2025 10 28 LIBERTÀ RELIGIOSA RAPPORTO BIENNALE ACS

NIGER - Gruppi jihadisti creano un “corridoio di violenza” contro i cristiani nel Sahel
MOZAMBICO - 20 fedeli uccisi
HAITI - Le gang occupano le chiese. Decine di preti in fuga TESTIMONIANZA: HAITI - Oltre 200 bambini da educare e amare: i piccoli studenti del villaggio di Pourcine- PicMacaya
LE ALTRE GUERRE: SUDAN - Grave situazione umanitaria a El-Fasher catturata dai miliziani delle RSF
LIBERTÀ RELIGIOSA RAPPORTO BIENNALE ACS: due terzi dell’umanità, 5,4 miliardi di persone, vivono in Paesi dove la libertà religiosa non è pienamente garantita.
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CulturaCattolica.it ©
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NIGER - Gruppi jihadisti creano un “corridoio di violenza” contro i cristiani nel Sahel
“Il fatto che una cerimonia di battesimo sia stata presa di mira specificamente”, afferma Ryan Brown di Open Doors US, “dimostra che non si tratta di atti di violenza casuali; sono tentativi calcolati di eliminare la presenza cristiana dalla regione”.

Camerun — Ryan Brown, CEO di Open Doors US, dipinge un quadro fosco della violenza jihadista nel Sahel, affermando che i gruppi jihadisti hanno “un corridoio regionale di violenza” che prende di mira le minoranze religiose.
Il signor Brown ha rilasciato dichiarazioni esclusive a CWR in seguito all’attacco jihadista avvenuto durante una cerimonia di battesimo, in cui hanno perso la vita 22 cristiani.
“Mentre la gente celebrava una cerimonia di battesimo, degli uomini armati hanno aperto il fuoco, seminando morte e terrore”, ha detto. Era lunedì 15 settembre nella regione di Tillaberi.
Tillabéri è una zona instabile al confine con Burkina Faso e Mali, dove operano gruppi jihadisti legati ad Al-Qaeda e allo Stato Islamico.
Human Rights Watch riferisce che almeno 127 abitanti dei villaggi sono stati uccisi da marzo e le loro case sono state ridotte in macerie. L’organizzazione per i diritti umani ha accusato il governo nigerino di non aver agito nonostante gli avvertimenti di attacchi imminenti.
Secondo l’ONG ACLED, che monitora le vittime dei conflitti in tutto il mondo, si stima che circa 1.800 persone siano state uccise in attacchi in Niger dall’ottobre 2024, tre quarti delle quali a Tillaberi.
Il brutale attacco al battesimo di un cristiano è un segnale dell’escalation della persecuzione dei cristiani non solo in Niger, ma in tutta la regione del Sahel africano.
I cristiani costituiscono il 5-6% della popolazione del Paese e sono oggetto di crescenti persecuzioni in un Paese a maggioranza musulmana.
Brown ha dichiarato a CWR che la situazione della sicurezza in Niger e nella più ampia regione del Sahel è peggiorata notevolmente dal 2019, con i gruppi jihadisti che hanno acquisito territorio e influenza considerevoli.
“In Niger, in particolare, stiamo assistendo a una crescente influenza estremista da parte dei vicini Burkina Faso e Mali, che sta creando un corridoio regionale di violenza che prende di mira in particolar modo le minoranze religiose”, ha affermato Brown.
“Il fatto che una cerimonia di battesimo sia stata presa di mira specificamente dimostra che non si tratta di atti di violenza casuali; sono tentativi calcolati di eliminare la presenza cristiana dalla regione”, ha detto a CWR.
Brown sottolinea che questi attacchi mirati contro le liturgie e le cerimonie cristiane rivelano uno sforzo strategico per sradicare la diversità religiosa attraverso la paura e la forza.
“Questo attacco fa parte di un modello devastante che abbiamo documentato in tutto il Sahel. In Burkina Faso, gli estremisti hanno distrutto centinaia di chiese e costretto intere comunità cristiane alla fuga. Anche il Mali ha assistito a simili distruzioni di chiese e rapimenti di missionari. Ciò che rende tutto ciò particolarmente inquietante è che questi gruppi non attaccano solo gli edifici, ma prendono di mira anche i momenti più sacri della vita cristiana: battesimi, matrimoni, funzioni domenicali. È una strategia deliberata per terrorizzare i credenti e spingerli ad abbandonare la loro fede o a fuggire dalle loro case ancestrali”, ha detto Brown a CWR.

