola riforma necessaria e leggendo i punti de “La buona scuola” aspettavo finalmente di trovare un titolo, un paragrafo che trattasse il problema del destino di ciascun ragazzo; è di questo che dovrebbe trattare la scuola ed è proprio su questo che si dovrebbe concentrare una buona riforma che abbia a cuore le generazioni future”.
La riforma “La buona scuola” è stata approvata dal parlamento ed entrerà in vigore nel prossimo anno scolastico, purtroppo le aspettative di Alexia sono andate totalmente deluse. Nessuna volontà da parte del governo e delle forze politiche di affrontare alla radice la crisi che da decenni attanaglia la scuola italiana. Dal sito di CulturaCattolica.it erano state fatte delle proposte inviate al ministero della P.I. durante la consultazione dei cittadini che ha preceduto la riforma, che si possono sintetizzare nei seguenti punti:

a) la domanda di senso, di significato è la domanda dei giovani che chiedono di incontrare dei “maestri” prima che dei competenti e per questo non bastano i corsi di aggiornamento, occorre dunque che la scuola si confronti con questa esigenza primaria dei ragazzi;
b) la scuola è un rapporto fra la domanda dei giovani e una ipotesi di risposta offerta dagli adulti, la prima e più urgente riforma è quella del soggetto dell’educazione, per questo occorrono insegnanti che desiderino educarsi incontrando delle esperienze educative significative che li aiutino ad approfondire le ragioni di quel che insegnano e la strada per rispondere alle domande dei giovani;
c) la scuola deve proporsi in continuità con l’esperienza educativa vissuta in famiglia, pertanto le famiglie devono essere messe nella condizione di poter ascoltare e scegliere gli insegnanti che propongono un cammino educativo corrispondente alle esigenze educative dei figli ed avere un dialogo continuo con loro.


Di queste preoccupazioni, di queste proposte non c’è traccia nella riforma. Si parla di autonomia scolastica: ma per costruire cosa, se non esiste una ipotesi educativa chiara e condivisa? Si parla di scelta degli insegnanti da parte del preside e di una commissione: ma con quali criteri? Si parla di merito: ma in cosa consiste il merito?
Proviamo ad immaginare un genitore che iscrive suo figlio in una scuola nel prossimo anno scolastico: quali insegnanti troverà suo figlio? Quelli che verranno assegnati alla sua classe sulla base di criteri burocratici o di non meglio specificati criteri meritocratici. Dove va a finire il primato della responsabilità della famiglia nell’educazione dei figli? Chi e come terrà conto dei principi educativi che ispirano il lavoro educativo in famiglia? In questa situazione, in assenza di una proposta educativa chiara, affascinante, c’è da meravigliarsi se i giovani a scuola sono annoiati, incapaci di affrontare la realtà, i problemi della vita, incapaci di un giudizio critico? C’è da meravigliarsi, sempre come affermava Alexia, di “vedere ragazzi che escono da un percorso scolastico senza sapere cosa desiderano fare della loro vita, già svogliati, annoiati in partenza perché per anni sono stati convinti che la vita fosse la scuola associata a una valutazione e alla promozione. Possibile che non ci si renda conto di come ragazzi di quasi 20 anni finiscano la scuola senza sapere cosa ci stanno a fare nella vita?”
Una riforma che non si confronta con queste domande non sarà mai una vera riforma.
Purtroppo nella riforma “La buona scuola” c’è di peggio. Mi riferisco alla possibilità di introdurre l’ideologia del gender sia nell’attività curriculare che extracurricolare. Il motivo lo troviamo ben espresso nel “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” diffuso dal dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio. In esso si legge: “Obiettivo prioritario” deve essere “educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere... sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica”. In parole semplici si afferma che nelle scuole di ogni ordine e grado verranno organizzati corsi, incontri tesi a negare l’evidenza che l’umanità non sarebbe più biologicamente divisa in due sessi (maschio e femmina), ma culturalmente caratterizzata da un gran numero di generi, tra cui i bambini e i ragazzi possono scegliere quello ad essi più congeniale. Davanti alle numerosissime proteste dei partecipanti alla manifestazione di piazza San Giovanni del 20 giugno, il ministro della P.I. ha chiarito che i genitori devono essere informati sulla proposta di corsi gender inseriti nel POF della scuola e possono decidere di non far partecipare i propri figli. A parte il fatto che non venga specificato cosa succede se i corsi sono proposti a livello extracurricolare, mi domando: se l’ideologia gender è una teoria assurda non solo perché in contrasto con l’antropologia cristiana, ma perché è contraria all’evidenza della natura umana, perché consentirla, o addirittura proporla, sostenerla?
I diritti umani, sosteneva Papa Ratzinger all’ONU nell’aprile del 2008 “sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo... Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere a una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbe variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti”. L’ideologia gender è figlia del relativismo culturale che la cultura mondana tenta di imporre, le conseguenze a livello umano ed educativo nelle nuove generazioni sono sotto gli occhi di tutti! (cfr. lettera di Alexia)
La situazione della scuola italiana appare lontanissima da quanto affermato da San Giovanni Paolo II all’Unesco: “L’educazione consiste in sostanza nel fatto che l’uomo divenga sempre più umano, che possa “essere” di più e non solamente “avere” di più e che, di conseguenza, attraverso tutto ciò che egli “ha, tutto ciò che egli “possiede”, sappia sempre più pienamente “essere” uomo”.
Parlando della crisi e dell’emergenza educativa nelle scuole e nella società aggiungeva delle parole profetiche: “Invece di operare in favore di ciò che l’uomo deve “essere”, essa (l’educazione scolastica) lavora unicamente in favore di ciò di cui l’uomo può servirsi nell’ambito dell’“avere”, del “possesso”. La tappa ulteriore di questa alienazione è di abituare l’uomo, privandolo della sua soggettività, ad essere oggetto di molteplici manipolazioni: le manipolazioni ideologiche o politiche”. L’introduzione dell’ideologia gender nelle scuole, la sua diffusione è un esempio terribile e nefasto dal punto di vista educativo delle “manipolazioni ideologiche e politiche”.
In questo contesto carico di prospettive negative per quanto riguarda il sistema educativo italiano, una novità di rilievo mi sembra sia quel che è successo a Roma a piazza San Giovanni il 20 giugno: lì si è ritrovato un popolo che non accetta una sudditanza rispetto alla cultura mondana laicista e relativista, che non accetta passivamente i dettami della suddetta cultura, cosciente della novità radicale dell’esperienza e della cultura cristiane, convinto che questa esperienza sia ragionevole e rispettosa di tutto l’uomo, quindi proponibile a chiunque; un popolo che attraverso la testimonianza, la proposta, la vigilanza, la lotta è deciso a non rinunciare al proprio apporto per la costruzione di una civiltà nuova e di una esperienza educativa integralmente umana; un popolo disponibile all’incontro con tutti, ma a partire da una identità che nasce dal riconoscimento e dall’amore alla verità rivelata. Si tratta di una battaglia lunga e difficile che ci deve vedere vigili e decisi, capaci di proposte che entrino nel merito di questioni vitali come la famiglia, la scuola e l’educazione a partire da una concezione e da un sentimento dell’uomo cha abbiano come orizzonte quella cultura primaria di cui parlava San Giovanni Paolo II.