2025 10 22 Questa settimana riportiamo notizie riguardanti i cristiani in CINA.
Sono state raccolte negli ultimi mesi.Innanzitutto la questione dei Vescovi cattolici e i rapporti con il Vaticano:
A Shanghai l’ordinazione ‘blindata’ del vescovo ausiliare Wu Jianlin
I cattolici di Shanghai e le restrizioni del vescovo Ma Daqin
Zhangjiakou: Ma Yanen vescovo ausiliare, Cui Tai riconosciuto (ma per pensionarlo)
Il controllo del Partito Comunista Cinese anche sui sacerdoti “patriottici”:
Wenzhou: agli arresti anche p. Ma, l’ex responsabile ‘patriottico’ della diocesi
Un solo esempio dei continui arresti nelle Chiese domestiche cinesi:
Chiese domestiche cinesi: imponente raid di Pechino contro la Zion Church
Le ultime notizie su Zhang Zhan: ‘Non sto in silenzio a causa del Vangelo’:
La 42enne blogger e avvocatessa che finì in cella per i racconti sulla pandemia a Wuhan
Per concludere:
I martiri cinesi 25 anni dopo: le polemiche di ieri, il silenzio di oggi
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CINA - A Shanghai l’ordinazione ‘blindata’ del vescovo ausiliare Wu Jianlin
Si è svolta la cerimonia per il presule fatto eleggere dal vescovo Shen Bin durante la Sede vacante in Vaticano. Leone XIV ha approvato la nomina ad agosto ai sensi dell’Accordo. Pur recluso nel seminario di Sheshan dal 2012, l’altro vescovo ausiliare Ma Daqin ha voluto inviare via social un messaggio di unità alla Chiesa di Shanghai.
Si è svolta a Shanghai nella cattedrale di Xujiahui l’ordinazione del vescovo ausiliare Ignazio Wu Jianlin. (…) E si tratta di una nomina di peso, fortemente voluta da mons. Shen Bin, il presule che le autorità di Pechino trasferirono unilateralmente a Shanghai nell’aprile 2023, con un gesto poi sanato - solo tre mesi dopo e in nome dell’unità della Chiesa in Cina - da papa Francesco.
Accanto a mons. Shen Bin - che è il presidente del Consiglio dei vescovi cinesi (l’organo collegiale non ufficialmente riconosciuto dalla Santa Sede) - a concelebrare la cerimonia di ordinazione sono stati il vescovo Yang Yongqiang della diocesi di Hangzhou, il vescovo di Nanchang Li Suguang e il vescovo Xu Honggen della diocesi di Suzhou. “P. Yang Yu - recita lo scarno comunicato del sito ufficiale dell’Associazione patriottica – ha dato lettura della ratifica dell’elezione da parte del Consiglio dei vescovi cinesi e circa 600 persone, tra cui preti, religiosi, suore e rappresentanti della diocesi di Shanghai, hanno preso parte alla cerimonia”.
Nulla altro è dato di sapere: nessun accenno a parole pronunciate da Shen Bin o dal nuovo vescovo ausiliare Wu Jianlin. Fonti locali raccontano anche di controlli molto rigidi sull’ingresso nella cattedrale, comprendenti la richiesta di consegnare tutti i telefoni.
Di certo si sa che tra i concelebranti non c’era mons. Taddeo Ma Daqin, l’altro vescovo ausiliare oggi cinquantasettenne, che al momento della sua consacrazione il 7 luglio 2012 - avvenuta già allora con il consenso della Santa Sede - annunciò le sue dimissioni dall’Associazione patriottica per concentrarsi sul suo ministero pastorale. Da allora è tenuto in isolamento nel seminario di Sheshan, anche se mantiene un suo profilo su WeChat sul quale pubblica ogni tanto riflessioni spirituali. Nel frattempo p. Wu Jianlin, che è nativo del distretto di Chongming e oggi ha 55 anni, era già diventato il vero amministratore della diocesi dopo la morte nel 2013 di mons. Aloisius Jin Luxian.
Proprio per questa situazione pesantemente influenzata dalla volontà del Partito comunista cinese, molti fedeli di Shanghai guardano con tristezza all’ordinazione episcopale avvenuta oggi. Ma va segnalato che proprio mons. Ma Daqin – pur nella sua condizione, che non può certo essere considerata di piena libertà – ha voluto mandare oggi un significativo messaggio di unità alla Chiesa di Shanghai.
Attraverso il suo profilo WeChat ha rivolto infatti un messaggio di auguri al suo confratello: “Sono lieto di apprendere - scrive - che il vescovo Shen Bin ha ordinato stamattina p. Wu Jianlin come vescovo ausiliare. Credo fermamente che, con questo valido collaboratore, il vescovo Shen sarà in grado di guidare le varie opere della Chiesa cattolica di Shanghai verso un sempre maggiore sviluppo, per una gloria ancor più grande del Signore. Sono certo che il nuovo vescovo, con spirito rinnovato, saprà servire noi fedeli con impegno e dedizione”.
(Asia News di Giorgio Bernardelli 15/10/2025)
L’ordinazione episcopale del vescovo ausiliare Ignazio Wu Jianlin (avvenuta il 15 ottobre) dopo che Leone XIV ha dato il suo consenso a questa “candidatura nel quadro dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese” - non è un passaggio indolore per la comunità cattolica di Shanghai. Pesa il fatto che sia avvenuta senza la soluzione della vicenda di mons. Taddeo Ma Daqin, l’altro vescovo ausiliare da ormai tredici anni confinato nel seminario di Sheshan e impossibilitato a svolgere il suo ministero pastorale per il suo rifiuto di continuare ad aderire all’Associazione patriottica.