Alcuni esperti ritengono che la situazione dei cristiani e i più ampi problemi di sicurezza nel Sahel non siano stati migliorati dai colpi di stato consecutivi avvenuti nella regione del Sahel dal 2020, dalla Guinea al Burkina Faso e al Mali.
Nel 2021, l’esercito del Ciad è salito al potere. Nel luglio 2023, il Niger ha subito un colpo di stato. Nel 2022, Ibrahim Traoré ha preso il potere con la forza in Burkina Faso.
Tutti questi leader sono saliti al potere promettendo di risolvere il problema del terrorismo nei loro territori, ma con eserciti scarsamente equipaggiati e capacità limitate di raccolta di informazioni, soprattutto dopo l’espulsione delle forze occidentali, l’estremismo e il suo corollario, la persecuzione dei cristiani, sembrano aumentare.

Dede Laugesen, direttore esecutivo della coalizione Save the Persecuted Christians , ha dichiarato a Crux in un’intervista del 2019 che “i cristiani sono sempre più visti come una minaccia per i territori e i governi a predominanza musulmana”.
“I vasti territori di regioni disabitate e senza governo offrono una facile copertura alle attività dei gruppi terroristici islamici. Se a ciò si aggiungono povertà estrema, disoccupazione e rotte consolidate per il traffico illegale di armi e la tratta degli schiavi, i paesi africani ricchi di risorse a nord dell’equatore forniscono un terreno fertile per i combattenti dello Stato Islamico in fuga dal Medio Oriente alla ricerca di nuovi territori da dominare”, ha detto Laugesen a Crux.

Secondo il Centro per gli studi strategici e internazionali, negli ultimi anni gli attacchi estremisti sono aumentati vertiginosamente in Burkina Faso, Niger e Mali, passando da 180 incidenti nel 2017 a oltre 800 attacchi violenti nel 2019.
In Burkina Faso, ad esempio, le vittime legate alla violenza dei gruppi islamisti militanti sono quasi triplicate negli ultimi tre anni, raggiungendo quota 17.775. Questo dato si confronta con i 6.630 decessi registrati nei tre anni precedenti il colpo di stato di Traoré, secondo il Centro per gli Studi Strategici e Internazionali.
Il Centro segnala inoltre che tre dei cinque attacchi terroristici più mortali in Burkina Faso hanno avuto luogo nell’ultimo anno.
In Mali, dal 2000 sono state uccise 17.700 persone, l’81% delle quali (14.384 decessi) si è verificato dopo il colpo di Stato del 2020. Solo l’anno scorso, il Paese ha registrato 2.650 vittime.
E dal rovesciamento del presidente Mahmoud Bazoum nel 2023, le vittime legate alla violenza dei militanti islamisti sono quadruplicate (fino a 1.655 morti).
Queste tendenze hanno portato il Segretario di Stato americano a dichiarare a novembre che il Sahel sarà una “zona di interesse privilegiata” al di fuori del Medio Oriente per la sconfitta della coalizione ISIS.

Brown, tuttavia, sostiene che se i terroristi pensavano che i loro attacchi contro i cristiani avrebbero portato all’annientamento del cristianesimo, allora si sbagliavano.
“Ciò che è straordinario è come la persecuzione abbia effettivamente rafforzato la Chiesa in molti modi”, ha affermato. “Stiamo assistendo a un’unità senza precedenti tra le diverse confessioni, mentre i credenti si sostengono a vicenda nonostante lo sfollamento e la perdita. In Burkina Faso, cristiani di diverse tradizioni pregano insieme e condividono risorse in modi mai visti prima. Alcuni dei nostri partner riferiscono che i musulmani sono diventati più aperti al Vangelo dopo aver assistito al perdono e alla resilienza dei cristiani di fronte a tale violenza”.
“La Chiesa non si limita a sopravvivere; sta trovando nuove espressioni di fede anche nei campi profughi e nei raduni nascosti”, ha affermato.
“Sebbene siano certamente in gioco fattori geopolitici, Open Doors si concentra sul rafforzamento dei credenti e delle chiese locali affinché possano rispondere a qualsiasi sfida si trovino ad affrontare”, ha affermato.