CINA - Shanghai Annunciata per il 15 ottobre l’ordinazione episcopale di Wu Jinlian, nominato dopo la morte di papa Francesco e mai riconosciuto dalla Santa Sede. È il segno del fallimento dell’Accordo segreto Cina-Vaticano, ma il cardinale Parolin insiste: «Andiamo avanti con pazienza».
La diocesi ha inviato la comunicazione ufficiale per la cerimonia di ordinazione di p. Wu Jianlin, convocando tutti i preti e le suore a essere presenti senza eccezioni. L’ordinario Shen Bin avrebbe caldeggiato la scelta dicendo: “È membro della Conferenza del partito, deve essere vescovo”. Il caso dell’altro ausiliare Ma Daqin dal 2012 impossibilitato ad esercitare il suo ministero per essersi rifiutato di aderire all’Associazione patriottica. (…)
P. Wu Jianlin è stato eletto come vescovo ausiliare il 28 aprile di quest’anno. È noto che, prima di questo voto, il vescovo Shen Bin aveva visitato uno per uno i vari vicariati, organizzando incontri e colloqui privati per garantire l’elezione di p. Wu. Prima ancora, i funzionari degli affari religiosi di ciascun distretto avevano già contattato i sacerdoti della diocesi per sondare le loro intenzioni di voto. Come AsiaNews ha raccontato a suo tempo, l’elezione si è svolta una settimana dopo la morte di papa Francesco, nel periodo della sede vacante in Vaticano. (…)
Dopo che il vescovo auilioare Taddeo Ma Daqin era stato sospeso nel 2012 in seguito alla sua rinuncia pubblica di aderire all’Associazione patriottica, p. Wu Jianlin è diventato il coordinatore del “gruppo dei cinque” della diocesi. È stato eletto membro della Conferenza consultiva politica municipale di Shanghai nel 2013, e nel 2018 è diventato membro della Conferenza consultiva politica nazionale.
Molte voci della comunità cattolica locale hanno osservato con preoccupazione che gli esponenti gesuiti e i giovani cattolici della diocesi di Shanghai, che in passato avevano sostenuto con coraggio la comunione con la Chiesa universale, mantenendo la fede e la lealtà senza temere conseguenze personali, stanno diventando un ricordo del passato. Oggi, la diocesi di Shanghai sembra sempre più un palcoscenico per spettacoli politici.
Si citano alcuni fatti: papa Francesco è morto il 21 aprile (ora di Roma, pomeriggio in Cina). Molti fedeli, sacerdoti e suore della diocesi di Shanghai avevano raccolto materiale commemorativo e organizzato eventi di lutto e commemorazione. Tuttavia, nel pomeriggio dello stesso giorno, la diocesi di Shanghai ha pubblicato questo avviso: “Cari sacerdoti e suore, papa Francesco è tornato alla casa del Padre questo pomeriggio. Le attività commemorative saranno organizzate unificatamente dall’Associazione patriottica e dalla Conferenza dei vescovi. Le parrocchie non devono organizzare commemorazioni in modo privato, né pubblicare o commentare post online. Se sono già state organizzate, devono essere cancellate immediatamente. Nella Messa, non si menzioni più ‘il nostro Papa’, ma direttamente ‘il nostro vescovo’ nella preghiera eucaristica”.
Solo tre giorni dopo, sul sito della diocesi è comparso un articolo intitolato “Papa Francesco è tornato alla casa del Padre”, accompagnato dalla dicitura: “Articolo interamente ripreso dal sito ufficiale dell’Associazione patriottica e della Conferenza dei vescovi cinesi”.
Quanto all’elezione del nuovo papa, avvenuta 15 giorni dopo, a parte un comunicato dell’agenzia di stampa Xinhua che affermava che la Chiesa cattolica cinese aveva inviato un messaggio di congratulazioni, il sito dell’Associazione patriottica non ha pubblicato nulla. Di conseguenza, nemmeno il sito della diocesi di Shanghai ha riportato alcuna notizia. (…)
Uno studioso che ha chiesto di restare anonimo ha affermato che, dopo la firma dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, si sono verificati molti cambiamenti positivi, con i vescovi cinesi in piena comunione gerarchica con il papa. Tuttavia, persistono anche fenomeni deludenti. Ad esempio, durante le elezioni dei vescovi, la parte cinese presenta alla Santa Sede un unico candidato. Inoltre, quando un vescovo viene trasferito, la cerimonia d’insediamento viene spesso organizzata in hotel o sale parrocchiali piuttosto che nelle chiese, con la partecipazione di sacerdoti, suore, membri dell’Associazione patriottica e funzionari governativi. Questo tipo di cerimonia sembra voler enfatizzare l’identità politica del vescovo piuttosto che il suo ruolo spirituale. Inoltre, viene vietato ai presenti di scattare foto o diffondere contenuti, e ogni cerimonia è soggetta a rigorose misure di sicurezza.
Lo stesso studioso ha osservato: “Avere un vescovo dovrebbe essere motivo di festa per la Chiesa. Tuttavia, l’attuale modalità di gestione fa percepire l’esatto contrario. Anche l’imminente ordinazione del vescovo ausiliare di Shanghai non fa eccezione”. Critica il fatto che i contenuti liturgici di queste celebrazioni siano tenuti segreti e non siano resi pubblici, creando così una divisione interna nella Chiesa in base al rango: solo alcune persone sanno cosa accade. Questo approccio non è diverso da quello della burocrazia secolare e mina profondamente il significato sacramentale dell’ordinazione episcopale.
(di Andrew Law Asia News 10/10/2025)
CINA - I cattolici di Shanghai e le restrizioni del vescovo Ma Daqin
Una voce cattolica da Shanghai ricorda ad AsiaNews il caso del vescovo ausiliare che si dimise dall’Associazione Patriottica all’atto dell’ordinazione e da allora vive recluso. Si sperava che la tormentata nomina di mons. Shen Bin come ordinario sbloccasse questa situazione, ma a ormai due anni di distanza nulla è successo. E Ma Daqin resta l’icona del “giusto sofferente”.
Molti cattolici di Shanghai desideravano due anni fa e tuttora desiderano che la decisione della Santa Sede di nominare mons. Joseph Shen Bin come vescovo della diocesi di Shanghai potesse portare presto sollievo anche per il vescovo Taddeo Ma Daqin, che ha dovuto affrontare “restrizioni” per oltre un decennio.
Nell’autunno 2024, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, capo del team negoziale della Santa Sede, ha visitato Shanghai. Più recentemente, nel febbraio 2025, anche una delegazione della diocesi di Hong Kong, guidata dal card. Stephen Chow Sau-yan, si è recata a Shanghai. Sebbene la partecipazione alla loro Messa nella basilica di Sheshan e ad altre attività diocesane sia stata limitata, anche con questo basso profilo le visite di queste figure di spicco hanno acceso la speranza tra i cattolici di Shanghai, che ora intravedono una rinnovata possibilità per il vescovo Ma.
L’argomento principale contro la ripresa delle funzioni del vescovo Ma è che un vescovo ausiliare può svolgere il suo compito solo con il mandato dell’ordinario della diocesi. Con il vescovo Shen ora a Shanghai, se fosse disposto a rinominare il vescovo Ma, quest’ultimo potrebbe tornare immediatamente al suo lavoro. Da quasi due anni ormai il vescovo Shen presta servizio nella diocesi di Shanghai e ha ricopre la carica di presidente della Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina (BCCCC, organismo non riconosciuto dalla Santa Sede ndr) e sono stati compiuti sforzi significativi per mettere in luce il suo lavoro. La diocesi di Shanghai, il binomio One-Association-One-Conference cinese (Associazione patriottica e BCCCC ndr) e persino Vatican News hanno ampiamente raccontato sia le attività della diocesi sia quelle del nuovo vescovo, contribuendo a rafforzare la sua reputazione. Nonostante questi sforzi, però, la questione del vescovo Ma rimane tuttora irrisolta.
Per quanto tempo ancora le restrizioni continueranno? Molti lettori probabilmente ricordano il suo caso. Il 7 luglio 2012, durante il suo discorso di ringraziamento al termine della Messa di consacrazione episcopale, dichiarò: “D’ora in poi dovrò dedicare tutta la mia mente e il mio corpo all’evangelizzazione pastorale. Certi incarichi non mi si addicono, per cui da questo momento della consacrazione non è più conveniente che io sia membro dell’Associazione patriottica”. Quel pomeriggio stesso fu sospeso e interrogato, poi rimosso dal suo incarico e posto sotto sorveglianza residenziale, dove rimane tuttora. Quello che molti forse non sanno è che il governo cinese aveva da tempo intenzione di nominare il vescovo Ma come successore del vescovo Aloysius Jin Luxian, in sostituzione del vescovo Joseph Xing Wenzhi. Questo piano era stato messo in moto già prima del graduale ritiro del vescovo Xing dalle funzioni pubbliche. E quando il vescovo Xing era andato in pensione, la Santa Sede aveva accettato di approvare la nomina del vescovo Ma.
In seguito all’”incidente del 7 luglio” (l’ordinazione episcopale del vescovo Ma al mattino e al successivo isolamento iniziato da quel pomeriggio ndr), la Santa Sede ha ripetutamente comunicato attraverso vari canali che, per rispetto dei due vescovi allora viventi, il vescovo Aloysius Jin Luxian (vescovo coadiutore, deceduto poi nel giugno 2013) e il vescovo Joseph Fan Zhongliang (ordinario “sotterraneo”, deceduto nel marzo 2014), il vescovo Ma avrebbe potuto servire solo come vescovo ausiliare. Tuttavia, la Santa Sede aveva chiarito le sue intenzioni durante la sua nomina: Ma è stato designato come successore dei vescovi anziani, per assumere infine il ruolo di ordinario (vescovo diocesano) della diocesi di Shanghai.
Data la relazione unica tra Cina e Vaticano, il governo cinese non riconosce i vescovi della Chiesa clandestina. Nella lettera di nomina emessa dalla BCCCC, Ma è stato designato come vescovo coadiutore della diocesi di Shanghai, mentre la lettera di nomina della Santa Sede lo nominava vescovo ausiliare. Dopo l’incidente del 7 luglio, sebbene l’insediamento del vescovo Ma fosse valido e legittimo ai sensi del diritto canonico, egli non era in grado di soddisfare tutti i requisiti previsti dagli articoli 6(6) e 7 delle “Misure sulla registrazione dei vescovi nella Chiesa cattolica in Cina (processo e attuazione)” emanate dall’Amministrazione statale cinese per gli Affari religiosi. In particolare, non ha potuto presentare la domanda di registrazione alle autorità governative cinesi attraverso il sistema “una Associazione-una Conferenza”. Di conseguenza, il vescovo Ma non ha potuto completare la sua registrazione presso le autorità religiose statali, esercitare i suoi doveri o condurre attività religiose come vescovo.