“Quello che abbiamo imparato in 70 anni è che le soluzioni più sostenibili vengono dall’interno: leader locali qualificati, comunità ecclesiali resilienti e credenti attrezzati per mantenere la propria fede indipendentemente dai cambiamenti politici esterni”.
Ha affermato che Open Doors ha collaborato con le chiese locali in tutto il Sahel per fornire una formazione sulla preparazione alla persecuzione, in modo che i credenti sappiano come rispondere alla violenza in modo biblico.
“Offriamo programmi di cura e guarigione per i sopravvissuti agli attacchi, sosteniamo le famiglie sfollate con aiuti di emergenza e aiutiamo le chiese a sviluppare una consapevolezza della sicurezza senza vivere nella paura”, ha affermato.
Brown afferma che “la chiesa è sopravvissuta e ha prosperato in ogni transizione politica nella storia di questa regione e ci impegniamo a garantire che continui a farlo”.
(The Catholic World Report 24 settembre 2025 Ngala Killian Chimtom)

MOZAMBICO - 20 fedeli uccisi
Una recente ondata di attacchi mortali in Mozambico ha aggravato il trauma e la paura dei credenti nel Paese. Coincide con un severo avvertimento lanciato dai militanti islamisti ai cristiani nella regione.
Open Doors Team

Almeno 20 fedeli sono stati uccisi dopo che militanti islamisti hanno lanciato un’ondata di attacchi contro un villaggio a maggioranza cristiana in Mozambico. La violenza ha distrutto 1.300 case e due chiese e ha costretto circa 2.000 fedeli a lasciare la propria casa.
L’attacco è avvenuto all’inizio di questo mese nel villaggio di Napala, nel distretto di Chiúre, nella turbolenta provincia settentrionale di Cabo Delgado. Si ritiene che il responsabile sia il gruppo noto come al-Shabaab (Ahlu Sunnah wa Jama’ah). Il distretto di Chiúre ha subito diversi attacchi violenti quest’anno.
Secondo un pastore locale, la situazione è rapidamente peggiorata quando le Forze di Difesa e Sicurezza (FDS) si sono ritirate dal combattimento contro gli insorti. “Tutto è peggiorato quando le FDS hanno cercato di intervenire senza successo. Quando sono fuggiti, tutto è precipitato”, ha detto il pastore.
L’osservazione è stata condivisa da un leader della comunità locale, che ha affermato: “Dato che i militari erano già in conflitto con i terroristi, dopo la loro ritirata al-Shabaab ha continuato con grande furia e con attacchi che hanno causato la distruzione di tutte le case”.
“Piangiamo la triste morte di quattro sorelle anziane che sono state legate e bruciate all’interno di una casa dagli insorti”, ha condiviso un altro pastore.

Cristiani presi di mira nell’avvertimento della newsletter
Gli attacchi coincidono con la pubblicazione, nella newsletter settimanale, di un avvertimento da parte del cosiddetto Stato Islamico (IS) ai cristiani in Africa, in riferimento alle insurrezioni in luoghi come il Mozambico.
“Se i cristiani d’Africa desiderano essere al sicuro e sfuggire al ciclo di uccisioni, dovrebbero sapere che il nostro puro Islam garantisce loro la libertà di scegliere tra tre opzioni. Prima: l’Islam, diventando così nostri fratelli nell’iman [fede], con gli stessi diritti e doveri. Seconda: pagare la jizya [tassa pro capite] con umiliazione e sottomissione, preservando così il loro sangue e vivendo al sicuro nei loro villaggi. E terza: se rifiutano sia l’Islam che la jizya, allora la morte e l’espulsione, che stanno sperimentando e subendo da anni.”
L’editoriale elogia la “jihad” del gruppo, che ha preso di mira e ucciso i cristiani in Mozambico e nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), incitando al contempo i seguaci dell’IS in Europa a “esigere” quello che definisce un “verdetto divino” contro i cristiani nelle loro regioni.
La chiesa in Mozambico sta attraversando un profondo trauma. Molti credenti e leader vivono nella paura, nell’intimidazione e nell’esaurimento emotivo. Sebbene rimanga un genuino desiderio di servire Cristo, la paura continua a indebolire la testimonianza pubblica della chiesa in molte aree. Ma Dio sta operando in queste zone calde, in modi difficili da spiegare.(…)
(20 ottobre 2025 OPEN DOORS)

HAITI - Le gang occupano le chiese. Decine di preti in fuga
Un recente censimento parla di almeno 60 parrocchie chiuse e svuotate dai banditi. Sacerdoti e religiosi si uniscono all’esodo che riguarda ormai 1,4 milioni di civili