Il 12 dicembre 2012, la BCCCC ha revocato ufficialmente la lettera di nomina a vescovo coadiutore. Tuttavia, la nomina della Santa Sede a “vescovo ausiliare, con l’intenzione esplicita di farlo succedere al vescovo diocesano ordinario” è rimasta invariata fino ad oggi. Nel frattempo, l’affermazione che il vescovo Ma è ancora sotto “restrizione” è stata ripetutamente respinta e ignorata dai suoi oppositori all’interno della diocesi, così come dalle autorità governative cinesi.
La situazione si è sviluppata in modo paradossale. Inizialmente, Ma era un candidato fortemente favorito e promosso dal governo cinese. Eppure, una sola dichiarazione di opportunità che esprimeva la sua indisponibilità a ricoprire una posizione nell’Associazione patriottica, è stata interpretata come un rifiuto del patriottismo e dell’amore per la Chiesa, superando una linea rossa politica. Con la nuova leadership in carica, l’”affidabilità politica” è diventata il criterio principale per la selezione dei quadri e dei leader religiosi. Il principio secondo cui “la lealtà che non è assoluta non è assolutamente lealtà” sembra aver lasciato il vescovo Ma in un vicolo cieco. Ed è chiaro che un ambiente politico del genere è eccezionalmente duro. (…)
Il vescovo Ma è molto apprezzato per la sua predicazione e gode di una forte reputazione tra i cattolici locali di Shanghai. I suoi diversi talenti, uniti alle pressioni politiche e al trattamento freddo che ha subito negli ultimi 13 anni, lo hanno trasformato in “un uomo giusto che soffre”, che ricorda Giobbe seduto nella cenere, evocando una profonda compassione. È diventato l’esempio per eccellenza dell’”uomo giusto che soffre” nella Cina contemporanea.
Il vescovo Ma è ampiamente rispettato per la sua frugalità, semplicità di vita e capacità di mantenere misure appropriate nei rapporti interpersonali. (…)
(Asia News 18/03/2025)
CINA Zhangjiakou: Ma Yanen vescovo ausiliare, Cui Tai riconosciuto (ma per pensionarlo)
Nella “nuova” diocesi dell’Hebei istituita da Leone XIV oggi si sono svolte le due cerimonie con cui le autorità hanno riconosciuto ufficialmente i due vescovi clandestini. La Santa Sede: “Passo rilevante nel cammino di comunione”. Ma Pechino mette loro (falsamente) in bocca le solite tesi sull’indipendenza della Chiesa in Cina e il patriottismo seminando già zizzania con i fedeli delle comunità che la mossa dovrebbe servire a unire.
Mons. Giuseppe Ma Yanen, 65 anni, finora vescovo clandestino di Xiwanzi, è stato riconosciuto dalle autorità di Pechino come vescovo ausiliare della “nuova” diocesi di Zhangjiakou, nella provincia dell’Hebei, dove due giorni fa, ai sensi dell’Accordo tra la Repubblica popolare cinese e la Santa Sede è stato ordinato vescovo mons. Giuseppe Wang Zhengui, il sacerdote “ufficiale” che di fatto già da tempo guidava quella che per Pechino era la Chiesa locale. Mentre mons. Agostino Cui Tai, 75 anni, finora vescovo di Xuanhua - l’altra sede episcopale soppressa da papa Leone XIV per fare posto alla diocesi di Zhangjiakou - e figura simbolo delle sofferenze delle comunità clandestine con i suoi ripetuti arresti negli ultimi anni, è stato anche lui oggi riconosciuto ufficialmente dalle autorità cinesi nella sua dignità episcopale; ma solo in forza del fatto che con la nomina di mons. Wang Zenghui per il Vaticano è ormai un vescovo emerito. (…)
La nomina a vescovo ausiliare di Zhangjiakou di mons. Giuseppe Ma Yanen compare anche nel bollettino di oggi della Sala stampa della Santa Sede, insieme al suo profilo in cui si dice che è nato a Baoding il 15 gennaio 1960, è stato ordinato nel 1985 per la prefettura apostolica di Yixian e che già dal 30 gennaio 2013 era vescovo di Xiwanzi, l’altra diocesi confluita in quella di Zhangjiakou. Dunque la sua nomina episcopale risaliva a Benedetto XVI e non era mai finora stata riconosciuta dalle autorità di Pechino. La rinuncia di mons. Agostino Cui Tai - che era anche lui stato nominato vescovo coadiutore di Xuanhua dal 2013, accanto a un altro vescovo clandestino poi morto nel 2018 – viene invece data per implicita, definendolo “vescovo emerito di Xuanhua”.
Le parole del comunicato della Santa Sede confermano l’intento di proseguire sulla strada dell’unità della Chiesa in Cina, che l’Accordo del 2018 con Pechino sulla nomina dei vescovi – già rinnovato per tre volte – sta cercando di incarnare. Ma è un percorso in cui non mancano le difficoltà e le forzature ideologiche, che emergono chiaramente dalle stesse modalità con cui le nomine di oggi sono state presentate in Cina.
Il comunicato sull’insediamento del vescovo ausiliare Ma Yanen racconta che la cerimonia è stata presieduta come è ovvio dal nuovo vescovo di Zhangjiakou mons. Wang Zhengui, alla presenza di p. Yang Yu, il segretario generale del Consiglio dei vescovi cattolici cinesi (l’organismo collegiale non riconosciuto ufficialmente dalla Santa Sede) che “ha letto la lettera di approvazione da parte del Consiglio”. Si specifica che durante la cerimonia, mons. Ma Yanen avrebbe “solennemente giurato di rispettare la Costituzione e le leggi del Paese, salvaguardare l’unità nazionale e l’armonia sociale, amare la patria e la Chiesa, sostenere il principio dell’indipendenza e dell’autogestione della Chiesa, aderire alla sinicizzazione del cattolicesimo in Cina e contribuire alla costruzione completa di un Paese socialista moderno e alla promozione globale del grande rinnovamento della nazione cinese”. Dopo la cerimonia – racconta ancora la nota ufficiale della comunità cattolica dell’Hebei - si è tenuta una Messa di ringraziamento, presieduta dal vescovo Wang Zhengui e concelebrata dal vescovo ausiliare Ma Yanen.
Ben più sobria l’altra cerimonia definita come un “pensionamento” del vescovo Cui avvenuta alla presenza di appena 50 persone. Il comunicato ufficiale - riprendendo le formule di rito - sostiene che mons. Cui Tai avrebbe anche lui pronunciato un discorso in cui avrebbe “sottolineato l’importanza di sostenere il patriottismo e l’amore per la Chiesa, aderire ai principi dell’indipendenza e dell’autogestione della Chiesa, e promuovere la sinicizzazione del cattolicesimo nel nostro Paese, contribuendo alla costruzione completa di un Paese socialista moderno e all’avanzamento globale del grande rinnovamento della nazione cinese”. Ma sono parole che appaiono inverosimili per un presule come mons. Cui Tai, che dal 1993 a oggi ha trascorso ripetuti periodi in carcere o comunque in altre situazioni in cui è stato privato della propria libertà proprio per impedirgli di svolgere il suo ministero prima di sacerdote e poi di vescovo non registrato negli organismi ufficiali controllati dal Partito Comunista cinese.
La verità è che – come sempre – Pechino sta utilizzando l’obbedienza di mons. Cui Tai al volere della Santa Sede per mostrare di aver vinto la sua battaglia in questa regione dell’Hebei. E in forza di questa narrazione c’è chi nelle comunità cattoliche clandestine locali sta attaccando pesantemente lui e mons. Ma Yanen, diffondendo meme in cui le loro immagini sono associate alla tartaruga, per accusarli di mancanza di coraggio. Ma fonti di AsiaNews riferiscono che quelle parole di sostegno all’autonomia della Chiesa in Cina mons. Cui Tai non le ha mai pronunciate. “È un uomo dalla fede integra”, raccontano facendo notare anche che non si fa cenno ad alcuna concelebrazione con altri vescovi in occasione della cerimonia del suo “pensionamento”. (Asia News 12/09/2025)
CINA Wenzhou: agli arresti anche p. Ma, l’ex responsabile ‘patriottico’ della diocesi
Nella Chiesa cattolica della provincia dello Zhejiang dove mons. Shao è vittima della repressione adesso nel mirino c’è anche il sacerdote che amministrava la diocesi “ufficiale”. Sparito da novembre andrà a processo per un libro di inni sacri pubblicato senza permesso in un’altra provincia, mentre si fanno circolare voci sui suoi conti bancari. Ma secondo alcune fonti la sua vera colpa sarebbe una non sufficiente fedeltà al Partito.
Nella provincia cinese dello Zhejiang, non è solo la comunità cattolica clandestina ad essere colpita dalla dura repressione delle autorità locali in corso nella diocesi di Wenzhou (o Yongjia secondo la denominazione originaria delle diocesi data dalla Santa Sede). Da qualche mese nell’occhio del ciclone è finito anche lo stesso p. Ma Xianshi, il sacerdote “patriottico” che fino all’anno scorso era il responsabile della Chiesa ufficiale e la cui autorità era contrapposta a quella di mons. Shao, il vescovo sotterraneo più volte arrestato negli ultimi anni.
P. Ma Xianshi - che era anche vicepresidente del Comitato degli affari cattolici dell’intera provincia dello Zhejiang - sarebbe stato sostituito e si troverebbe lui stesso agli arresti dallo scorso mese di novembre. E la notizia di questi giorni è che il processo nei suoi confronti, originariamente previsto per l’inizio di questo mese presso il tribunale della città di Yiwu, è stato rinviato. Il motivo ufficiale dell’arresto di p. Ma è la “vendita pubblica in un’altra regione” del libro di inni “Tianlu Miaoyin” (Melodie Celesti), compilato dalla diocesi, fatto questo che violerebbe i regolamenti statali. In quanto rappresentante legale della diocesi, Ma sarebbe dunque ritenuto penalmente responsabile.
(…) Secondo quanto riportato, il processo era previsto per il 1º luglio presso il tribunale di Yiwu, ma tre giorni prima, dopo che oltre 300 fedeli di Wenzhou avevano fatto richiesta per assistere all’udienza, il tribunale ha improvvisamente annunciato il rinvio a data da destinarsi.
In un video online su Baidu dal 13 febbraio scorso un avvocato afferma che p. Ma rischierebbe una pena detentiva di 6 anni e mezzo, con possibilità di riduzione in caso di collaborazione, ma comunque non sotto i 3 anni e 3 mesi. (…)
Altri affermano che il governo stia cercando sistematicamente di screditare p. Ma: è stato detto ai fedeli che, all’insaputa anche dei sacerdoti a lui più vicini, teneva 200 milioni di yuan (circa 25 milioni di euro ndr) sul suo conto personale, affermazione questa che molti sacerdoti ritengono poco credibile. Triste è però il fatto che nessun sacerdote ufficiale ora osi difenderlo pubblicamente. Da oltre sei mesi in carcere, nessuno ha potuto comunicare con lui, e un confratello avrebbe commentato: “In Cina non si può non ascoltare il Partito Comunista”.
(…) Secondo alcuni, p. Ma sarebbe stato colpito con durezza per aver resistito all’imposizione di un vescovo governativo nella diocesi di Wenzhou e per aver incontrato funzionari vaticani durante un pellegrinaggio, senza autorizzazione.