Impossibile raggiungerlo. Croix-des-bouquets, il quartiere dove è costretto a rifugiarsi da dieci mesi, è blindato dalle gang. «L’unico modo per parlarci faccia a faccia è che esca io», spiega in un francese misto all’italiano padre Yves Carlos Romulus. Anche per il parroco-sfollato della cappella Saint Laurent de Bongard è rischioso attraversare i confini, invisibili quanto impermeabili, fissati dalle bande armate che ormai controllano Port-au-Prince e dintorni. «Ma sono abituato: lo faccio di frequente per incontrare i fedeli», minimizza il sacerdote. L’appuntamento è fissato “al limite”: rue Clercine, appena dietro l’aeroporto, la prima strada “aperta” ai non residenti. Là c’è quel che resta di un centro commerciale: solo il fast food al piano di sopra funziona, seppure a singhiozzo. «Ci vediamo fra due ore, anche se è molto nuvoloso – dice padre Yves Carlos prima di riagganciare –. Solo una condizione: al primo accenno di temporale filiamo via perché con la pioggia la strada diventa un fiume in piena e resteremmo intrappolati entrambi. Parta subito». Le sue parole si chiariscono nel tragitto. Dopo le ripetute battaglie tra gang e quel che resta delle forze di sicurezza per il controllo dello scalo, rue Clercine è una successione di crateri. Le poche auto e le tante moto circolanti sono costrette a uno slalom audace per evitarli. Il risultato – anche in condizioni meteorologiche normali - è la congestione dei pochi tratti agibili. Occorrono tutte le due ore per arrivare con un ritardo moderato. «Non si preoccupi, noi profughi apprendiamo in fretta la difficile arte della pazienza».

«Noi profughi», una categoria in continua crescita nella capitale e nel resto di Haiti. Oltre 1,4 milioni di persone, in base agli ultimi dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) dello scorso mese, sono state costrette a lasciare le proprie case a causa della violenza. Quasi il doppio rispetto a un anno fa. Nel gruppo rientrano anche diverse decine di sacerdoti. Difficile avere una stima precisa. Ad aprile, l’arcivescovo di Port-au-Prince, Max Leroy Mésidor, ha denunciato la chiusura di 28 parrocchie della diocesi da parte delle bande mentre delle altre, il 40 per cento, era stato costretto a ridurre le attività al minimo. Ad agosto, padre Brillère Aupont ha pubblicato un censimento aggiornato in cui parla di sessanta chiese prese in ostaggio dai gruppi armati nella capitale, 80 nel Paese. Ad alcuni sacerdoti è consentito celebrare a discrezione del capo di riferimento. Altri sono direttamente cacciati, come il resto dei civili. Tra loro c’è padre Yves Carlos. Il 27 gennaio scorso, la federazione di bande Viv Ansanm ha attaccato Kenscoff, punto nevralgico di Port-au-Prince. Arrampicato sulle colline occidentali della città, per il quartiere passano le ultime direttrici relativamente agibili per i dipartimenti dell’est e del sud. Almeno fino ad ora. I gruppi armati, guidati dal super boss Jimmy Chérizier alias Barbecue, sono determinati a conquistarle, in modo da garantirsi il redditizio bottino dei “pedaggi”. La polizia non vuole cedere. La battaglia, dunque, va avanti. La zona di Bongard, dove si trova la cappella di Saint Laurent, con i suoi 15mila abitanti, è finita fin da subito sulla linea del fronte. «Nel giro di poche ore, hanno bruciato decine e decine di case. Centocinquanta persone sono state massacrato. Tra loro Joseph, uno dei miei collaboratori. Ha cercato di difendere casa sua e l’hanno ucciso con un colpo di pistola. I superstiti sono scappati terrorizzati. Per quanto mi riguarda, ho scelto, come sempre, di accompagnare il mio popolo profugo. Finora non sono più tornato a Saint Laurent». Il sacerdote è così tornato dalla famiglia a Croix-des-Buquets e da là fa la spola per i vari siti dove sono finiti i parrocchiani. Una buona parte si è concentrata a Petionville, l’unico brandello di capitale in cui ci si può muovere. I più fortunati hanno un parente che possa accoglierli. Il resto si è accampato nelle piazze, nelle strade, negli edifici abbandonati, ovunque abbia trovato posto. Spesso padre Yves Carlos organizza delle riunioni nella chiesa di Saint Pierre del quartiere. «L’ultima è stata la settimana scorsa. Mi avevano chiesto di celebrare alcuni battesimi, così abbiamo deciso di vederci tutti insieme. Per le persone è importante sapere che non sono soli, che la comunità è ancora viva. Mi chiamano di continuo: sono tristi, depressi, angosciati. La chiamo la “pastorale del telefono”». Nel frattempo, dopo essere stata razziata, Saint Laurent è stata occupata dai banditi.
Lo stesso è accaduto alla non lontana parrocchia della Conversione di San Paolo di Furcy, guidata fino a gennaio da padre Jeanrilus Excellus, della congregazione degli spiritani. Nel villaggio, i miliziani di Viv Ansanm sono arrivati dopo avere messo a ferro e fuoco Kenscoff. «Un gruppo ha trasformato il mio presbiterio nel loro quartier generale. Mi hanno dato a malapena il tempo di prendere l’Eucarestia e gli archivi e mi hanno cacciato», racconta il religioso nella chiesa di Saint Pierre, anche per lui luogo di incontro abituale con i suoi fedeli. Qualche mese fa – ma preferisce non dare troppi dettagli – una banda ha fatto irruzione nella chiesa di Saint Hyacinthe di Petionville e l’ha portato via: solo dopo alcuni giorni è stato liberato.
«Preti, religiose e religiosi condividono il dolore di questo popolo martire. Non mi preoccupo tanto per me quanto per quanto sta soffrendo la gente. Ho creato un gruppo WhatsApp con cui stiamo in contatto continuo ma è davvero duro», aggiunge. «Alle gang vorrei direi: date una possibilità a questo Paese di sopravvivere – conclude padre Yves Carlos –. So che non solo i soli responsabili. Ma ora possono fare la loro parte. Magari prima o poi accadrà, non perdo la speranza. Ogni tanto i miracoli accadono. Vede? Questo pomeriggio, intanto, non ha piovuto».
(di Lucia Capuzzi,19 ottobre 2025 Avvenire)

TESTIMONIANZA

HAITI - Oltre 200 bambini da educare e amare: i piccoli studenti del villaggio di Pourcine- PicMacaya

“Dopo tre giorni di integrazione ogni alunno prende posto in classe e si comincia a tutti gli effetti. Gli scolari vengono numerosi, i maestri in cattedra e partiamo... in tutti il grande desiderio di trascorrere un sereno anno scolastico. Tra scuola materna e scuola fondamentale arriviamo a più di 200 bambini... da educare e amare. Purtroppo in molte parti di Haiti la situazione e ben diversa e molte scuole rimangono ancora chiuse” chiosa padre Massimo Miraglio, Camilliano, parroco della Chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Pourcine- PicMacaya.

Secondo un nuovo rapporto Child Alert dell’UNICEF, pubblicato nei giorni scorsi, il numero di bambini sfollati a causa della violenza ad Haiti è quasi raddoppiato nell’ultimo anno. Seicento ottantamila bambini ora sono sradicati dalle loro case, complessivamente, più di 1,3 milioni di persone sono sfollate in tutto il Paese, mentre la spirale di violenza, il collasso dei servizi e la mancanza di accesso umanitario spingono il paese in una crisi sempre più profonda.
Il numero dei campi profughi - si legge- è salito a 246 in tutto il Paese solo nella prima metà del 2025, mentre molti bambini sono stati costretti a fuggire più volte a causa del diffondersi della violenza. “I bambini di Haiti stanno subendo violenze e sfollamenti di dimensioni terrificanti”, ha dichiarato Catherine Russell, Direttrice generale dell’UNICEF. “Ogni volta che sono costretti a fuggire, perdono non solo le loro case, ma anche la possibilità di andare a scuola e semplicemente di essere bambini. Le scuole spesso fungono anche da rifugi, interrompendo ulteriormente l’istruzione di quasi mezzo milione di studenti”.

Inaugurato ufficialmente questo nuovo anno scolastico nella sua comunità di montagna padre Massimo riprende anche con la distribuzione delle pianticelle di caffè del vivaio: 40 lotti ognuno di circa 70 pianticelle. “Ripartire con la coltura del caffè, rallentata a causa della pioggia e della chiusura del passaggio via terra da Port au Prince a Jeremie, è fondamentale per la Comunità di Pourcine-Pic Makaya” aveva detto in passato il missionario (vedi Fides 5/3/2025).