Situazioni simili non sono nuove nello Zhejiang. Nel luglio 2015, durante la campagna per la rimozione delle croci dalle chiese, l’Associazione Cristiana Provinciale protestò pubblicamente. Sei mesi dopo, il presidente dell’associazione, il pastore Joseph Gu, della nota chiesa evangelica Chongyi, fu rimosso e arrestato con l’accusa di appropriazione indebita. Anche se fu assolto e rilasciato la vigilia di Natale del 2017, passò oltre due anni agli arresti domiciliari. Il suo caso evidenzia tragicamente la “selezione inversa” nella leadership religiosa in Cina.
La stessa fonte rivela che né padre Ma né Zhuang Qiantuan hanno potuto incontrare familiari in questi sei mesi di detenzione; solo gli avvocati hanno avuto accesso, e solo con forti pressioni a far confessare il sacerdote per ottenere una pena ridotta. Più di un avvocato è stato cambiato, poiché i familiari non si fidavano dei legali nominati dalla diocesi di Wenzhou. Le autorità stanno esaminando a fondo i conti della diocesi per incriminarlo, ma finora non emergono problemi personali o economici gravi. L’unico “errore” di p. Ma sembrerebbe essere la sua lealtà alla Chiesa e ai suoi principi.
Wenzhou è conosciuta come la “Gerusalemme della Cina”, per l’alta concentrazione di cristiani, sia cattolici che protestanti, e la generosità e unità della comunità. Dieci anni fa, il protestantesimo locale fu duramente colpito dalla campagna di demolizione delle croci. Ora tocca alla Chiesa cattolica, sia ufficiale che sotterranea: ai bambini è vietato l’ingresso nelle chiese, gli insegnanti spaventano gli alunni dicendo che “chi va in chiesa non potrà accedere all’università”. Anche gli studenti universitari e i funzionari pubblici evitano le chiese. Tutte le chiese sono ora videosorvegliate. Un fedele riferisce: “Da quando il parroco nominato dal governo ha fondato l’Associazione Patriottica, tutto è cambiato. Ha detto testualmente: ‘In Cina non si può non ascoltare il Partito Comunista’”. I principi della dottrina della Chiesa vengono messi da parte, e l’unità della parrocchia, un tempo orientata alla costruzione della nuova chiesa, è svanita. (…)
(di Andrew Law Asia News 11/07/2025)
CINA - Chiese domestiche cinesi: imponente raid di Pechino contro la Zion Church
Decine di arresti in almeno sei città in quella che China Aid definisce “l’ondata di persecuzione più estesa degli ultimi 40 anni” contro le comunità “sotterranee” evangeliche. Fermato anche il pastore Jin Mingri, ex giovane di piazza Tiananmen, che ha dato vita a questa comunità che conterebbe migliaia di fedeli. Accusati di uso illegale del web a pochi giorni dal diktat di Xi Jinping sulla necessità di “accelerare la sinicizzazione delle religioni”.
Raid in contemporanea in numerose città da Pechino a Beihai, da Shanghai a Chengdu. In quella che dagli Stati Uniti il pastore Bob Fu – il fondatore di China Aid – definisce “la più estesa e coordinata ondata di persecuzione contro una chiesa sotterranea in Cina degli ultimi 40 anni”. Sono le coordinate della massiccia ondata di repressione che da giovedì 9 ottobre le autorità di Pechino stanno mettendo in atto contro la Zion Church, una delle più vivaci tra le “chiese domestiche”, i gruppi cristiani di matrice protestante che nella Repubblica popolare cinese non si riconoscono nel Movimento delle Tre Autonomie, l’equivalente per il mondo evangelico dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi.
Sono una trentina i pastori e membri dello staff della Zion Church fermati in almeno sei città e circa 150 i fedeli interrogati. Tra loro anche Jin “Ezra” Mingri, il fondatore di questa rete che conterebbe in Cina almeno 10mila fedeli. La sua casa a Beihai, nella provincia del Guangxi, è stata perquisita a lungo il 10 ottobre e l’umo è stato portato via in manette. La famiglia, che si è trasferita negli Stati Uniti, ha detto di aver perso i contatti con lui e sarebbe detenuto nel Centro di detenzione numero 2 di Beihai con l’accusa di “utilizzo illegale di reti informatiche”. Il reato è interessante perché – come raccontavamo recentemente su AsiaNews – proprio nelle scorse settimane sono entrati in vigore nuovi regolamenti in Cina che stringono ulteriormente le maglie sulle attività religiose on line, le uniche possibili per una realtà come la Zion Church che si serve ampiamente di video-call per i suoi incontri. E arriva dopo il discorso con cui Xi Jinping intervenendo il 29 settembre a una sessione di studio ad hoc da lui voluta del Politburo del Partito comunista cinese sul tema della politica religiosa ha esortato ad adottare le misure necessarie per “accelerare la sinicizzazione” delle cinque confessioni ufficialmente riconosciute in Cina (buddhismo, taoismo, islam, protestantesimo e cattolicesimo).
È proprio il profilo di Jin Mingri a spiegare che cosa ci sia che non va nella Zion Church agli occhi delle autorità di Pechino. Cittadino cinese di etnia coreana, 56 anni, cresciuto nel nord-est del Paese, Jin si convertì al cristianesimo dopo il massacro di piazza Tiananmen del 1989, che lo aveva deluso riguardo al governo comunista. Staccandosi dal mondo protestante “ufficiale” nel 2007 ha fondato insieme ad altre 20 persone la Zion Church, che in una decina d’anni è diventata una delle più grandi chiese domestiche non registrate in Cina. Per questo nel 2018 le autorità gli avevano già chiuso la chiesa dove riuniva la sua comunità a Pechino, un locale al terzo piano di un edificio per uffici, con annessa una caffetteria e libreria cristiane.