“Diversi beneficiari sono arrivati al vivaio per ritirare il lotto con i mezzi a loro disposizione. Anche i muli sono stati coinvolti - racconta all’Agenzia Fides. Altri che abitano più vicino sono venuti con sacchi. Nel momento del trapianto definitivo in terra, i beneficiari dei lotti verranno seguiti da un giovane agronomo che darà loro utili consigli. Intanto il caffè nel terreno parrocchiale continua con la sua lenta maturazione. Queste prime 4.000 pianticelle sono poca cosa ma rappresentano una piccola inversione di tendenza rispetto a questi ultimi anni nei quali il caffè stava cominciando a scomparire in diverse località della zona di Pourcine-PicMakaya”.

Haiti continua ad affrontare crisi sovrapposte, con oltre 3,3 milioni di bambini che necessitano di assistenza umanitaria e oltre un milione di piccoli che affrontano livelli critici di insicurezza alimentare. Si stima che quest’anno circa 288.544 bambini sotto i cinque anni soffriranno di malnutrizione acuta.
(AP) (Agenzia Fides 10/10/2025)

LE ALTRE GUERRE

SUDAN - Grave situazione umanitaria a El-Fasher catturata dai miliziani delle RSF
Forte preoccupazione per i circa 260.000 civili intrappolati da 18 mesi a El-Fasher caduta il 26 ottobre nelle mani dei miliziani delle Forze di Supporto Rapido (Rapid Support Forces RSF vedi Fides 27/10/2025).
Mentre il generale Abdel Fattah al-Burhan capo dell’esercito (Sudan Armed Forces SAF) ha ammesso il ritiro dei suoi uomini dalla città (“Abbiamo concordato di ritirare l’esercito da El-Fasher in un luogo più sicuro”, ha affermato in un discorso alla televisione), continuano a giungere rapporti e testimonianza di uccisione di massa di civili.
I rapporti più asettici derivano dalle immagini scattate dai satelliti che orbitano sopra l’area. Secondo un’analisi preliminare effettuata dall’Humanitarian Research Lab della Yale School of Public Health, redatta sulla base di immagini satellitari, vi sono evidenze di massacri commessi dai miliziani delle RSF. In particolare la relazione afferma che dalle immagini satellitari appaiono automezzi armati delle RSF “schierati in formazioni tattiche coerenti con operazioni di sgombero casa per casa nel quartiere di Daraja Oula; dove la scorsa settimana era stata confermata la presenza di civili in cerca di rifugio in quell’area”. I mezzi dotati di mitragliatrice appaiono aver bloccato le strade laterali per evitare qualsiasi possibilità di fuga.
“L’analisi delle immagini mostra oggetti di dimensioni compatibili con corpi umani sul terreno vicino ai veicoli delle RSF” afferma il rapporto secondo il quale “sono inclusi almeno cinque casi di scolorimento rossastro della terra”, indicando il possibile seppellimento dei corpi sul posto,
Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha denunciato che nel corso dei combattimenti è stato colpito l’unico ospedale ancora parzialmente funzionante della città, il Saudi Maternity Hospital, con l’uccisione di un’infermiera e il ferimento di tre altri appartenenti al personale sanitario.
Sul piano strategico la conquista di El-Fasher, l’ultima roccaforte nel Darfur in mano alle SAF, posta lungo importanti vie di trasporto e rifornimento, apre la porta d’accesso per le RSF all’intero Sudan occidentale. Permette inoltre ai miliziani delle RSF di avanzare nel confinante Kordofan. È notizia di queste ore di pesanti combattimenti tra SAF e RSF a Jebel Hashaba a sud-ovest di El Obeid, il capoluogo del Nord Kordofan. (L.M.) (Agenzia Fides 28/10/2025)

SUDAN - 17 bambini uccisi nel Darfur settentrionale
L’eccidio è avvenuto durante l’attacco di sabato mattina (11 ottobre) al centro per sfollati Dar al-Arqam ad Al Fasher.

L’esercito del Sudan ha respinto nelle ultime ore un attacco delle Forze di supporto rapido (Rsf) contro la capitale del Darfur settentrionale, El Fasher, sventando gli assalti diretti contro i due ospedali locali.
Nel frattempo le Nazioni Unite hanno condannato fermamente una serie di attacchi “ripetuti e deliberati” contro i civili a El Fasher condotti dalle Forze di supporto rapido (Rsf) e hanno chiesto che i responsabili siano chiamati a risponderne. In una dichiarazione rilasciata ieri, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha condannato i recenti attacchi in cui sono morti almeno 110 civili. Nella denuncia dell’organismo umanitario si fa riferimento all’utilizzo di droni contro un rifugio per sfollati nel quartiere di Daraja Oula, in cui sono morti almeno 57 civili, tra cui donne e bambini. In precedenza, tra il 5 e l’8 ottobre, una serie di attacchi aveva causato almeno 53 morti e oltre 60 feriti tra i civili.

Unicef: un vergognoso oltraggio
Secondo le notizie ricevute dall’UNICEF, almeno 17 bambini – 9 bambine e 8 bambini, tra cui un neonato di soli sette giorni – sono stati uccisi nell’attacco di sabato mattina al centro per sfollati Dar al-Arqam ad Al Fasher, nel Nord Darfur. Un’altra ventina di bambini sono rimasti feriti. L’attacco è avvenuto in una struttura che ospita famiglie sfollate. “Questo devastante attacco contro bambini e famiglie già sfollati e in cerca di sicurezza è un oltraggio”, ha dichiarato Catherine Russell, Direttrice Generale dell’UNICEF.

Sotto assedio da più di un anno
Al Fasher è sotto assedio da parte delle Forze di supporto rapido (Rsf) da oltre 500 giorni, con gravi restrizioni alla libertà di movimento, all’accesso al cibo, all’acqua e alle cure mediche. I civili, tra cui un gran numero di bambini, hanno subito ripetuti bombardamenti e un deterioramento delle condizioni di vita. Diverse zone del Nord Darfur sono in condizioni di carestia da mesi e la sicurezza alimentare e la situazione nutrizionale dei bambini nello Stato ha raggiunto livelli catastrofici. Le strutture sanitarie segnalano un aumento dei decessi prevenibili di bambini legati alla fame e alle malattie. L’interruzione delle vie di rifornimento, il saccheggio dei convogli umanitari e il rifiuto di consentire l’accesso agli aiuti umanitari - conclude l’agenzia dell’Onu - hanno reso quasi impossibile portare avanti le azioni di assistenza. (Vatican News 13 ottobre 2025)

LIBERTÀ RELIGIOSA
RAPPORTO BIENNALE ACS: due terzi dell’umanità, 5,4 miliardi di persone, vivono in Paesi dove la libertà religiosa non è pienamente garantita.

“La libertà religiosa è un diritto umano, non un privilegio”.

“La libertà religiosa è un diritto umano, non un privilegio”. È su questo assunto che poggia il rapporto pubblicato ogni due anni da Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).
L’ultimo, relativo al biennio 2023-2024, è stato presentato oggi al Pontificio Istituto Patristico Augustinianum di Roma e, secondo l’ong cattolica, “lancia un allarme preoccupante”: due terzi dell’umanità, 5,4 miliardi di persone, vivono in Paesi dove la libertà religiosa non è pienamente garantita. Tra le nazioni che registrano le persecuzioni più gravi vi sono Cina, India e Corea del Nord. Mentre, nel periodo di riferimento, solo due Paesi, entrambi dell’Asia, hanno mostrato miglioramenti: Kazakistan e Sri Lanka.
Un volume di oltre 1200 pagine — mai così tante da quando, 25 anni fa, fu creato questo studio biennale — la cui ampiezza sta a dimostrare plasticamente quanto le cose in un quarto di secolo sono addirittura peggiorate.

Il 10 ottobre papa Leone XIV ha ricevuto in udienza staff e collaboratori di ACS. In riferimento allo studio - che analizza dal 1999 le violazioni alla libertà religiosa in 196 Paesi e ai danni di tutte le comunità religiose - ha affermato: “Per più di 25 anni il vostro Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo è stato uno strumento potente di sensibilizzazione. Questo rapporto fa più che fornire informazioni; reca testimonianza, dà voce a chi non ha voce e rivela la sofferenza nascosta di tanti”.

Questa mattina il card. Pietro Parolin è intervenuto alla presentazione.
Il Segretario di Stato della Santa Sede ha ricordato nel suo discorso la Dignitatis Humanae, dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa del 1965, esattamente 60 anni fa, documento “pietra miliare” di tale diritto universale.
“Il principio della libertà religiosa permea tutti gli aspetti dell’interazione umana, sia individuale che collettiva”, ha affermato il cardinale. Infatti, esso “protegge il santuario interiore della coscienza”, e allo stesso tempo “promuove comunità vivaci in cui persone di fedi diverse possono vivere insieme”. Parolin ha aggiunto che tale principio, per essere affermato, ha bisogno di essere “formalmente riconosciuto all’interno dei quadri giuridici”.
Sempre facendo riferimento alla Dichiarazione Dignitatis Humanae, il cardinale ha anche ribadito che gli «uomini e donne in tutto il mondo meritano la libertà da qualsiasi forma di costrizione in materia di fede» e che è «dovere dei governi e delle comunità astenersi dal costringere chiunque a violare le proprie convinzioni più profonde o dall’impedire a qualcuno di viverle autenticamente». Tuttavia, ha aggiunto, «questa libertà non rappresenta un’approvazione indiscriminata dell’errore o una licenza per abbracciare il falso senza discernimento», ma «piuttosto un invito a perseguire la verità con diligenza, ricordando che anche chi si smarrisce nella ricerca conserva diritti inviolabili contro la coercizione».