Una lettera con un invito alla preghiera diffusa sabato dalla Zion Church elencava altre chiese domestiche recentemente perseguitate in Cina: a maggio, la polizia di Xi’an ha trattenuto il pastore Gao Quanfu della Zion’s Light Church per presunte “attività superstiziose che minano l’attuazione della giustizia.” A giugno, le autorità hanno imprigionato 10 membri della Golden Lampstand Church a Linfen con accuse di frode. Hanno condannato il pastore Yang Rongli a 15 anni di carcere. E a questo mondo delle chiese domestiche e dei loro incontri on line si intreccia anche la storia di Zhang Zhan, la blogger cristiana che fu tra i primi a denunciare la pandemia del Covid a Wuhan e che nelle scorse settimane è stata condannata ad altri quattro anni di detenzione.
La vicenda dell’ondata di repressione contro la Zion Church sta destando grande scalpore nel mondo evangelical degli Stati Uniti. Anche l’amministrazione Trump, attraverso il segretario di Stato Marco Rubio ha diffuso una dichiarazione in cui condanna gli arresti e sollecita Pechino a permettere alle persone di tutte le fedi, inclusi i membri delle chiese domestiche, di praticare il culto senza timore di ritorsioni. “Questa repressione dimostra ulteriormente come il Partito Comunista Cinese manifesti ostilità verso i cristiani che rifiutano l’interferenza del Partito nella loro fede e scelgono di vivere la propria fede in chiese domestiche non registrate”, ha dichiarato Rubio.
(Asia News 13/10/2025)
CINA - Altri 4 anni di carcere per Zhang Zhan: ‘Non sto in silenzio a causa del Vangelo’
La 42enne blogger e avvocatessa che finì in cella per i racconti sulla pandemia a Wuhan dovrà scontare una nuova detenzione per “disturbo dell’ordine pubblico”. La sua “colpa” è aver cercato di incontrare e difendere un sindacalista nel Gansu. Nelle testimonianze di amici e sostenitori il racconto della profonda fede cristiana che ispira il suo coraggio.
È arrivata una nuova condanna in Cina per la 42enne giornalista e avvocatessa pro-diritti umani cristiana Zhang Zhan, fra le prime ad aver denunciato attraverso il suo blog la pandemia di Covid-19 e che - proprio per questo - ha già scontato quattro anni di prigione. Dopo il suo rilascio per fine pena nel maggio 2024 è finita di nuovo nel mirino delle autorità comuniste per la sua difesa dei diritti umani e della libertà religiosa. Dopo averla riarrestata nell’agosto 2024, i magistrati hanno avviato un nuovo procedimento penale a suo carico concluso con una sentenza ad altri quattro anni di carcere emessa il 19 settembre dal tribunale di Shanghai Pudong.
Fonti locali riferiscono che quando è stata nuovamente arrestata Zhang Zhan si era recata nella provincia di Gansu per incontrare l’attivista per i diritti umani Zhang Pancheng. La donna è stata accusata dello stesso reato di disturbo dell’ordine pubblico per il quale era stata condannata una prima volta e l’indagine, il processo e l’ufficializzazione della sentenza si sono svolti in segreto.
(…) Zhang è nota per le sue campagne e i suoi reportage sulla situazione dei diritti e delle libertà nel Paese; in passato le autorità le hanno sospeso la licenza di avvocato come ritorsione per il suo attivismo. Prima ancora del Covid, l’attivista e giornalista cristiana era già stata arrestata nel settembre 2019 per aver marciato con un ombrello su Nanjing Road a Shanghai, a sostegno delle proteste di Hong Kong. Alle prime notizie della pandemia si era quindi recata a Wuhan per documentare quanto stava succedendo, pubblicando un centinaio di video in tre mesi e rispondendo anche a domande di media internazionali. Arrestata nel maggio 2020 era diventata la prima blogger a essere condannata per le notizie diffuse sulla pandemia.
La sua fede cristiana è un tratto fondamentale per comprendere il coraggio di Zhang Zhan, che è legata al mondo delle “chiede domestiche” protestanti cinesi. Lei stessa, poco dopo la liberazione, aveva raccontato quanto la fede fosse stata un sostegno prezioso negli anni trascorsi in carcere, in una video-testimonianza che aveva molto irritato le autorità cinesi. (…)
(Asia News 22/09/2025)
I martiri cinesi 25 anni dopo: le polemiche di ieri, il silenzio di oggi
Il 1 ottobre ricorreva un anniversario importante della canonizzazione voluta da Giovanni Paolo II che segnò il momento più conflittuale delle relazioni tra Pechino e la Santa Sede. Ricordarlo forse risulta imbarazzante nel dialogo di oggi con le autorità di Pechino. Ma la comunità cattolica cinese ha il diritto di ricordare e onorare i propri martiri, come le altre chiese nel mondo.
Il 1 ottobre ricorreva il 25° anniversario della canonizzazione dei 120 martiri di Cina, tra i quali Alberico Crescitelli, l’unico santo del Pime. È stato un anniversario passato nel silenzio, ma ricordo l’impatto enorme che allora l’evento ebbe in tutti coloro che erano coinvolti nelle vicende della chiesa di Cina, compreso l’allora direttore del Centro Pime p. Giancarlo Politi.
La canonizzazione aveva sollevato una grave crisi tra la Santa Sede, la Chiesa cattolica e le autorità politiche della Cina. Forse l’argomento risulta imbarazzante anche oggi. La Santa Sede è impegnata a realizzare l’accordo con Pechino del 2018, sperando in risultati migliori, e certamente la vicenda dei martiri costituisce, purtroppo, un episodio divisivo.
Non possiamo, credo, dimenticare il valore spirituale, ecclesiale e di evangelizzazione che per i cattolici di Cina ha la memoria dei propri 120 santi martiri. Chiese dell’Asia orientale e sud-orientale come quella della Corea, del Giappone, del Vietnam e delle Filippine celebrano con devozione i loro santi martiri, promuovendo i luoghi e le storie della loro testimonianza. In Cina questo non è possibile. Anche se per molti questa impossibilità è così scontata che non la ritengono neanche riprovevole, vorrei ribadire che la comunità cattolica cinese ha il diritto di ricordare e onorare i propri martiri, come le altre chiese nel mondo.
I 120 martiri di Cina includono 87 cinesi (tra i quali ragazzi e ragazze molto giovani) e 33 missionari esteri, uomini e donne. Sono storie di fedeli cinesi e missionari che si estendono in un periodo di ben tre secoli: dal 1648 al 1930. La maggior parte di loro hanno donato la loro vita nel corso della cosiddetta rivolta dei boxer (1900). Prima di dare giudizi affrettati, sarebbe bene conoscere da vicino ciascuno di loro: si scoprirebbero storie esemplari di persone che sono state semplicemente leali alla loro fede in circostanze drammatiche. La gran parte di loro ha coscientemente scelto la morte piuttosto che la rinuncia alla fede.
Le vicende riguardano contesti storici e politici molto diversi tra loro e precedenti all’avvento della Repubblica popolare cinese. Nonostante nessuno dei martiri sia stato vittima dell’attuale ordine politico, il governo di Pechino reagì a queste canonizzazioni in modo molto ostile. I martiri furono etichettati come non patrioti e vittime della propaganda straniera. I missionari furono bollati come imperialisti, e tre di loro, fra i quali il nostro Alberico Crescitelli, furono accusati di essere veri e propri criminali. Inoltre le autorità considerarono la scelta della data del 1 ottobre, festa nazionale della Repubblica popolare cinese, come una provocazione e una sfida.
Allora io prestavo servizio presso l’Holy Spirit Study Centre di Hong Kong, e producemmo un’ampia documentazione di commento dei risvolti della vicenda e di approfondimento sulla vita dei martiri e le circostanze storiche del loro martirio, rispondendo in modo documentato alle accuse denigratrici.
I cattolici cinesi, sia delle comunità ufficiali sia di quelle sotterranee, onorarono i santi in vari modi e sempre in modo non pubblico. Ricordo bene come a Hong Kong la comunità cattolica, guidata dal cardinale John B. Wu, celebrò una solenne santa messa in onore dei santi nonostante l’invito da parte dei rappresentanti di Pechino in città a farlo in ‘modo dimesso’.
Consapevole della sfavorevole reazione delle autorità di Pechino, nel corso della cerimonia di canonizzazione in piazza San Pietro, Giovanni Paolo II affermò che non era quello il momento di fare delle analisi storiche o politiche, e che ci sarebbero stati altri momenti in cui studiare e riflettere su che cosa era accaduto davvero. In questa circostanza, affermò il papa, la Chiesa proclama solo le virtù eroiche e cristiane dei santi martiri “esempio di coraggio e di coerenza per tutti noi e che fanno onore al nobile popolo cinese”.
Successivamente Giovanni Paolo II scrisse una lettera personale all’allora presidente cinese, Jiang Zemin (altre lettere erano state scritte in circostanze precedenti). In quella specifica missiva il papa spiegava che la sua intenzione era stata quella di onorare il popolo cinese, e che la Chiesa non intendeva emettere un giudizio storico o politico su complesse situazioni. Jiang Zemin non rispose.
La Santa Sede ribadì che la scelta della data non intendeva essere una mancanza di rispetto alla Cina. La persona che controllava allora l’agenda del papa, ossia l’influente segretario personale Stanislaw Dziwisz, potrebbe persino essere stato inconsapevole del carattere sensibile di quel giorno per il regime cinese. Il 1° ottobre 2000 essendo di domenica, nel corso dell’Anno Santo e festa della patrona delle missioni santa Teresa di Lisieux, era stato riservato a possibili canonizzazioni fin dal 1998.
La canonizzazione dell’ottobre 2000 fu il punto più basso alle relazioni fra il governo cinese e Giovanni Paolo II, il quale in seguito fece un’ultima apertura alla Cina in occasione del 400° anniversario dell’arrivo di Matteo Ricci a Pechino (24 ottobre 2001). Nel suo messaggio il papa affermò di voler seguire la strada di Ricci, il cui primo libro in Cina (1595) è intitolato in modo significativo L’amicizia. La Chiesa, disse il papa, non cerca privilegi ma amicizia, rispetto reciproco e libertà. Giovanni Paolo II espresse inoltre rammarico per gli errori commessi in passato da missionari e persone di Chiesa: “Mi dispiace che essi abbiano ingenerato in non pochi l’impressione di una mancanza di rispetto e di stima della Chiesa cattolica per il popolo cinese, inducendoli a pensare che essa fosse mossa da sentimenti di ostilità nei confronti della Cina. Per tutto questo chiedo perdono e comprensione”. Fu un gesto di grande magnanimità e amicizia.
Mi piace pensare che presto i santi martiri di Cina non siano più un problema ma una risorsa di fede. Sono uomini e donne vittime della violenza, non hanno cercato il conflitto ma l’hanno subito, dando la vita in nome di un ideale. Per questo, credenti e non credenti, possono riservare loro devozione e rispetto.
(di Gianni Criveller Asia News 05/10/2025)
Martiri cinesi