Il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo

La libertà religiosa è il termometro del rispetto di tutti gli altri diritti umani. Il suo declino segnala un più ampio arretramento delle libertà fondamentali”, ha detto la presidente Regina Lynch.
Ma a leggere il Rapporto — presentato dalla direttrice editoriale del documento, Marta Petrosillo — si comprende quanto tutto questo sia sistematicamente disatteso.
Prima di tutto, perché la ricerca minuziosa, che prende in esame 196 nazioni nel periodo compreso tra gennaio 2023 e dicembre 2024, documenta gravi violazioni in 62 di essi.
Di questi 24 sono classificati come Paesi di “persecuzione” e 38 come Paesi di “discriminazione”.
Solo due nazioni — Kazakistan e Sri Lanka — hanno registrato miglioramenti rispetto alla precedente edizione dello studio».
In cifre: in 24 paesi i credenti soffrono persecuzioni (4,1 miliardi di persone), quindi molestie e violenze personali, mentre in 38 paesi patiscono atti di discriminazione (1,3 miliardi di persone), perché sottoposti a leggi non neutrali.
In più, nel 2023, in 44 Paesi si sono registrati omicidi a motivo della religione, e ancora in 31 Stati la libertà religiosa non è garantita per legge.

Nella maggioranza di queste nazioni, la causa della repressione religiosa risulta essere l’autoritarismo: «I governi ricorrono a tecnologie di sorveglianza di massa, censura digitale, legislazioni ingiuste e arresti arbitrari per colpire le comunità religiose indipendenti. Il controllo della fede è diventato uno strumento di potere politico».
In 52 Paesi, infatti, come sottolinea il report, le istituzioni governative ritengono la fede una minaccia al proprio potere. Basti pensare alla Corea del Nord, o al Nicaragua, dove le chiese vengono chiuse e si tende a cancellare l’identità religiosa.

In 25 Paesi, invece, come il Burkina Faso, il Mali, il Niger, è il jihadismo islamico a perseguitare cristiani, musulmani e altre minoranze religiose. «In 15 Paesi dei due continenti rappresenta la causa principale della persecuzione ed in altri 10 contribuisce alla discriminazione». Epicentro della violenza jiadista sembra essere tutta l’area del Sahel dove hanno trovato la morte centinaia di migliaia di persone e dove sono sfollate intere comunità, intere città.

Poi ancora in 6 Paesi, come l’India, la minaccia alla libertà religiosa è causata dal nazionalismo etno-religioso, per il quale ogni identità religiosa, o etnia altra, diventa l’oggetto di persecuzione o discriminazione, in una sorta di “persecuzione ibrida”, perché portata avanti da istituzioni e società.

Un fattore emergente è ancora l’attività della criminalità organizzata, come accade in Messico, in cui sacerdoti e suore vengono uccisi per il loro servizio ai più poveri, nell’ottica del contrasto alla corruzione. Infine la guerra. La libertà religiosa soffre anche per i conflitti armati, che creano situazioni in cui le religioni diventano un target, come oggi accade in Ucraina, a Gaza, nel Sahel, in Siria.

Viene sottolineato anche che il mondo “occidentale” non è immune da tale processo.
«Nel 2023, la Francia ha registrato quasi mille attacchi alle chiese; in Grecia si sono verificati oltre 600 atti di vandalismo. Numeri simili si sono registrati anche in Spagna, Italia e Stati Uniti».

Aiuto alla Chiesa che soffre, per la prima volta, ha lanciato una petizione globale affinché, hanno affermato gli organizzatori, «i governi e le organizzazioni internazionali garantiscano la protezione effettiva dell’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che riconosce ad ogni persona il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione».
(Sintesi da AsiaNews 21/10/2025, Avvenire 21 ottobre 2025, Vatican News 21 ottobre 2025)